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VARIE INTERPRETAZIONI SUL NUMERO 666
UOMINI ANGELIZZATI Di don Marcello Stanzione PDF Stampa E-mail
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venerdì 01 luglio 2022

UOMINI ANGELIZZATIIl cristiano che aspira alla perfezione, non può fermarsi su niente: allontana tutti gli ostacoli, rompe tutti i lacci che gli impediscono di correre verso la patria. San Giovanni Crisostomo ci invita a contemplare lo splendido esempio delle tre grandi figure di asceti: Elia, Eliseo e San Giovanni Battista, modelli di solitari, “vissero su questa terra come se vivessero in cielo, senza bisogno di pareti, né tetti, né letti, né tavoli, e nemmeno altri oggetti di altra specie, quando serviva loro il tetto, il cielo, il letto, la terra, il tavolo, l'isolamento, quello che per altri era causa di penuria, la sterilità nel deserto, era per quei santi uomini, fonte di abbondanza. ...

 
Non avevano bisogno di vigne, né frutti, né di seminare, bensì di lagune, fonti e fiumi che elargivano loro una soave e abbondante bibita”. La Sacra Scrittura presenta altri modelli di asceti cristiani; ad essi si ispiravano i monaci, come si può vedere in questo paragrafo dell'epistola d'oro di Guglielmo di Saint Thierry ai certosini di Mont Dieu: “Voi che siete spirituali come gli ebrei, cioè di passaggio, non avendo qui una città permanente e cercando la futura, edificatela, incominciate a farlo nei luoghi dove abitate. Giacché i nostri padri abitarono nelle tende quando occupavano la terra promessa come una terra estranea con i coeredi della promessa, aspettando la città seduta sulle fondamenta, il cui fondatore e architetto è Dio, senza ricevere il promesso, però vedendolo da lontano, salutandolo, e ammettendo di essere ospiti e pellegrini sulla terra. Le cose che dicono fanno ben capire che cercano una patria migliore, cioè la celestiale. Per questo i nostri padri dell'Egitto e della Tebaide, ardentissimi imitatori di tal genere di vita, abitando in deserti, tribolati, maltrattati, nessuno di quelli era degno del mondo, si fabbricavano capanne nelle quali solamente coperti si difendevano dal vento e dalla pioggia, e abbondando nelle delizie della frugalità eremitica, essendo essi stessi poveri, arricchivano molti. Non sapevano come chiamarli più degnamente, se uomini celestiali o angeli terreni, vivendo sulla terra, però essendo cittadini del cielo, lavoravano con le loro mani e alimentavano con il loro lavoro i poveri”. Il profeta Elia è, con Eliseo e San Giovanni Battista il grande prototipo dell'uomo votato all’imitazione degli angeli. San Giovanni Crisostomo si riferisce a questi tre quando dice: “Hai visto angeli sulla terra? Hai visto il potere della verginità? Questo fa sì che degli uomini impastati di carne e sangue, che andavano sulla terra ed erano soggetti alle necessità della natura corporea, potessero vivere quaggiù come se fossero incorporei, come se abitassero già in cielo, come se avessero ottenuto l'immortalità”. Di uno di essi, il profeta Elia, il siriano Afrahat scrive poeticamente: “Poiché il suo cuore abitava in cielo, gli uccelli del cielo gli portavano il cibo; perché era simile agli angeli del cielo, gli stessi angeli gli procuravano pane e acqua quando fuggiva da Jezabel; e perché aveva posto tutti i suoi pensieri nel cielo, fu portato via in cielo in un carro di fuoco e lì stabilì la sua dimora per sempre”. Questo è l'uomo angelico. Troviamo un altro prototipo nel grande Sant'Antonio, del quale già si è detto, da Sant’Atanasio, che domava le belve. Un così meraviglioso dominio non era altro che l'effetto logico di avere introdotto l'armonia della propria interiorità, di avere raggiunto la apateia, come si vede da ciò che ci racconta il suo biografo: nulla lo esaltava, né l’avviliva; le passioni della carne non debilitavano la risolutezza della sua anima; questo equilibrio spirituale influiva sul suo stesso corpo, il quale si mantenne indifferente e vigoroso fino ad un’età molto avanzata. L'uomo paradisiaco riviveva in lui in un modo così notevole, che quando qualche sconosciuto sentiva il desiderio di vederlo, si distingueva dagli altri fratelli per la perfetta serenità dei suoi gesti e la celeste allegria che si rifletteva sul suo volto. Questo aspetto paradisiaco ed angelico che i corpi stessi dei grandi asceti presentano, già per metà spiritualizzati, è uno dei luoghi comuni della letteratura cristiana, antica e medievale. A volte si manifesta in modo meraviglioso. Così nel caso che si riferisce all'abate Silvano, il quale vide uno dei suoi visitatori con il volto e il corpo tutto risplendente “come un angelo”; stando a quel che dice lo stesso anacoreta che lo vide, era stato concesso a vari altri solitari. L’abate Daniele, evocava le sembianze del suo maestro, il celebre abate Arsenio, un anziano alto, magro, slanciato, completamente bianco e con una lunga barba che gli arrivava alla cintura; la “sua figura” – aggiungeva - “era angelica come quella di Giacobbe”. Del patriarca dei monaci dell'Occidente, San Benedetto, i suoi figli cantano tutti gli anni: “L’uomo di Dio, Benedetto, aveva il viso sereno, era rivestito di abiti angelici, e tanta era la luminosità che irradiava, che restando ancora sulla terra, già viveva in cielo”. Pietro il Venerabile, abate di Cluny, ha visto l'ideale della vita angelica incarnato in uno dei religiosi del suo monastero, chiamato Benedetto, del quale ci ha tracciato un edificante ritratto. Per conoscere la grande virtù del sant'uomo era sufficiente contemplare il suo modo di fare esteriore: “Il corpo indebolito, il viso pallido, i capelli trascurati e venerabili della sua stessa canizie, la testa inclinata, gli occhi quasi sempre chiusi, la bocca che sussurrava senza smettere le parole sacre, rivelavano un uomo posto non sulla terra, ma in cielo”. Costui non faceva orecchie da mercante quando l’Apostolo diceva: “Cercate le cose di lassù, dov’è Cristo, seduto alla destra di Dio; assaporate le cose di sopra, non della terra. La nostra vita è nei cieli”, avrebbe potuto dire con lui. Essendo arrivato a un tale grado di perfezione, non c’è da meravigliarsi che, nell’ora della sua morte, vedesse la casa piena di uomini vestiti di bianco, in realtà angeli del cielo che erano scesi dalle alture per prendere con loro il concittadino, il quale, spiritualmente, da sempre viveva con loro. L'autore della Historia monachorum afferma di aver visto nei deserti d’Egitto molti santi solitari che facevano vita celeste sulla terra. Erano come altri profeti, tanto per le loro virtù, come per il loro potere di profetizzare; perché come testimoni della loro santità, Dio aveva concesso loro il dono di operare miracoli. E l'autore di questo commento aggiunge in modo molto pertinente: “Perché non devono ricevere i poteri degli abitanti del cielo quelli che non conducevano nulla di terreno e carnale?”.A volte gruppi interi di monaci, come quelli che militavano sotto la direzione dell'abate Apollonio o i solitari di Lerins sono descritti come cori e squadroni angelici. Adornati di tutti i tipi di virtù, uomini spirituali, si applicano con fervore alle stesse attività degli spiriti celesti: contemplare e lodare Dio.

 

 
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