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VARIE INTERPRETAZIONI SUL NUMERO 666
IL NATALE VISTO DA SANTA TERESA DI CALCUTTA Di don Marcello Stanzione PDF Stampa E-mail
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lunedì 01 gennaio 2018
Santa Teresa di CalcuttaGanxhe Bojaxhiu nacque a Shkupi il 27 agosto 1910, terza e ultima figlia di Kolë e Drane Bojaxhiu. La bimba, il cui nome significa bocciolo, fu battezzata nella chiesa del Sacro Cuore, a 7 anni frequentò la scuola cattolica presso la parrocchia e poi la statale. Il fratello Lazër la ricorda così: “Era una ragazza normale, forse un po’ ritirata e introversa… già nella scuola elementare si notò il suo talento per lo studio. Era la prima della classe, sempre pronta ad aiutare gli altri…”. La fanciulla era molto impegnata nella comunità parrocchiale: cantava nel coro, recitava nel teatro della chiesa e faceva parte della congregazione di Maria per la gioventù.  ...
 
Già verso i dodici anni incominciò a desiderare di appartenere completamente a Dio e, la decisione definitiva di consacrarsi come suora la prese presso il santuario della Madonna di Letnica il giorno 14 agosto del 1928, vigilia della festa dell’Assunzione di Maria. La ragazza aveva sentito in parrocchia molto parlare delle missioni cattoliche in India perché i padri gesuiti croati che reggevano la sua parrocchia avevano una missione nel Bengala ed essi l’indirizzarono presso le Suore di Loreto che avevano missioni a Calcutta. Dalla sua città natale Ganghe, insieme con la madre e la sorella, partì in treno per Zagabria dove rimase fino al 13 ottobre 1928. poi andò a Dublino, in Irlanda, precisamente a Rathfarmharm presso la Casa madre delle Suore di Loreto dove si fermò circa tre mesi per imparare l’inglese e fare il postulandato. Arrivò a Calcutta il 6 gennaio del 1929 w si recò a Darjeeling dove vi era la sede del noviziato, che fece per due anni, dove ricevette il nome di Suor Teresa del Bambin Gesù. Ricevette una buona valutazione da parte della maestra del noviziato e fu ammessa ai voti temporanei il 23 maggio 1931. il suo primo lavoro, dopo il noviziato, fu quello di infermiera: assistere ed aiutare i malati, più tardi fu impegnata nello studio universitario e contemporaneamente insegnava nella scuola di St. Mary di Calcutta frequentata da ragazze appartenenti alle caste ricche. Dopo i voti perpetui, emessi il 24 maggio 1937, Suor Teresa continuò ad insegnare e ben presto divenne anche direttrice della scuola. Tra il 1937 e il 1938 scrisse una lettera a Tirana, alla madre e alla sorella: “Mi dispiace di non essere insieme a voi, mia cara mamma e sorella…, ma la tua piccola Ganxhe è felice… questa è una vita nuova… sono insegnante e il lavoro mi piace. Sono anche direttrice di una scuola, qui tutti mi vogliono bene… “. La madre le rispose: “Mia cara figliola, non dimenticare che sei andata laggiù per i poveri. Ti ricordi della nostra Figlia? E’ piena di piaghe, ma quello che la tormenta maggiormente è il sapere di essere sola al mondo. Noi facciamo quello che possiamo per aiutarla. In effetti, il peggio non sono le piaghe, ma il fatto che è stata dimenticata dai suoi… “. Dopo questa lettera e l’esperienza diretta della situazione di miseria a Calcutta, Suor Teresa si sentiva inquieta. Dopo vent’anni di vita e di attività missionaria, quasi sempre a Calcutta e nella scuola, la voce interiore diveniva sempre più esigente: “Tu devi uscire per servire i poveri”. Viaggiando alla volta di Darjeeling per un ritiro spirituale, suor Teresa cercava la nuova strada da seguire e scrisse al suo padre spirituale: “Padre è successo così. Il 10 luglio 1946, mentre viaggiavo in treno per Darjeeling…, sentii la voce divina. Era la chiamata dentro la chiamata, la mia seconda vocazione. Il messaggio era chiaro: devo uscire dal convento di Loreto per poter liberamente e con tutta la mia vita servire i poveri”. Poi comunicò la decisione anche ai superiori e alle suore, dicendo semplicemente: “Ho deciso di abbandonare il convento per poter più liberamente servire i poveri fra i poveri!”. L’ingombrante avito delle suore di Loreto fu sostituito dal sari di rozza tela dei poveri. Sulla spalla sinistra appuntò una piccola croce tenuta ferma da una spilla da balia. Non portava calze ma solo un paio di sandali. Aveva trent’otto anni. Consacrò la sua unione con i poveri chiedendo e ottenendo la cittadinanza indiana nel 1948. nel 1949 si unirono a lei due sue ex allieve e nel giro di poco tempo Madre Teresa poté contare su un gruppo di dodici giovani donne che l’aiutarono ad aprire alcune scuole nella baraccopoli di Calcutta. Nell’ottobre del 1950, le Missionarie della Carità ottennero il riconoscimento ufficiale come nuova congregazione religiosa a livello diocesano. Ricordando quei tempi Madre Teresa affermò: “Nel decidere che cosa fare non ci siamo affidate a nessuna forma di programmazione né a idee preconcette. Abbiamo cominciato a lavorare in base alle necessità delle persone sofferenti. Dio ci indicò che cosa fare”. Nel giro di pochi anni le Missionarie di Madre Teresa avevano esteso la loro opera assistenziale in 59 centri di Calcutta e oltre ai tradizionali 3 voti religiosi di povertà, castità e obbedienza, esse adempivano ad un quarto voto specifico della loro Congregazione che le impegnava “a servire in modo totale e gratuito i più poveri fra i poveri”. Nel 1965 le Missionarie della Carità, che erano oltre 300 suore quasi tutte indiane, ottennero il riconoscimento pontificio e in circa un quarto di secolo la Congregazione riuscì ad allestire quasi cinquecento centri in oltre cento paesi del mondo. Le difficoltà, per quanto numerose, non riuscirono mai a fermarla. Ovviamente le critiche a lei e alla sua opera non mancarono. Fu accusata infatti di occuparsi dei singoli individui invece di combattere contro le strutture che generavano la povertà. Ma Madre Teresa con semplicità diceva: “Se la gente è convinta che la sua vocazione è quella di cambiare le strutture, allora è quello il suo compito”. Madre Teresa morì a Calcutta la sera del 5 settembre 1998. subito il governo indiano annunciò che il giorno 13 settembre Madre Teresa avrebbe ricevuto un funerale di stato. Infatti il piccolo corpo consunto di Madre Teresa avvolto nel sari bianco bordato di blu fu trasportato lentamente attraverso le vie di Calcutta sullo stesso affusto di cannone che nel 1948 era stato usato per il funerale di Gandhi. Subito iniziò il processo di canonizzazione e la domenica 19 ottobre 2003 il papa Giovanni Paolo II, in Piazza San Pietro, la beatificò mentre papa Francesco la canonizzò il 4 settembre 2016. Riguardo al Natale madre Teresa dichiarò al giornalista Renzo Allegri: “ Ho trascorso quasi tutti i Natali della mia  vita insieme a dei bambini orfani. Stando con loro mi sentivo vicina a Gesù.”. In diverse interviste tante volte gli parlò dei suoi bambini e del Natale, che considerava: il più grande evento cosmico della storia”. Riferì sempre  a Renzo Allegri che a Skopje ( sua città natale) era stata sua madre ad abituarla a stare con i bambini poveri nei giorni di festa. “ Ogni domenica nostra madre ci  accompagnava in qualche famiglia povera della città perché portassimo cibo e qualche indumento. E il giorno di Natale andavamo dalle famiglie più indigenti. Ricordo che c’era una povera vedova che viveva con i suoi sette figli, quasi tutti piccoli, in una stanza buia e sporca. Mi si spezzava  il cuore quando  andavamo a trovarla e vedevamo quelle povere creature, ammucchiate su un  unico grande letto, che era una specie di giaciglio dalle coperte unte e logore. Una stanza sola per otto creature, con un buco per cucina e senza neppure il gabinetto. E la mamma ci diceva che anche Gesù era nato nella più squallida povertà, in una stalla peggio di quella stanza. E io piangevo ascoltando quelle parole”. Madre Teresa apparteneva ad una famiglia albanese benestante. Suo padre era un impresario edile. A Skopje viveva in una villa confortevole, ma, per volere dei suoi genitori, crebbe sempre a contatto con la povera gente. si fece suora per dedicarsi ai poveri. Ma l’istituto religioso nel quale era entrata, le “ Suore di Nostra Signora di Loreto”, pur operando in terra di missione, si interessava di educazione e di insegnamento. Per 18 anni madre Teresa fece la professoressa, ma poi, come lei stessa raccontava: “ ebbi una seconda chiamata. Gesù mi fece capire che dovevo dedicarmi ai più poveri tra i poveri. Volli iniziare la mia nuova missione il giorno di Natale 1948. Scelsi il Natale perché rappresenta l’essenza della nostra fede. E’ il simbolo della sofferenza e insieme del trionfo dell’umanità, dell’uomo, come figlio di Dio. Sofferenza, costituita dalla nascita , dal venire in questo mondo di esilio e di prove; trionfo, perché Gesù, facendosi uomo, ha salvato l’umanità, ha vinto la morte e ha regalato la risurrezione. La mattina di quel 21 dicembre 1948, dopo aver assistito alla Messa, andai a visitare l’unico “ slum”, cioè l’unica baraccopoli, che conoscevo, quella di Matijhil, una località vicina all’edificio della scuola dove per tanti anni avevo insegnato. In quello slum per tanto tempo avevo mandato le mie allieve a portare i regali di Natale che io preparavo per i bambini poveri che non conoscevo. Ora , finalmente, potevo andarci di persona da quei bambini. Potevo celebrare il Natale a contatto reale con Gesù che vive nei poveri. Per tutto quel giorno di festa rimasi a Matijhil, a fraternizzare con le mamme e giocare con i bambini. Ero talmente  felice che dimenticai di non avere un luogo dove andare a dormire. Cosi, a sera, cominciai a cercare un alloggio e mi sembrava vivere l’avventura della Madonna incinta che non trovava posto in albergo e finì in una stalla, dove diede alla luce Gesù. Io, a notte fonda ormai, riuscii a trovare una donna che mi affittò una misera capanna per cinque rupie al mese. Il giorno dopo, in quella capanna , iniziai a far scuola a cinque bambini. I miei primi bambini! Nella capanna non c’erano né tavolo, né sedie, né lavagna. Con un bastoncino tracciavo i segni dell’alfabeto sul pavimento di terra e così insegnavo. Tre giorni dopo, quei cinque bambini erano diventati 28 e prima della fine dell’anno erano 41. In seguito su quel luogo costruì una scuola che occupa ora 500 bambini. Da allora, ogni anno a Natale io festeggio l’inizio della mia opera”.  Il vescovo slovacco paolo Hnilica fu legato a Madre Teresa da una profonda amicizia  durata 33 anni,dichiarò: “ Il Natale era al centro della spiritualità di Madre Teresa. Questa festa era per lei la più cara perché nel Natale del 1948 aveva iniziato la sua opera per i più poveri. In tutti gli uomini ella vedeva il Bambino debole e inerme, nato nella stalla di Betlemme anche in tutti i bambini abbandonati. Ho trascorso diversi Natali con Madre Teresa. Ma ne ricordo uno in particolare. Ero in India, a Calcutta. La madre mi invitò a cena la sera del 24 dicembre, vigilia di Natale, per festeggiare insieme a lei e alle sue consorelle. Una cena povera, quasi misera, come è consuetudine per le Missionarie della Carità, ma ricca di affetto, fi gioia, di fraternità. L’atmosfera era così cordiale che ci si dimenticava quasi di mangiare. Ad un certo momento sentimmo bussare alla porta. Una delle suore andò a vedere e tornò un portando un cesto coperto da un drappo. “ Me lo ha dato una donna che è subito andata via” disse. E portando il cesto a Madre Teresa aggiunse: “ Sarà una benefattrice che ha voluto regalarci un po’ di cibo per Natale”. Madre Teresa tolse il drappo e i suoi occhi si illuminarono. E’ arrivato Gesù, disse con un bellissimo sorriso. Le suore corsero a vedere. Nel cesto c’era un bambino di pochi giorni che dormiva. Era un bambino abbandonato. Quella donna che lo aveva portato, forse la madre , non lo voleva tenere e lo aveva affidato alle suore. Una scena che si ripeteva con frequenza a Calcutta. Le suore lanciavano grida di gioia e si stringevano a quel cesto, intenerite dal bambino addormentato. Le loro grida lo svegliarono e il piccolo si mise a piangere. Madre Teresa lo prese tra  le sue braccia, sorrideva e aveva nello stesso tempo le lacrime agli occhi. “ Ecco , ora possiamo dire il nostro Natale è veramente completo, vero disse. Gesù Bambino è venuto tra noi. Dobbiamo ringraziare Dio di questo meraviglioso regalo”.
 
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