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IL PERICOLO DELL’INFERNO IN UN LIBRO SU DON DOLINDO RUOTOLO
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E’ nelle librerie il testo di Don Stanzione su Maria ValtortaIl prestigioso editore milanese Gribaudi ha appena pubblicato il testo di don Marcello Stanzione e di Guido Landolina intitolato “ Maria Valtorta e gli angeli” di 224 pagine al prezzo di 11,50 euro. Maria Valtorta nacque il 14 marzo 1897 a Caserta, dove i genitori, che erano lombardi, si trovavano temporaneamente. Era figlia unica di un ufficiale di Cavalleria, uomo buono e remissivo, e di una insegnante di francese, donna dispotica e severa. Dopo aver rischiato di morire nel nascere, la piccina venne affidata ad una balia di cattivi costumi, la quale arrivava al punto di lasciarla per ore  tra i solchi di grano nella campagna assolata. I frequenti trasferimenti della famiglia, causati dagli spostamenti del Reggimento, e successivamente nel quale il padre prestava servizio, la portarono a trascorrere i primi anni di vita a Faenza, in Romagna, e successivamente a Milano, dove Maria andava all’asilo dalle suore Orsoline. Fu qui che, in età precoce, ebbe l’intuizione mistica che l’avrebbe segnata per sempre, ...

...  quella di vedere il dolore associato in modo indissolubile con l’amore, tanto da desiderare di “ Consolare Gesù facendosi simile a Lui nel dolore volontariamente patito per amore”. Sempre a Milano iniziò le scuole elementari dalle suore Martelline, divenendo la prima della classe.

Nello stesso Istituto ricevette, nel 1905, il sacramento della Cresima dalle mani del cardinale Andrea Ferrari (oggi Beato), che la chiamava “Valtortiano” per aver notato in lei un’impronta di forza virile nella formazione del carattere. Continuò le elementari a Voghera, nelle scuole comunali, e sempre a  Voghera prendeva lezioni di lingua francese da alcune Suore espulse dalla Francia per una legge anticlericale. Le stesse Suore la prepararono alla prima Comunione, che potè fare a Casteggio nell’ottobre 1908, ma senza la presenza del papà, ritenuta inutile dalla madre. Legata a suo padre da grande affetto, soffrì molto quando, all’età di 12 anni, dovette sottostare all’arbitraria decisione materna di staccarla da casa per mandarla in collegio.

In compenso si trattava del bel Collegio Bianconi di Monza, tenuto dalle Suore di Maria Bambina. Lo considerò il suo “nido di pace”, che per quattro anni appagò il suo amore allo studio e alla disciplina. Al momento di uscirne, sedicenne, la predica di un Vescovo, le fece capire che il Signore le chiedeva una vita di amorosa penitenza, ma rimanendo nel mondo. A casa trovò il padre menomato nel fisico e nella mente, tanto che egli andò in pensione anzitempo e la famiglia si trasferì a Firenze. Maria si trovava bene nella città della cultura e dell’arte. Spesso usciva a visitarla in compagnia del babbo.

Ma vi subì il dolore di vedere troncato sul nascere, dalla durezza della mamma, il promettente fidanzamento con un bravo giovane. Sempre a Firenze, nel 1917, in piena guerra mondiale, entrò nel corpo delle infermiere volontarie (le cosiddette Samaritane) che negli ospedali militari curavano i soldati feriti; e quell’esperienza la edificò. Ma nel 1920 fu colpita per strada da un sovversivo comunista, il quale le sferrò una mazzata alle reni predisponendola all’infermità.

Ebbe allora la fortunata opportunità di trascorrere due anni a Reggio Calabria, senza i genitori, ospite di cugini della mamma, che erano facoltosi proprietari di due alberghi. Il loro sincero affetto e la bellezza naturale del luogo la ritemprarono. Durante quella vacanza avvertì nuove spinte verso una vita radicata in Cristo. Ma la mamma, pur da lontano, la ferì ancora nei suoi sentimenti di donna, e il ritorno a Firenze, nel 1922, la risommerse nei “ricordi amari”. Nel 1924 i genitori acquistarono una casa a Viareggio, dove la famiglia andò a stabilirsi e dove ebbe inizio per Maria un’arrestabile ascesi, che si esprimeva con propositi fermi e culminava in eroiche offerte di sé per amore a Dio e all’umanità. Nello stesso tempo ella si impegnava in parrocchia come delegata di cultura per le giovani di Azione Cattolica e teneva conferenze che erano seguite anche da non praticanti. Ma le era sempre più difficile muoversi. Il 4 gennaio 1933 uscì di casa per l’ultima volta, con estrema fatica, e dal 1° aprile 1934, giorno di Pasqua, non si levò più dal letto.

Il 24 maggio 1935 fu presa in casa una giovane rimasta orfana e sola, Marta Diciotto, che diventerà la sua assistente e confidente per tutto il resto della vita. Dopo un mese, il 30 giugno, moriva il papà amatissimo, e Maria fu sul punto di morirne per il dolore. La mamma, che lei amò sempre per dovere naturale e con sentimento soprannaturale, come più volte attesta nei suoi scritti, morirà il 4 ottobre 1943 senza avere mai smesso di vessare la figlia. Proprio agli inizi del 1943, quando Maria, inferma da nove anni, pensava di aver consumato ogni sacrificio e di essere prossima alla fine, Padre Migliorini, un religioso Servita che da alcuni mesi la dirigeva spiritualmente, le chiese di scrivere le sue memorie.

Dopo un’esitazione ella acconsentì, e con disinvoltura, seduta nel suo letto, riempì di suo pugno sette quaderni in meno di due mesi, non solo dando prova di grande talento come scrittrice, ma anche aprendo la sua anima in una confidenza senza veli. Si era liberata dal passato, affidato a quelle 760 pagine manoscritte consegnate al confessore, e si predisponeva con maggiore fiducia alla morte, quando una voce, già nota al suo spirito, le dettò una pagina di sapienza divina, che fu il segno di una svolta impensata. Era il 23 aprile 1943, Venerdì Santo.

Dalla sua stanza Maria chiamò la fedele Marta, le fece capire che era avvenuto qualcosa di straordinario e la mandò a chiamare il Padre Migliorini, che non si fece attendere. Il religioso rassicurò la sua assistita sull’origine soprannaturale del”dettato” e la invitò a scrivere quanto altro avrebbe “ricevuto”. E continuò a rifornirla di quaderni.

Ella scrisse quasi ogni giorno fino al 1947, ad intermittenze negli anni successivi fino al 1951. I quaderni diventarono 122 (oltre ai 7 dell’Autobiografia) e le pagine manoscritte circa quindicimila. Sempre seduta nel letto, scriveva con penna stilografica sul quaderno poggiato alle ginocchia e messo su un cartolare fatto con le sue mani. Non preparava schemi, non sapeva neppure cosa avrebbe scritto giorno per giorno, non rileggeva per correggere. Non aveva bisogno di concentrarsi né di consultare libri, tranne la Bibbia e il Catechismo di Pio X.

Poteva essere interrotta per qualsiasi motivo, anche banale, e riprendeva senza perdere il filo. Non la fermavano le fasi acute del suo soffrire o il bisogno impellente di riposare, giacchè le capitava di dover scrivere anche di notte. Partecipava con tutta se stessa al racconto che fluiva dalla sua penna di scrittrice dotata, ma se si trattava di temi teologici poteva anche non comprenderne il senso profondo. Spesso chiamava Marta, sottraendola alle faccende di casa, e le leggeva quello che aveva scritto. Non sospese neppure quando , nell’imperversare della seconda guerra mondiale, fu obbligata a sfollare a Sant’Andrea di Compito (frazione del comune di Capannoni in provincia di Lucca), dove si vide trapiantata con il mobilio della sua camera d’inferma, e con il carico di nuove sofferenze, dall’aprile al dicembre del 1944.

Soprattutto a Viareggio, la sua occupazione di scrittrice a tempo pieno non la estraniò dal mondo, di cui seguiva gli eventi attraverso il giornale e la radio. Neppure si sottraeva ai suoi doveri di cittadine, tanto che nelle elezioni politiche del 1948 si fece portare in ambulanza al seggio elettorale. Riceveva solo persone amiche e in seguito ebbe qualche visita di riguardo. Non trascurava la corrispondenza epistolare, che fu particolarmente fitta con una monaca di clausura, carmelitana, considerata come mamma spirituale. Pregava e soffriva, ma procurava di non mostrarlo.

Le sue opere erano di preferenza segrete e i suoi rapimenti estatici, rilevabili dagli scritti personali, non ebbero testimoni. Protetta da un aspetto sano, non lasciava trapelare i duri e continui patimenti, abbracciati con gioia spirituale per ansia di redimere. Gelosa del proprio nascondimento, ottenne la grazia di non avere sul corpo i segni manifesti della sua partecipazione fisica alla Passione del Cristo.

Appariva come una persona normale, quantunque inferma. Si prestava a quei lavori femminili o domestici che si possono eseguire stando a letto, come ricamare, preparare una verdura, pulire la gabbietta degli uccellini, qualche volta esprimendo il canto con la sua bella voce. L’opera principale, tra gli scritti di Maria Valtorta, è pubblicata in dieci volumi sotto il titolo:L’Evangelo come mi è stato rivelato. Narra la nascita e l’infanzia della Vergine Maria e del figlio suo Gesù, i tre anni della vita pubblica del Maestro ( che costituiscono il grosso dell’opera), la sua Passione, Morte, Risurrezione  e Ascensione, i primordi della Chiesa e l’Assunzione di Maria.

Letteralmente elevata, l’opera descrive paesaggi, ambienti, persone, eventi, con la vivezza di una rappresentazione; delinea caratteri e situazioni con abilità introspettiva; espone gioire e drammi con il sentimento di chi vi partecipa realmente; informa su caratteristiche ambientali, usanze, riti, culture. Con particolari ineccepibili. Attraverso l’avvincente racconto della vita terrena del Redentore, ricca di discorsi e di dialoghi, illustra tutta la dottrina del cristianesimo conforme all’ortodossia cattolica. Maria Valtorta stese quest’opera dal 1944 al 1947.

Alcuni degli ultimi episodi sono del 1951. Non sempre procedeva secondo l’ordine narrativo. A volte, per contingenti esigenze spirituali, doveva scrivere uno o più episodi fuori dalla trama, e in seguito Gesù stesso le indicava dove andavano inseriti. Nonostante la sporadica discontinuità nella stesura e nonostante l’assoluta mancanza di schemi preparatori, sia scritti che mentali, l’opera ha una struttura perfettamente organica dall’inizio alla fine, Per giunta, Maria Valtorta la intercalava con pagine di vari argomenti, cominciate a scrivere nel 1943 (appena ultimata l’Autobiografia) e proseguite negli anni successivi fino al 1950.

Esse hanno dato corpo alle opere minori, che sono pubblicate in cinque volumi, oltre a quello dell’Autobiografia. Tre volumi – intitolati rispettivamente I Quaderni del 1943, I Quaderni del 1944 e i Quaderni del 1945-1950 – raccolgono una miscellanea di scritti su temi ascetici, biblici, dottrinali, di cronaca autobiografica, nonché descrizioni di scene evangeliche e di martirio dei primi cristiani.

Un volume, intitolato Libro di Azaria, offre commenti ai testi (esclusi quelli del Vangelo) del messale festivo di allora. L’ultimo volume è quello delle Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani.

Altri scritti sparsi, rimasti inediti per lunghi anni sono stati raccolti e pubblicati sotto il titolo Quadernetti. E’ stata anche iniziata la pubblicazione dell’epistolario con le Lettere a Mons. Carinci.

Nel testo della Gribaudi don Stanzione e Guido Landolina ripercorrono esaurientemente tutti i riferimenti angelici della vasta opera valtortiana.

Carlo Di Pietro

 
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