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VARIE INTERPRETAZIONI SUL NUMERO 666
L’EDITRICE ANCILLA STAMPA PREGHIERE DI GUARIGIONE E LIBERAZIONE NELLA MALATTIA Di Elia Lucchini PDF Stampa E-mail
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mercoledì 16 novembre 2022

PREGHIERE DI GUARIGIONE E LIBERAZIONE NELLA MALATTIAPino Sciarrino, leader carismatico della Comunità di Missaglia e don Marcello Stanzione, sono gli autori del manuale cattolico di orazione intitolato: “Preghiere di guarigione e liberazione nella Malattia” edito dall’editrice veneta Ancilla.

Il vangelo è una scuola ininterrotta di preghiera vissuta nelle varie forme. Spesso gli evangelisti mettono a fuoco Gesù mentre prega,  e ancor più spesso nei racconti di incontri di Gesù con la gente emergono lodi, implorazione di aiuto, suppliche e richieste di perdono. ...

 

Nei racconti di guarigione (vedi per esempio il centurione,[1] il cieco di Gerico,[2] la cananea[3]) Gesù risponde sempre ad una richiesta e ad una preghiera fatta con fede, tanto da arrivare a dire: «Tutto quello che chiederete con fede nella preghiera lo otterrete».[4]

Insieme alla fede Gesù pone una condizione fondamentale per iniziare a pregare: il perdono del fratello. Egli stesso dice: «Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi i vostri peccati».[5]

Un altro aspetto fondamentale è la costanza nella preghiera: «Bisogna pregare sempre, senza scoraggiarsi mai».[6] Quella della costanza è una tappa di conquista per chi si inoltra nel consolidamento della propria vita di preghiera. L’esperienza di una preghiera saltuaria e la fatica da parte di molti di portare avanti con impegno la propria preghiera la si riscontra spesso nei semplici fedeli laici ma anche in alcuni che, pur essendosi consacrati a Dio, fanno fatica a contemperare apostolato e preghiera, vita attiva e vita contemplativa. Occorre sempre motivarsi a partire dalla sostanza della preghiera: è nella preghiera che Dio si comunica e ci comunica la sua forza e il suo amore per vivere fruttuosamente ogni attività umana.

Quanto fosse importante la preghiera per Gesù emerge dal fatto che egli stesso passava molto tempo in dialogo con il Padre. Ci viene in aiuto questa pericope del vangelo di Marco: «Al mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle tracce e, trovatolo, gli dissero: tutti ti cercano!».[7] Altri brani evangelici ugualmente mettono in evidenza tanti dettagli sulla preghiera di Gesù: spesso prega in un posto solitario, si abbandona con confidenza di figlio al Padre, a Lui raccomanda coloro che gli ha affidato, si arrende alla volontà del padre, altre volte si prostra.[8]

La frequenza dei passi evangelici sulla preghiera ce ne suggerisce l’importanza anche per la guarigione, cosa che la stessa psicologia è arrivata a confermare. Riportiamo, a mo’ di esempio, e a conferma di quanto poc’anzi detto, quanto asserisce Vittorio Albisetti, un laico psicoanalista e psicoterapeuta di successo con alle spalle centinaia di pazienti guariti. Egli afferma:

«Ho capito, in questi ultimi tempi della mia esistenza, che la preghiera guarisce, perché essa al contrario dell’introspezione, aiuta a uscire da sé. Se è autentica, la preghiera trasforma la personalità. [...] Ho iniziato a trasformare i miei studi in scuole di preghiera e comincio a vedere i primi risultati: il depresso che sta meglio, il dissociato che migliora, il drogato guarito, perché hanno imparato a pregare. La preghiera non è un optional, ma una necessità. Senza la preghiera non c’è significato, non c’è senso per noi creature umane. [...] Pregare frequentemente non è e non deve essere solo dei monaci, ma soprattutto di noi, uomini di azione, persone che lavorano, che hanno una professione».[9]

 

Il “luogo” per eccellenza per l’incontro orante tra Dio e l’uomo è il cuore. La Bibbia denomina il centro spirituale dell’uomo con il termine “cuore”. Esso è la sede dell’intelligenza. Il termine ebraico lev,[10] designa quella facoltà spirituale che permette ogni uomo di entrare in rapporto con Dio. Per il battezzato questa intima relazione ha i connotati della figliolanza, in quanto può rivolgersi a Dio chiamandolo «Abbà» (Gal 4,6). Ogni battezzato può spingersi a tanto nella preghiera, cogliendo il dono che gli è stato fatto come una possibilità di comunione con il Padre, coinvolgendosi direttamente e personalmente nella custodia di questo dono, che - come tale – va esercitato, allenato, educato. È proprio la preghiera la via privilegiata per l’acquisizione del “cuore nuovo” di cui tanto parla il profeta Ezechiele.[11] A tal proposito, afferma S. Gregorio Sinaita che la preghiera è la manifestazione del Battesimo.[12]

Lo stesso insegna la carmelitana Elisabetta della Trinità quando volendo spiegare l’inabitazione di Dio nell’anima fa riferimento al fatto che per mezzo del Battesimo la SS. Trinità viene a dimorare nella cella più intima e segreta del nostro cuore. [13]

 



[1] Lc 7,1-10

[2] Mc 10,46-52

[3] Mt 15,21-28

[4] Mt 21,22.

[5] Mc 11,25.

[6] Lc 18,1.

[7] Mc 1,35-37.

[8] Cf. Lc 5,16; Mc 1,35; Mt 14,23; Lc 6, 12-13

[9] V. Albisetti, Guarire con la meditazione cristiana. Un modo nuovo di pregare, Paoline, Milano 2005, 92-93.

[10] Il termine fondamentale dell’antropologia biblica – lev – viene solitamente tradotto con “cuore”. Nella forma più usata, che è lev (לב), questo vocabolo ricorre 598 volte nelle Scritture Ebraiche; nella forma levàv (לבב) ricorre 252 volte; in aramaico si rinviene una sola volta come lev (לב) e 7 volte come levàv (לבב), sempre in Dn. Complessivamente, dunque, lo si incontra 858 volte. Si tratta del concetto antropologico più usato nella Scrittura. A ciò si aggiunga che esso è usato quasi esclusivamente con riferimento all’essere umano (2Sam 17:10; Os 7:11; Dn 4:13;5:21). Solo 26 volte si parla del “cuore” di Dio, 11 volte del “cuore” del mare, una volta del “cuore” del cielo e una volta ancora del “cuore” dell’albero. Rimangono quindi 814 passi che parlano esclusivamente del “cuore” umano. Questi passi sono perciò più numerosi di quelli in cui ricorre il termine nèfesh.

[11] Cf. Ez 11,19; 18,31; 36,26.

[13] Evento vissuto da Gesù nel Giordano (Cf. Matteo 3,13-17) ed elevato a sacramento da Gesù stesso (Cf. Mt 28,16-20).

 
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