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VARIE INTERPRETAZIONI SUL NUMERO 666
COME I MONACI IMITANO GLI ANGELI Di don Marcello Stanzione PDF Stampa E-mail
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giovedì 01 settembre 2022

COME I MONACI IMITANO GLI ANGELI Gli antichi testi dei santi padri, di dottori della Chiesa, di storici, di autori asceti, di concili, della liturgia, affermano espressamente che la vita dei monaci è un'esistenza di angeli. La tradizione è unanime, in Oriente e Occidente. "Tu che ami appassionatamente l'ideale celeste della vita angelica" diceva San Basilio di Cesarea a un candidato alla vita monastica, "entra coraggiosamente nella società dei monaci". I monaci formano una "milizia celeste e angelica" "costituiscono un ordine angelico"; "vivono tuttavia sulla terra come gli angeli del cielo". ...

 

San Pier Damiani dà agli abati il titolo di "arcangeli dei monaci". Secondo lo stesso santo dottore, i religiosi di Monte Cassino formavano un "convento angelico e santo", e la comunità monastica benedettina di Cluny era il "coro della milizia angelica"; e il biografo di San Ugo chiama questa insigne Badia "deambulatorium angelorum". Molti secoli prima Fausto di Riez dava ai religiosi di Lerins il titolo di milizia insulare della congregazione angelica" e un anonimo scrittore monastico si esprimeva in questo modo per caratterizzare le abitudini dei monaci d'Egitto: "Vidi là molti padri che conducevano vita angelica e camminavano a imitazione di nostro Signore Gesù Cristo". In questa prospettiva non doveva sembrare strano che l'abito monacale era chiamato "vestizione angelica". Nel rituale greco della professione monastica si domanda al postulante: "Vuoi ricevere la vestizione angelica ed essere ammesso nella comunità dei monaci?"; e nell’imporgli l'abito si spiega il suo simbolismo: "Ricevi in pegno, fratello nostro, la cogolla (cappuccio monastico), il gran vestito degli angeli, affinché senza la corruzione del peccato tu viva santamente". Anche in Occidente l'abito monastico era conosciuto come abito angelico. E tanto diffusa era la consuetudine di vedere nei monaci gli imitatori di spiriti celesti che un antico legislatore latino dava piena ragione ai religiosi perché non uscissero facilmente dalla clausura: “Non sia -dice- che ci venerino come gli angeli". La tradizione a questo riguardo è veramente abbondante. Talvolta, per citare comunque un esempio, l'eloquenza di San Giovanni Crisostomo soleva portarlo più in alto di quando celebrava la vita angelica che fioriva nelle solitudini dei paesi del Nilo, trasformandoli in parchi ameni: "Se adesso visiti il deserto d'Egitto, lo vedrai trasformato nel più bel paradiso: lì cori interminabili di angeli in forma umana e moltitudini di martiri e congregazione di vergini; lì distrutta la tirannia del diavolo lo splendore del regno di Cristo. […] da qualsiasi luogo di quel paese si può contemplare l'esercito di Cristo, la vita delle potenze superiori. Alla fine non brilla tanto il cielo con i vari cori delle sue stelle come il deserto dell'Egitto, dispiegando davanti ai nostri occhi dappertutto le tende dei suoi monaci".  Quindi una tradizione tanto antica paragona la vita religiosa con quella degli spiriti celesti. Questa tradizione è arrivata fino ai tempi recenti, inclusi i nostri giorni del ventunesimo secolo.

 

 
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