Il filosofo Massimo Cacciari e gli angeli |
Il filosofo Massimo Cacciari nato a Venezia nel 1944 e di quella città è stato anche sindaco, professore di estetica all’università di Venezia, insegna anche all’università San Raffaele fondata da don Luigi Maria Verzè. Uno dei termini di partenza della sua riflessione è la nozione di “pensiero negativo”. Sulla scia di Nietzsche, Heiddegger e di una lettura originale di Wittgenstein, Cacciari coglie la crisi moderna dei fondamenti nella tecnica e nel convenzionalismo, intese come pure condizioni di una razionalizzazione transitoria che lascia sempre aperto l’abisso della costituzione ultima del senso, da cui conviene prendere congedo con disincanto weberiano (Krisis 1976; Pensiero negativo e razionalizzazione, 1977). Nella fase successiva, avviata con lo scritto Dallo Steinhof (1980) e poi proseguita con Icone della legge (1985) e L’angelo necessario (1986), l’interesse di Cacciari è concentrato sui presupposti storici e filosofici del pensiero negativo, anche nelle loro connessioni con la tradizione ... ... religiosa dell’Occidente. In Dell’inizio (1990), riprendendo i temi della “filosofia positiva” dell’ultimo Schelling, propone una concezione dell’essere come differenziato e tragicamente scisso fin dall’origine, che porta insita nella sua costituzione l’impossibilità della conciliazione. nel suo celebre volume L’Angelo necessario ha elaborato una complessa riflessione sull’angelo che ha il merito di aver riportato il tema angelo logico entro la contemporaneità. Egli ritiene impossibile sia contrapporre (come avviene on K. Barth) sia relazionare dialetticamente (come accade in R. Guardini) l’angelo biblico e l’angelo delle religioni b”pagane”. C’è una continuità di fondo tra i due angeli, anzi l’angelologia biblica non conosce, di fatto, una vera autonomia. L’angelo biblico dovrebbe essere creatura libera, ma per Cacciari – basti pensare agli angeli descritti da Ezechiele – anch’esso, come accadeva per gli angeli della tradizione religiosa babilonese, sta sotto “il segno demonico della necessità”. Per egli proprio l’angelologia è la “fondamentale riprova di quel rapporto vivente tra paganesimo e rivelazione di cui, da opposti punti di vista, parlano Schelling nella Filosofia della rivelazione e Rosenzweig nella Stella della redenzione”. La lotta, se di lotta si può parlare , tra L’Angelo della rivelazione e Angelo delle religioni si risolve inevitabilmente con la sconfitta del primo. L’angelo “pagano” vive come eterno presupposto, eternamente tolto, ma eternamente rammemorato nelle figure angeliche della rivelazione. L’iconografia cristiana in campo angelo logico è stata refrattaria, alle origine nel rappresentare l’angelo con le ali (abbiamo numerosi esempi negli affreschi delle catacombe, su vari sarcofagi paleocristiani, di angeli senz’ali, vestiti di tunica e pallio, a volte perfino barbuti) per distinguere in modo netto l’immagine dell’angelo cristiano da quella alata della pagana Vittoria. Ma, sottolinea il filoso veneziano: “Con la definitiva affermazione del cristianesimo si avrebbe la rivincita dell’antica dea, la cui immagine trionfa nelle “coppie di angeli che sovrastano i mosaici presbiterali nella chiesa di San Vitale di Ravenna”! Poiché nessuno più la “ricordava”, ecco che ella poteva fare ritorno. Paradossi della memoria – ma paradossi anche dell’angelo, che per tanti, essenziali aspetti dovrà sempre “ricordare” il proprio passato demonico”. E’ dunque , per egli, una pura illusione quello, ad esempio di Guardini di poter disincagliare e purificare l’angelo ebraico - cristiano dai suoi legami religiosi per poi successivamente inverarli: è piuttosto l’angelo del religioso a trascinare con sé nel suo mondo l’angelo della fede. In tal senso e “ inutilmente i dottori del Talmud cercheranno attraverso estenuanti allego resi, di “purificarne”la figura. Inutilmente l’ortodossia scolastica tenterà analoghe vie. Da tutta l’immaginario della cristianità, dell’ebraismo, dell’islam, ritorna il Karibu assiro. […] Di queste “pericolose” affinità il Talmud era ben consapevole: così si esprimeva il rabbino Simeone ben Laqisch (III secolo): “I nomi degli angeli sono venuti con quelli che tornarono da babilonia”. Questo è per Cacciari il vero dramma irrisolto dell’angelologia. Non c’è catarsi né possibile terapia: “Solo abolendo l’angelo stesso sarebbe possibile “guarirlo” da tali immagini” che lo condizionano irreversibilmente. La dipendenza dell’angelo biblico dell’angelologia babilonese è esplicita, , per egli, nella dimensione astrale, anzi zodiacale, che caratterizza gli stessi angeli biblici, guardiani del tempo e quindi nocchieri del corso dei mesi e delle stagioni, dell’alternarsi del giorno e della notte, della crescita dei frutti. In dante l’angelologia fondata sul ritmo della necessità astrale apparirà in tutta la sua evidenza: nel grande poeta l’idea dell’angelo come “animal necessitato”, come un ente inesorabilmente collocato nell’ordine cosmico giunge infatti alla sua dura espressione. Un’immagine dell’angelo quella dantesca, insieme trionfale e necessitata. Essa ha dietro di sé le grandi angelologie cristiane di Agostino, Bonaventura e Tommaso e ne disvela la palese impotenza di svincolarsi dal paganesimo angelo logico. Il problema irrisolto (ovvero il legame indissolubile con l’angelo delle religioni “pagane”) pere l’angelo cristiano è tutto qui. Come coniugare – se non antinomicamente – libertà e necessità? Un angelo, come quello biblico, che si è deciso una volta per sempre per o contro Dio, non si è forse insieme e per sempre consegnato a una “necessità”, quella di angelo salvato oppure di angelo perduto? E allora non si ritorna forse nella “logica” zodiacale con le influenze astrali fauste e infauste, angeliche e demoniache? Questo, per Cacciari, non è un problema ma il problema dell’angelologia giudaico – cristiana: “Come liberare davvero l’angelo dalla necessità astrologica di questo ritmo, che incessantemente sembra sedurlo verso le figure dell’idolo e del demone, conta minando la sua funzione teofanica? Come immaginare la “libertà” dell’angelo, se la sua figura proviene da quelle rappresentazioni mitologiche e zodiacali,e ancora vi si accompagna?”. Proprio quella decisione iniziale, che ha determinato il destino angelico, fissando e anzi pietrificando la decisione di Satana (risvolto negativo di un’analoga fissità e definitività per gli angeli fedeli), appare per l’angelo biblico. Mai potrà districare la propria figura da quella mitica necessità che le sue stesse origini rivelano. Tutti i tentativi di instaurare un’alterità o una polarità, di liberare l’angelo della fede da ogni contaminazione idolatrica sono solo una “straordinaria reinvenzione di un mito delle origini, dell’attimo che apre l’avventura dell’universo. Per definire l’angelo natura perfettamente spirituale, occorreva non risolverlo totaliter nell’atto stesso della sua creazione, occorreva immaginarlo davvero libero e, dunque, condurlo a quel bivio fatale. Ma ecco che, ora, la volontà dell’angelo non può più variare; gli angeli cessano di potersi “volgere” ,[…] come invece continuano a essere le altre creature. E non potersi più pentire corrisponde simmetricamente, in cielo, il non poter più essere sedotti. Il corso dell’angelo diviene fermo sicuro come quello delle stelle, certissimo come quello dell’argine che lo zodiaco forma intorno alla terra abitata”. La figura dell’angelo biblico sembra riaccostarsi drammaticamente a quell’astrologia dalle cui spire aveva cercato in ogni modo di liberarsi. La lotta dell’angelo della fede con l’angelo del religioso non può così concludersi, per Cacciari, che in “un grande scacco”. E, al di là delle tesi di Cacciari, rimane il vero problema aperto per la riflessione angelologica in generale e, in particolare, per l’angelologia cristiana. Don Marcello Stanzione |