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La venerabile Maria Diomira del Verbo incarnato e gli Angeli PDF Stampa E-mail

La venerabile Maria Diomira del Verbo incarnato e gli AngeliMaria Teresa Serri, con il nome religioso di Maria Diomira, nacque il 23 febbraio 1708 a Genova  figlia dei genitori Giovanni e Teresa Terri, provenienti rispettivamente da Zug e Friburgo in Svizzera. Già da bimba ella dimostrava un evidente amore per la preghiera e la contemplazione di Gesù sofferente. Evidente fu la sua particolare familiarità con gli angeli, come si evince dalla sua autobiografia, scritta su incarico del suo confessore. Dato che la bambina, già all’età compresa fra i 5 e 10 anni, venne attaccata diverse volte dal grande avversario infernale, dovette rispettare sin da piccola la raccomandazione del Signore riguardo al “vegliare e pregare”. Nella sua autobiografia scrive: “Non mi coricai neanche una notte, senza sentirmi affaticata dal lungo piangere ed inginocchiarmi, mentre mi raccomandavo con tutto il fervore del mio animo a Gesù, la Santa Vergine e al mio angelo custode. Spesso tenni anche le braccia tese in alto e pregai in questa posizione molti rosari, mentre gli altri ... 

...  a casa dormivano tutti.”
Nella ragazza  nacque presto la vocazione per la consacrazione religiosa. Ma in quale ordine e in quale monastero entrare? “Il Signore si degnò di ricompensare la mia fermezza durante la tempesta, il che accadde nella seguente maniera: Un giorno mi recai da sola nella chiesa delle suore “- lei allora viveva dalle benedettine a Pisa- “per pregare Gesù nel santo sacramento dell’altare. Mentre stavo prendendo l’acqua benedetta, vidi sopra la mia testa e tutto intorno a me, uno splendore luminoso. Sorpresa e spaventata, non sapevo cosa pensare, quando mi accorsi di due fiammeggianti angeli di straordinaria bellezza. Uno di loro prese la mia mano destra e l’altro mi mise un anello e disse: ‘Gesù ti ha scelto come sposa, con questo pegno ti manifesta la sua volontà di farti suora, fra poco conoscerai il luogo dove devi entrare come cappuccina’. Il viso scomparve. È facile immaginarsi, come ero felice, ringraziai con tutto il cuore il mio sposo e desiderai il momento in cui mi venisse rivelato il luogo che Egli aveva scelto per me.”

“Un giorno tornai a casa dopo aver fatto alcuni servizi che ora non ricordo più. Quando passai davanti ad una fonte, incontrai alcuni giovanotti di aspetto incomparabile. Erano angeli. Uno di loro cominciò a parlarmi e disse: ‘ A Fanano sarai vestita da suora cappuccina. È quello il posto, che Dio ha scelto per te.’ Fui sorpresa da queste parole, perché in tutta la mia vita non avevo mai sentito nominare il paese Fanano. ‘Dov’è Fanano?’ mi chiesi, proseguendo, e cominciai a riflettere. Ero colma di allegria all’ incontrare subito dopo il mio confessore, gli raccontai cosa mi era successo e gli chiesi se sapeva qualcosa di Fanano. Mi disse che conosceva benissimo Fanano e in più conosceva anche due suore cappuccine di quel paese, che ogni anno, durante la colletta, andavano ad abitare da lui. Poi aggiunse:’ Lasciatemi fare, ora scrivo subito alla madre priora di accettarvi fra le suore.’ Se ne andò a scrivere, raccontando alla madre priora della mia condotta”. Poco dopo, nell’aprile del 1730, Maria Teresa Serri ricevette la conferma alla sua richiesta di entrare come postulante al monastero di Fanano, un cittadina insignificante nell’allora principato di Modena, nella diocesi di Nonantola ai piedi di Monte Cimone, il monte più alto degli Appennini.

Maria Teresa Serri, che al momento della vestizione ricevette il nome di Maria Diomira, passò tutta la sua restante vita in questo monastero. Le sue virtù, il suo amore per il Signore crocifisso, ma anche i suoi doni di grazia, ricevute nella prima infanzia, emersero ora sempre di più. Operò per nove anni come maestra esemplare delle novizie e in seguito come badessa del monastero. Diventata tutt’una con il Redentore, le cui sofferenze contemplava ininterrottamente, fu alla fine onorata dalle stigmate, che poi sparirono di nuovo su sua richiesta, anche se i dolori delle ferite le rimasero fino alla fine dalla sua vita.

È notevole il fatto, che durante la sua vita monastica abbia sempre mantenuto un rapporto famigliare con gli angeli. Nella sua autobiografia, scrive del periodo del noviziato: “Mi sentii spinta da un vivo entusiasmo per Dio e mi ritenni la più umile e scarsa di tutte le altre suore, e davvero lo fui, e seguii ogni minimo cenno della maestra delle novizie…Fra l’altro feci sempre molta attenzione ad essere sveglia in tempo per il mattutino. Per non perdermelo dormendo, si rese visibile il mio angelo custode per svegliarmi. Ricevetti questa attenzione non solo in quell’occasione da lui, ma la ricevo tutt’ora. Devo anche annotare che questo amabile angelo mi protesse già prima che entrassi al monastero. Facendo ancora parte del mondo secolare, mi recavo ogni sera presto alla chiesa per conversare con Dio nel Santo Sacramento. Ero talmente assorta nel segreto dell’amore, che al calare della notte mi avrebbero chiuso dentro la chiesa se questo fedele guardiano, apparso davanti ai miei occhi in forma visibile, non mi avesse chiamato, facendomi cenno di andarmene. Ho ricevuto da lui molte grazie, anche più tardi anche nella mia vita monastica. L’ho visto sempre avvicinarsi a me come fedele guardiano e protettore, quando – come succedeva spesso e in mille modi- mi attaccava il grande avversario, per cagionarmi un male su ogni cammino che percorrevo o quando ero minacciata da un’improvvisa caduta.”

“Un giorno stavo riflettendo nel monastero, quale grande consolazione doveva sentire una suora nell’ora della morte, dopo sempre stata cosciente della sua fedeltà a Dio. Per il poco che allora avrò fatto io, riceverò una remunerazione grandissima, e potrò essere altresì sicura di non perderla mai - o io felice! O io strafelice, se per la divina misericordia mi toccasse una sorte così lieta! Continuando ancora questa preghiera, vidi davanti a me due angeli, uno dei quali teneva un bellissimo libro fra le mani e lo aprì, e l’altro mi indicò di leggere un passaggio. Lo lessi e trovai il mio nome. Gli angeli mi fecero capire che questo era il libro della vita, e per la misericordia divina c’era scritto anche il mio nome; mi fecero capire il valore inestimabile di una tale grazia. Poi aggiunsero, che mi fu dato il nome di Maria per impegnarmi a venerare ed imitare la Madre di Dio, la Regina degli angeli, con la devozione più pura e più sacra, e che mi fu dato il nome di ‘Diomira’ (=guarda Dio!) per ricordarmi di concentrare tutti i miei pensieri e desideri sempre su Dio; e che finalmente ricevetti il nome di Teresa, per imitare questa santa vergine nella mortificazione e nell’amore di Gesù Cristo. Con queste parole, i due angeli sparirono. Come potrei esprimere la mia gioia, per essere stata segnalata in questo beato libro della vita! Ancora oggi vedo quelle lettere, chiare davanti agli occhi, le guardo e questa contemplazione mi spinge a volgermi a Dio, per chiedergli di rivelarmi i modi, con cui posso amarlo e soffrire di più per lui, per non venire mai cancellata da questo libro. Chi potrebbe mai compiangere abbastanza –non dico in questa vita, ma nell’ infinita eternità - la sfortuna di un’anima, che, dopo essere stata in tal modo preferita da Dio, alla fine si è persa miserabilmente!”

È caratteristico, come suor Maria Diomira, nel ruolo di maestra delle novizie, cercò di trasmettere la sua propria devozione alle sue novizie: “Per incoraggiare le novizie ai faticosi lavori per la comunità, andai con loro, insegnando alcuni accorgimenti, con i quali potevano santificare le loro azioni.

Per esempio, dovevano portare la legna, allora dissi loro di immaginare di accompagnare Gesù e di aiutarlo a portare la croce sul Golgota. Dovevano portare un determinato numero di pezzi, per esempio tre, cinque o sette. Allora, quando erano tre, dovevano pensare agli aghi con cui Gesù fu legato alla croce! Oppure ricordare le tre ore della sua disperazione di morte sulla croce! Se portavano cinque pacchi, allora dicevo loro: Contemplate le cinque ferite che lo hanno torturato! Con il numero sette facevo pensare ai sette dolori che trafissero il cuore della Santa Vergine Maria, con il numero nove ricordai i nove cori degli angeli che circondano il trono di Dio.” “ Ma per far sì che tutto fosse per l’onore del Signore, per il vantaggio delle anime a me affidate e anche per la crescita temporale della mia famiglia monastica, feci ricorso al Padre della Luce, per farmi illuminare, mi rifugiai dalla Madre della misericordia, per avere una mediazione con il suo divino figlio per la guida e appoggio di queste sue spose; e finalmente mi rivolsi sempre al mio angelo custode, a cui chiesi di indirizzare i miei piedi per seguire le orme del Signore, perché le mie subalterne mi potessero seguire.” Anche nelle visioni che S. Maria Diomira ebbe durante il suo ruolo di madre superiora, erano importanti gli angeli: “Spesso vidi Gesù bambino nella sua culla, circondato dalla Madre Vergine Maria, S. Giuseppe e una grande schiera di angeli, che lo pregavano con profonda devozione.

Spesso vidi anche Cristo nello splendore della sua resurrezione e nel trionfo della sua ascesa ai cieli” “Durante i lavori di amplificazione della nostra chiesa, diventata ormai troppo piccola, si presentò la necessità di utilizzare l’infermeria come chiesa. Un giorno dissi lì le mie preghiere; ma mi sembrava di essere troppo lontana da Gesù nel santo sacramento, e sentii un forte desiderio di raggiungerlo. Il cuore si sentiva spinto verso di Lui, ma il desiderio non poteva essere colmato. Fu durante questo sacro conflitto, che si sollevò una palla lucida, fatta di luce, come un trono che veniva alzato e accompagnato dagli angeli, con al centro un ostensorio luminoso nel quale vidi l’ostia consacrata. Ora ebbi tutte le comodità per pregarlo e soddisfare il mio desiderio di Gesù.

Proprio per questo, il mio desiderio di essere vicina al santo sacramento si fa sempre più forte, perché vicino a Lui sento tutta la gioia. Alle feste dei Santi, che venero particolarmente, e alle feste degli angeli, li vedo  in tutto lo splendore e magnificenza, vicino a me. Le visioni e apparizioni, di cui ho parlato finora, mi riempiono dapprima di paura, che tutto ciò possa  essere un inganno. La paura sparisce quando vedo, che a loro segue una conoscenza della mia insignificanza, un forte desiderio di mettere in atto le virtù, di soffrire e amare Gesù più intensamente e una forte ripugnanza dei peccati in me. Queste visioni mi spingono quasi sempre a pregare per i peccatori…” Una volta, S. Maria Diomira annotò, che era opportuno dare uno sguardo ai terribili castighi, ai quali erano sottoposti gli angeli ribelli, che avevano osato disturbare la pace nel regno di Dio….”

La suora cappuccina Maria Diomira morì il 14 gennaio del 1768, all’età di 60 anni, dopo essere stata colmata di gioia, poco prima di ricevere i santi sacramenti, con una visione consolatrice della Santa Famiglia, e con la visibile presenza del suo angelo custode, che la volle accompagnare all’eterna dimora. Il processo di canonizzazione si sviluppò fino al punto che, nel 1901, fu dichiarata venerabile.

Don Marcello Stanzione

 
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