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Michele il Cavaliere di Dio PDF Stampa E-mail

Michele il Cavaliere di Dio

Se la tradizione cristiana fa di Michele uno spirito più elevato nella gerarchia celeste di Raffaele e Gabriele, questi che si chiama il grande arcangelo è nominato nella Bibbia un po' più tardi dei suoi compagni. Ancora egli non si mostra: è un personaggio misterioso che parla di lui al profeta Daniele, designandolo come "uno dei primi capi" (Dn 10, 13). Egli apparirà. Splendido e vittorioso, solamente al termine del Sacro Libri, nell'Apocalisse. Come pure non è stupefacente che, sulla celebre icona della Madonna del Perpetuo Soccorso, San Michele presenta la spugna e la lancia della Passione di Cristo: egli è l'angelo che, in una prospettiva escatologica, annuncia il compimento perfetto delle Scrittura.

Di fronte a lui, Gabriele porta la croce ed i chiodi, simboli della buona novella della Salvezza. Col loro carattere ultimo ed irrevocabile, il messaggio ed il compito di Michele completano quelli di Gabriele. Nell'Apocalisse, l'arcangelo è mostrato nel mentre lotta contro il Dragone infernale (Ap 12, 7). E' il richiamo del drammatico episodio della caduta degli spiriti ribelli e delle sue conseguenze, non solamente nel mondo angelico, ma per l'umanità, come l'ha intravisto la mistica svizzera ADRIENNE VON SPEYR (1902-1967): Il grande dragone combatte il grande angelo, e gli angeli del seguito del dragone contro quelli del seguito di Michele. Non è Dio che si abbassa nel combattere personalmente contro il diavolo; egli designa per questo un angelo che è dello stesso rango del dragone. Se si considerano le forze in campo, le possibilità di vittoria sono uguali. E la lotta si svolge in pieno cielo, in presenza di Dio. non si vede dapprima che l'aspetto negativo: il dragone non riporta la vittoria, egli non ha più alcun posto in cielo.

E' gettato fuori dal cielo con i suoi, ed il vuoto nel cielo non è colmato. La caduta dal cielo, che è poi commentata dalla voce, significa la fine del potere di Satana davanti a Dio, come pure l'annuncio della salvezza. Non solamente la salvezza della Donna, ma la vittoria della potenza di Dio e del suo regno, che è stata stabilita dall'obbedienza del Figlio. Santa Ildegarda vedeva prima di tutto l'aspetto positivo di questo dramma cosmico: E' Michele in effetti, che, negli echi delle trombe del giudizio nascosto di Dio, ha colpito a morte il serpente che desiderava conoscer la chiarezza di Dio. e' lui che, con l'energia divina, ha precipitato il serpente nel pozzo degli inferi, che ignora il limite del fondo. E la banda dei suoi seguaci, di quelli che lo avevano seguito come un padrone, cadde con lui. Dopo la rovina del nemico antico, i cori celesti non smisero di celebrare Dio, perché il loro accusatore era caduto, e perché non vi era più posto in cielo per lui. Senza penetrare così avanti nella contemplazione del mistero, Rosa Quattrini, la veggente di San Damiano intravede il ruolo dei tre arcangeli nell'economia della salvezza, chiaramente quella di Michele: San Raffaele, il viaggiatore, quello che accompagna Tobia, è vestito di bianco: egli conduce in Cielo, che è tutta purezza. San Michele è vestito di blu: egli fa trionfare il Cielo sull'Inferno. San Gabriele è vestito di rosso: egli annuncia il Redentore, che è tutto fuoco d'amore e versa il suo sangue per tutti. Ella non fa che illustrare secondo un modo visionario la tradizione della Chiesa: Michele è il Vittorioso, annunciatore della vittoria ultima di Cristo Salvatore.

In lui, la Bibbia saluta con gratitudine al momento della prova - l'esilio a babilonia - il "principe protettore degli Ebrei" (Dan 10, 21), il "grande principe, difensore dei figli del popolo ebreo" (Dan 12, 1). Così la Chiesa, nuovo Israele, riconoscerà in Michele il suo particolare protettore, che adotterà ugualmente per tale la Francia, Figlia maggiore della Chiesa. Non si saprebbe trovare di meglio: la sua protezione è un pegno sicuro di vittoria. Lungo la storia, numerosi interventi del grande arcangelo in favore della cristianità, ma anche della Francia - basta ricordarsi di Giovanna d'Arco - sottolineeranno la potenza della sua intercessione. Ma, per importante che sia la sua missione, San Michele non disdegnerà mai di portarsi in soccorso di umili particolari, il che lo rende estremamente popolare e caro alla pietà del popolo di Dio. 1 - GLI ALTIPIANI DELL'ARCANGELO Il Mont Saint-Michel e la sua Merveille sono universalmente conosciuti, classificati nel patrimonio mondiale dell'UNESCO. Esistono comunque altri santuari consacrati anteriormente all'arcangelo. Il più antico, frequentato già nel III secolo, si trovava a Col ossea, in Frigia: con la sua spada di luce, l'arcangelo aveva fenduto una roccia in due per farne sgorgare una sorgente miracolosa. Egli aveva compiuto lo stesso prodigio a Chairêtopa, sempre in Frigia: le acque curatrici guarivano i fedeli che invocavano la Santissima Trinità.

Ma uno dei più importanti era la chiesa edificata a Roma sulla via Salaria dal papa Leone Magno (+ 461), in ringraziamento della protezione accordata dall'arcangelo alla Città al moneto delle invasioni uniche. Di fronte all'avanzata delle orde di Attila, il pontefice, avendo rimesso la sorte della città tra le mani del grande arcangelo, si era avanzato alle porte della città incontro al Flagello di Dio che, impressionato dalla marcia e allettato da un confortevole bottino, non spinse più avanti la sua spedizione: salvata Roma, la chiesa promessa all'arcangelo fu dedicata il 29 settembre, che è rimasto il giorno della festa di San Michele (e dal Vaticano II, dei tre arcangeli). Ciò nonostante, tre anni più tardi, nel 455, il papa non ebbe la stessa possibilità con Genserico, re dei vandali - ben nominati - che invasero e saccheggiarono la Città. Finora, nessuno ha potuto dare una spiegazione soddisfacente di questa subitanea diserzione del Principe degli eserciti celesti. La preservazione provvidenziale di Roma minacciata dagli Unni confortò l'idea che Michele era il difensore speciale della Chiesa: non ne aveva salvaguardato la sede? La credenza in questa protezione particolare risale al IV secolo quando Costantino, frescamente convertito al cristianesimo, riporta la vittoria decisiva sul suo rivale Massenzio, il 29 ottobre 312. tutti conoscono la storia: ansioso per la riuscita della lotta che si prepara ad ingaggiare, il giovane Cesare d'Occidente ha l'ispirazione di porre alla testa dei suoi eserciti, nettamente meno numerose di quelle di Massenzio, padrone di Roma, un pavese - il labarum - recante il segno della croce, che gli sarebbe stata mostrata nel cielo la sera della vigilia, con questo commento scritto in lettere greche: "Con questo segno tu vincerai".

Altre tradizioni affermano che una voce misteriosa gli avrebbe ingiunto di far dipingere sugli scudi dei suoi uomini le lettere greche Chi e Rho, intrecciate, che sono le iniziali di Christos. Comunque sia allora accaduto e che cosa egli abbia fatto - forse il tutto, due precauzioni valgono meglio di una -, Costantino schiaccia Massenzio presso il ponte Milvio, nel luogo detto Saxa Rubra (Pietre Rosse), ed il vinto muore malinconicamente annegandosi nel Tevere. Due anni più tardi, nel 314, Costantino ha una visione. Un essere di luce gli appare, in piedi, vestito d'una lunga tunica, con le ali largamente dispiegate, le gambe leggermente divaricate e solidamente piazzato sul suolo, che gli dichiara: Io sono Miche, il capo del Dio degli eserciti, il protettore della fede dei cristiani. Sono io che, quando tu combattevi contro l'empio tiranno, ti ho assistito, rimettendo la vittoria tra le tue mani. Riconoscente, Costantino eleva all'arcangelo una bella chiesa a Sousthenion, una periferia della città di Anapea, a circa cinquanta miglia da Costantinopoli. Il santuario - chiamato Michaelion - è consacrato l'8 giugno 337, e gli ortodossi ne celebrano sempre la dedicazione, in questa data. Nel 483, inquieto per l'avanzata di orde barbare provenienti dall'Asia centrale, il vescovo Focius di Apamea, in Siria, fa edificare e consacrare un altro Michaelion a Quarte, non lontano dalla sua città episcopale: in un mosaico l'arcangelo vi è rappresentato come apparve a Costantino, recante nella mano sinistra un globo e nella destra una croce dal piede affilato con la quale trafora il dragone. Tutti questi santuari, non più della cappella dedicata all'arcangelo nel 429 a Spoleto, in Umbria, non hanno conosciuto la celebrità degli altopiani visitati da San Michele nei secoli successivi.

L'ARCANGELO NELLA CAVERNA. Nell'anno 492, Elvio Emmanuele, un conte, si dice -, ricco proprietario di greggi dei dintorni di Siponto, in Puglia, constata che il più bel toro della sua mandria è scomparso. E' primavera, l'animale sicuramente ha percepito l'appello della natura e si è messo in cerca di qualche giovenca, dopo aver saltato la chiusura della prateria. Elvio ed i suoi bovari si mettono subito in cerca e, seguendo le tracce lasciate dal fuggitivo, raggiunsero, dopo ore di ricerca, le pendici selvagge del monte Gargano. Il posto, incidentato e selvaggio quanto possibile, è forato da anfrattuosità e da grotte più d'una gruviera di buchi. Ed è precisamente all'entrata d'una caverna che la piccola truppa scorge il giovane toro, in una posizione perlomeno strana: è come inginocchiato sulle sue zampe anteriori, e, malgrado gli sforzi del conte e dei suoi aiutanti, esso rifiuta ostinatamente di rialzarsi, muggendo con collera quando lo si scuote. Scocciato, tanto più che la notte scende, Elvio prende il suo arco e scocca una freccia all'animale. Ora, prodigio, il dardo sembra ribattere sul fianco del toro e ritorna per conficcarsi nel braccio del tiratore. Più impressionato che sensibile al suo dolore, questi decide di lasciare il toro sul posto e di ritornare in città, poiché la notte cala. Evidentemente, i testimoni dello stano incidente parlano e, essendo la notizia pervenuta agli orecchi del vescovo Lorenzo, questi prende le misure che s'impongono: tre giorni di digiuno e di preghiera per tutta la popolazione, al fine di sapere che cosa significhi quella fantasia taurina.

Il terzo giorno, un cavaliere bianco, circondato di luce appare al prelato: Io sono Michele, l'autore del prodigio della grotta. Oramai, essa sarà il mio santuario su questa terra. Per impressionato che sia dalla visione, Lorenzo non fa granché, tanto più che il toro, compiuta la sua missione, ha saggiamente riguadagnato la mandria. Ma l'angelo non se ne lascia conto: egli vuole il suo santuario - perché Dio lo vuole - e lo avrà. Poco dopo la sua apparizione, navigli barbareschi puntano le loro vele sul mare: una flotta immensa trasportante delle truppe che vorrebbero saccheggiare la regione. Di nuovo, Lorenzo ordina ai suoi fedeli un triduum di digiuno e di preghiere. Il terzo giorno, allorché una pioggia provvidenziale spazza come fuscelli di paglia i bastimenti nemici, l'arcangelo appare, rivendicando la vittoria. Questa volta convinto, il vescovo scrive al papa Gelasio per sollecitare l'autorizzazione di consacrare la grotta e di dedicarla a San Michele. Ma, stimando che si è perduto molto tempo, l'arcangelo viene una terza volta a visitare il vescovo: inutile complicarsi l'esistenza, la grotta è stata consacrata da lui stesso! Ad ogni modo, la risposta del papa sarà favorevole. Molto presto s'innalzerà, sontuosa, la basilica dedicata al grande arcangelo, sul sito chiamato da allora Monte Sant'Angelo. Essa sarà, nel Medio Evo, una delle tappe più importanti del pellegrinaggio verso la Terra Santa, e vi si mostrerà per molto tempo lo splendido paludamentum porpora - il mantello degli ufficiali della cavalleria romana - che vi avrà lasciato l'arcangelo come segno del suo passaggio. Michele manifesterà ancora la sua protezione sul paese al momento di un'epidemia di peste, nel 1656: mostrandosi a Giovanni Alfonso Puccinelli, vescovo di Manfredonia (l'antica Sipontium), il 22 settembre di quell'anno, assicurandolo che il flagello sarebbe scomparso dacché si sarebbe celebrato un triduum in suo onore, il che in effetti avvenne. * * *

Francesco d'Assisi visita Monte Sant'Angelo recandosi in Terra santa. Nella sua umiltà, egli passa la notte in preghiera alla porta del santuario, giudicandosi indegno di varcarne la soglia. Un secolo più tardi, la beata ORINGA (+1310) fa il pellegrinaggio con due amiche. Allorché attraversano la fitta foresta Umbra, che copre il monte Gargano, le ragazze sono intercettate da dei briganti che si propongono di servire loro da guide. Come esse si interrogano, non senza inquietudine, un bellissimo uomo di grande statura aureolato di luce, dal volto radioso e dagli occhi scintillanti come delle stelle, si mostra e si rivolge ad esse: "Ragazze, lasciate questi miserabili che vogliono condurvi nel loro rifugio per rapire i vostri beni e la vostra virtù!". Alla sua vista, i maramaldi spariscono, nel mentre che lo sconosciuto invita le pellegrine a seguirlo fino ad un chiarore, vicino ad una sorgente: egli le fa sedere nell'erba e presenta loro un delizioso dolce,così come anche un fiasco di vino squisito, improvvisando un picnic sotto la copertura degli alberi. Poi le riporta sulla strada fino ad un albergo dove passano una notte tranquilla. L'indomani, esse raggiungono senza ingombro il santuario e riconoscono, nell'effigie del grande arcangelo, il loro obbligante compagno della vigilia. Rientrata nella sua natale Toscana, Oringa vi fonda sotto il nome di Cristina della Croce un monastero di religiose agostiniane, dove beneficia di molteplici apparizioni di San Michele: egli la incoraggia nelle sue preghiere, pone in fuga i demoni che la tentano e la molestano, la conforta con soavi profumi che riempiono la sua cella. Per umiltà. Ella rifiuterà sempre di essere superiora della comunità e condurrà una vita nascosta, tutta dedita alla preghiera, alla penitenza ed al servizio dei poveri. Due secoli dopo la sua morte - precisamente nel 1514 - si ritroverà il suo corpo incorrotto. * * *

Nell'autunno del 1753, fra GERARDO MAJELLA (1726-1755), religioso presso i Redentoristi di Melfi, intraprende il pellegrinaggio al monte Gargano con dieci giovani confratelli. Egli è incaricato della cura della piccola truppa, che dispone di due asini per portare i bagagli, e della somma derisoria di dieci carlini. Dopo la prima tappa a Foggia, non rimane molto denaro e le montature sono esauste. Gerardo li lega ad una carriola di noleggio e, avendola fatta inforcare da due dei suoi compagni, ordina loro in nome della Santissima Trinità, di trasportare la piccola truppa al galoppo fino a Manfredonia, dove le bestie giungono a spron battuto, tutte gagliarde. Nella città, essi sono accolti da un canonico generoso che è impressionato da quell'entrata spettacolare: per ringraziarlo, Grado guarisce sua madre ammalata. Infine, si raggiunge il Monte Sant'Angelo: nel santuario, folgorato da un'estasi, il santo religioso ha un'apparizione del grande arcangelo, a cui confida il pellegrinaggio. Sotto il suo patrocinio, egli moltiplica i pochi soldi rimasti - il che permette di comperare del pane - e fa apparire un piatto di pesce deliziosamente cucinati, con cui tutti si saziano. Infine, come il padrone dell'albergo dove trascorrono la notte presenta loro una somma astronomica, Grado gli annuncia che le sue mule stanno per crepare: subito, gli animali si rotolano per terra, in preda a delle convulsioni, non rimettendosi sulle loro zampe che quando l'albergatore propone una nota più ragionevole. Nel corso del viaggio di ritorno, un vecchio tirchio avendo loro rifiutato dell'acqua del suo pozzo, il santo taumaturgo glielo asciuga. Ma l'acqua risorga alla sua preghiera, quando il buonuomo si è pentito ed accetta di dissetarli. Gerardo è stato canonizzato nel 1904. * * *

Il Santo Padre PIO DA PIETRELCINA (1887-1968) nutriva una particolare devozione all'arcangelo, ed egli portò più d'una volta a Monte Sant'Angelo gli allievi del collegio serafico di cui aveva la carica a San Giovanni Rotondo. Egli si compiaceva nel raccontare loro la storia delle apparizioni: Essendo un toro sfuggito da una mandria, lo si ritrovò inginocchiato davanti ad una caverna. Anziché chiedersi perché pregava, le persone vollero catturarlo e, non pervenendovi, gli scoccarono una freccia; ma essa ritornò contro di essi. Quando si prega, nessuno può farci del male. Allora essi andarono ad informare il vescovo, che ordinò loro quello che il toro insegnava loro: pregare per tre giorni, e digiunare, per conoscere la volontà di Dio. L'animale non era tenuto al digiuno, il che è un precetto evangelico. Ma inginocchiandosi, egli rendeva senza saperlo omaggio al suo Creatore. Dio voleva con ciò richiamare a quella gente - ed a noi - che il nostro primo dovere, a noi che siamo le sue più belle creature, è di adorarlo. In capo a tre giorni, l'arcangelo è apparso al vescovo per dirgli che Dio prendeva la regione sotto la sua protezione e che la confidava a lui, San Michele, la custodia. Allora il vescovo ed il popolo andarono in processione alla caverna. Poi dimenticarono. Anche noi, dimentichiamo sovente le promesse ed i doni di Dio. E' stato necessario che il Signore inviasse l'arcangelo due altre volte al vescovo perché questi elevi l'attuale santuario. Vi si adora Dio, e si prega San Michele di proteggerci. Dalla legenda, che poggia su di un fondo storico, il santo cappuccino estraeva questa lezione: questa è la ragion d'essere delle leggende.

"Enciclopedia dei fenomeni straordinati" di Joachim Bouflet - Tradotto da Alfonso Giusti (Segretario Generale della M.S.M.A.)

 
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