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Don Marcello Stanzione augura una Santa Pasqua 2012 La festa del passaggio o “Pasqua” è antichissima ed è legata originariamente ai cicli naturali. Gli antichi popoli erano molto sensibili al succedersi delle stagioni: primavera, estate, autunno e inverno erano visti come segno della vita dell’uomo. Egli, infatti, ha un suo inizio bello e promettente, come la primavera; un periodo fecondo di attività, come l’estate; una fase di declino, come l’autunno; infine, il tramonto della sua vita, il freddo della morte, come l’inverno. Ma poi la vita ricomincia: ecco la celebrazione festosa del passaggio della morte invernale della natura, che era ammantata di neve,la risveglio della primavera, che è speranza di nuova vita. Nei cicli stagionali l’uomo, profondamente legato alla natura, vie un segno del suo destino di nascita, morte e rinascita. E si pensò coinvolto nel “mito dell’eterno ritorno”. I segni della festa pasquale erano l’offerta alla divinità di fiori e primizie della terra e del gregge: spighe di orzo o di grano tenero e un agnello. Perciò, ancora oggi, a Pasqua si usa ...

...  mangiare l’agnello e fare torte di grano; prima di diventare simboli cristiani di Gesù e dell’Eucarestia, il grano e l’agnello sono simboli naturali di vita.

Nel XIII secolo a. C., in occasione della Pasqua naturale, gli ebrei furono liberati dalla schiavitù egiziana. Allora questa festa divenne la celebrazione dell’intervento decisivo di  Dio che, mediante Mosè, condusse il popolo ebreo attraverso il deserto fino alla terra promessa.

Poi ci fu la vicenda di Gesù, il quale fu crocifisso alla vigilia del sabato pasquale degli ebrei; egli, vero Agnello di Dio, fu immolato proprio mentre nel tempio migliaia di agnelli venivano sacrificati per essere poi consumati alla cena pasquale, che ricordava, appunto, come le case degli ebrei erano state risparmiate dalla morte, perché vi era stato tracciato un segno distintivo col sangue dell’agnello (cf. Es. 12,1-13,16).

I primi cristiani, illuminati dallo Spirito Santo e guidati dagli apostoli, videro nella morte di Gesù non semplicemente la crudele esecuzione di una sentenza ingiusta, ma il gesto sacrificale e redentore del dio fatto uomo. Perciò la Pasqua significa, per noi credenti, il duplice passaggio di Gesù: dalla vita alla morte e dalla morte alla vita nuova di risorto.

Pasqua è il centro della vita cristiana, perché celebra Cristo crocifisso e glorificato.

Pasqua, come scrive il grande teologo Hans Urs von Balthasar, è “il mistero ineffabile del Signore che si fa servitore e del servitore che viene riconosciuto Signore”. Questo mistero di umiliazione e glorificazione provoca la nostra adorazione gioiosa e riconoscente.

Tutta la nostra attenzione è concentrata, i questi giorni, sulla croce.

Anticamente essa era simbolo e strumenti di morte violenta e ignominiosa. Fuori della città, su una collinetta, ben visibili, erano infissi nel terreno dei pali già pronti per la crocifissione, a monito e minaccia di morte. Il giudice, indicando al reo quei pali, gli diceva: Ibis ad crucem (Farai quella fine!). La croce era sinonimo di fallimento e di disperazione. Anche nella Bibbia è scritto: “Maledetto chi pende dalla croce” (Dt 21,23).

Ma, da quando Gesù vi morì da innocente, per amore verso il Padre e tutti noi, la croce è diventata luminosa, simbolo di salvezza. Ecco perché essa è gloriosa, gemmata, come risplende ad esempio, nei mosaici di Ravenna o pende sugli altari d’oro di San marco a Venezia o di Sant’Ambrogio a Milano. Nella morte di Cristo Dio parla, promette e fa vivere.

Nell’obbedienza assoluta di Cristo, che ha come conseguenza la morte e la discesa agli inferi, c’è l’autorivelazione divina nella storia.

Sia nell’incarnazione sia nel mistero pasquale la gloria è sempre legata al movimento kenotico, cioè all’amore che porta al dono totale di sé. Gloria cantano gli angeli sul Dio bambino a Betlemme. Alleluia cantano i redenti dal Crocifisso – risorto nel giorno di Pasqua.

Noi cristiani guardiamo al Crocifisso con fede e gratitudine, perché possiamo dire come san paolo: “Egli mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2,20). La croce è a garanzia suprema dell’affermazione di Cristo: “Sono venuto perché abbiamo la vita e l’abbiamo perché in abbondanza”. Egli, infatti, va a morire non per obbedire a un destino , ma alla persona del Padre. Così la sua morte non è il semplice risultato dell’odio concentrico dei suoi nemici “tutti contro l’Uno” , e neanche è l’atto di un fanatico religioso. Essa è il compimento  obbediente a un comando divino.

Cristo, elevato in croce, attrarrà tutti a sé. Nell’Ecce homo flagellato, coronato di spine, è l’Ecce Deus. Nell’immagine della piena umiliazione “risplende sul volto di Cristo la gloria di Dio” (2Cor 4,6). Perciò, la risurrezione è lo splendore del Crocifisso.

Gesù, facendosi uomo, ha eliminato il primo ostacolo e, nella sua carne, ha coniugato la natura umana con la natura divina. Facendosi uccidere ha vinto il peccato, perché ha detto “si” al Padre (cf. 2Cor 1,19-20). Risorgendo ha superato la morte.

Non si arriva al cuore della Pasqua se non si parla di morte e di vita: “Morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello: il Signore della vita era morto, ma ora è vivo e risorto”, così ci fa cantare la Sequenza nella Messa del Giorno di Pasqua.

Il messaggio pasquale è questo: Dio si è schierato con Gesù, l’Escluso, il Crocifisso. Egli dalla morte lo ha trasferito in una dimensione nuova, non più vulnerabile, inaccessibile a qualsiasi violenza umana (cf. Rm 6,10). Oggi c’è un rinnovato interesse per la risurrezione.

Dall’inizio del secolo scorso ai nostri giorni sono più di 1.600 i titoli (tra libri e articoli) che la riguardano. In realtà, a partire da san Paolo (cf. 1Cor 15,17), la risurrezione è stata sempre vista come elemento centrale e portante del cristianesimo. Però, fino a non molti anni addietro, la teologia non nominava la risurrezione, perché l’opera salvifica di Cristo si vedeva portata a compimento mediante il ciclo incarnazione -  vita - morte in croce. La risurrezione era studiata a parte, come il trionfo personale di Cristo suoi nemici e come prova decisiva della sua divinità. Perciò il teologo Karl Rahner parla di “atrofia della risurrezione”.

In realtà, la risurrezione è l’avvenimento fondamentale della storia della salvezza e della fede cristiana, riconosciuta come tale in tutti i Simboli di fede fin dall’inizio del cristianesimo. Essa è il mistero cristologico, ecclesiale, temporale, escatologico. In esso l’incarnazione si realizza, la parusia s’inaugura, la Chiesa e i sacramenti sono costituiti nella loro sorgente eterna e attuale, la pienezza dei tempio viene raggiunta nella vita eterna”.

Auguri a tutti di Santa Pasqua 2012.

Don Marcello Stanzione

 
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