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VARIE INTERPRETAZIONI SUL NUMERO 666
CRESCERE NELLA FEDE CRISTIANA Di don Marcello Stanzione PDF Stampa E-mail
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mercoledì 01 gennaio 2020

CRESCERE NELLA FEDE CRISTIANAChi è il cristiano? Il cristiano è essenzialmente uno che crede. Il primo termine col quale vennero designati i cristiani è precisamente quello di credenti. Il sostantivo fede e il verbo ritornano spesso in tante pagine del Nuovo Testamento (per la precisione 484 volte). Con tutto ciò, il credere è un atto complesso. ...

 
Esso implica una molteplicità di aspetti, di elementi e di dimensioni, le quali, pur dovendosi analizzare separatamente per ovvie ragioni metodologiche, costituiscono tuttavia una realtà vivente e, nel suo insieme, unica. Un’analisi assai dettagliata dei testi biblici conferma la presenza di questa varietà di dimensioni della fede. E’ necessario sintetizzarle. Nell’Antico Testamento la fede è radicata nella storia che Dio guida a favore del suo popolo, si esprime in un credo narrativo che ricorda, nel corso della varie generazioni, ciò che Dio ha compiuto. Per questo si parla di un “credo storico” d’Israele: “Quando in avvenire tuo figlio ti domanderà: che cosa significano queste istituzioni, queste leggi e queste decisioni che Iahvè il nostro Dio vi ha date?; tu risponderai a tuo figlio: eravamo schiavi del faraone in Egitto, e Iahvè ci fece uscire dall’Egitto con mano potente. Iahvè operò sotto i nostri occhi segni e prodigi grandi e terribili contro l’Egitto, contro il Faraone e contro tutta la sua casa. E ci fece uscire di là per condurci nel paese che aveva giurato ai nostri padri di dare” (Dt 6,20-23). “Un arameo nomade era mio padre, e quando scese in Egitto divenne colà uno straniero a cui appartenevano solo poche persone. Ma là divenne un popolo grande, forte e numeroso. Gli Egiziani però ci trattarono male, ci oppressero e ci fecero lavorare duramente. Allora invocammo Iahvè, il Dio dei nostri padri, e Iahvè ci ascoltò e vide la nostra miseria, la nostra pena e la nostra tribolazione. E Iahvè ci portò fuori dall’Egitto con mano forte e braccio teso, con paurose azioni di grandezza, con segni e miracoli e ci portò in questo luogo  e ci diede questa terra, una terra in cui scorre  latte e miele” (Dt 26, 5-9). Queste espressioni del “credo storico” d’Israele manifestano come la fede sia innanzitutto una risposta all’alleanza, in cui Iahvè esige di essere riconosciuto come unico Dio in una fedeltà assoluta (da notare la radice ebraica ‘mn che significa: fedele, stabile; da cui il nostro “amen”: è così!) e di essere l’unico termine di fiducia nei momenti belli e nei momenti difficili della prova (radice ebraica bth). Credere, secondo l’Antico Testamento , significa ritenere con assoluta serietà che Dio è Dio, contenendo così anche l’idea dell’unicità ed esclusività del rapporto con Dio. In questo incontro salvifico tra Dio e l’uomo che si verifica nella fede l’iniziativa è tutta di Dio: “Per l’Antico Testamento la fede è sempre reactio dell’uomo all’actio primaria di Dio”. Questa fede, per quanto sostenuta dalla testimonianza dei Padri, di Mosè, dei grandi condottieri e salvatori (giudici), dei profeti, entra in crisi di fronte ai culti stranieri, per le in giustizie che travagliano il popolo e per la fiducia risposta in una politica che preferisce i mezzi umani alla fede- fiducia assoluta in Iahvè (Os 2,7-9). Tutto il complesso di questi fattori farà ricadere Israele prima nell’oppressione, poi nell’esilio. Da questa esperienza nasce una nuova fede: sarà soprattutto una fede di poveri ( i poveri di Iahvè), di un nuovo Israele che ha imparato – a sue spese – a confidare non sui propri mezzi, bensì ad aprirsi con fiducia all’aiuto di Dio. Sarà questa fede dei poveri, a volte drammatica e travagliata dal dubbio, a offrire la base dei nuovi tempi, l’accoglimento dell’evangelo. Il Nuovo testamento traduce con il termine che noi diciamo “credere”. Analizzando i vari usi, possiamo sintetizzare questi diversi aspetti: - la fede di Dio, prestare fede alle sue parole e alle sue promesse: “cedettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù” (Gv 2,22); - la fede è obbedienza a Dio e alle sue parole, consegnandosi a Dio nel dono totale di sé: paolo parla di “obbedienza della fede” (Rm 1,5); - la fede è riconoscere ciò che Dio ha fatto per noi, cioè che Gesù Cristo è morto e risorto per noi: “noi crediamo in Colui che ha risuscitato dai morti Gesù nostro Signore, il quale è stato messo a  morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione” (Rm 4,24-25); - la fede è comunione di vita con Dio già qui in terra ed aspirazione alla comunione piena e definitiva dopo la morte: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno” (Gv 11, 25-26); La fede è un dono gratuito di Dio, un dono che può venire solo da lui: “Noi riteniamo infatti che l’uomo è giustificato per la fede indipendentemente dalle opere della legge” (Rm 3,38); la fede è la decisione radicale e fondamentalmente dell’uomo: “Molti di più credettero per la sua parola e dicevano alla donna: non è più per la tua parola che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo” (Gv 4,41). Questa molteplicità di aspetti della fede non deve impedire di co9mprendere la sua unità; la fede non è una serie di atti né un atto isolato, ma un atteggiamento di fondo della persona, che dà un nuovo e permanente orientamento a tutta quanta la vita. Come per l’Antico Testamento , la fede è essenzialmente una risposta a ciò che Dio ha operato, questa volta però in modo definitivo (escatologico) in Gesù di Nazareth. Nella letteratura paolina, l’autore sottolinea maggiormente come la salvezza dell’uomo in base alle sue opere, bensì fa vedere come la fede è assoluto abbandono dell’uomo a Dio, abbandono al quale l’uomo non può decidersi da solo, ma come risposta all’iniziativa primaria di Dio. Questa convinzione però non fa dimenticare a Paolo la parte che, nella decisione di credere, compete alla libera volontà dell’uomo. Il quarto vangelo insiste di più sulla fede come accettazione del messaggio cristiano (GV 4,39.41). Tali sottolineature con fermano quanto già più sopra affermato: la fede coinvolge tutta quanta la persona umana nel suo conoscere, nel suo volere, nel suo agire. La fede comporta un’esigenza di totalità: significa l’accettazione del messaggio dell’unica azione di salvezza di Dio che è Gesù Cristo, significa l’adesione totale a questa via di salvezza scelta da Dio. E’ questa la bella notizia (evangelo) che Gesù stesso porta, che Gesù stesso è, che i discepoli annunciano con entusiasmo e per la quale diedero la vita. Dopo averla ascoltata, gli uomini sono chiamati a decidersi irrevocabilmente. “La fede dipende dalla predicazione e la predicazione a sua volta si attua per la parola di Cristo”; decidersi di cambiar vita (conversione), essere una creatura nuova: “Se uno è Cristo, è una creatura nuova, le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove” (Rm 10,17).
 
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