IL MIO RAPPORTO CON GLI ANGELI. Di PAOLA GIOVETTI |
Premetto che sugli angeli ho scritto tre libri che mi sono molto cari (tutti editi dalla Edizioni Mediterranee): il primo, Angeli, uscì in prima edizione nel 1989 ed è stato, credo, uno dei primi scritti da un laico su questo tema. Questo libro ha avuto molta fortuna e molte edizioni italiane ed è stato tradotto in almeno una decina di lingue, tra cui il giapponese. In esso ho parlato di angeli dal punto di vista teologico, storico, psicologico, letterario, artistico, esoterico, esperienziale: una indagine a tutto tondo sui nostri aerei custodi. Ad Angeli seguì qualche anno dopo (1997) L’angelo caduto, centrato sulla figura di Lucifero al quale nel primo libro avevo dedicato un capitolo: in esso proponevo una diversa interpretazione della “caduta” e di Lucifero che ne fu la causa, chiedendomi se dietro alla diffusissima credenza nel diavolo non si nasconda la nostra incapacità di comprendere un’idea grandiosa, tesa a farci uscire gradualmente, un passo dopo l’altro, un errore dopo l’altro, dal “paradiso terrestre”, cioè dall’infanzia dell’umanità, per muovere da soli i primi passi e metterci sulla via della crescita, della conoscenza e farci divenire uomini autentici. ....
... Infine l’anno scorso (autunno 2005) è uscito Le vie dell’arcangelo .- Tradizioni, culto, presenza dell’arcangelo Michele, dedicato al potente arcangelo, principe degli angeli, capo supremo delle milizie celesti, campione del Bene e simbolo della lotta contro il male. Ogni libro è rigorosamente documentato e ha richiesto una “incubazione” di alcuni anni: a questo tema infatti mi sono accostata sempre con reverenza, quasi con timore – soprattutto il timore di non essere all’altezza – e con il profondo desiderio di trasmettere ai lettori l’amore per i nostri celesti custodi. Ma anche con gioia, perché l’occuparmi degli angeli mi ha costantemente dato serenità e armonia. Mi è stato chiesto, soprattutto quando uscì il primo libro che costituì una novità assoluta, per quale motivo io – laica – avessi voluto occuparmi di angeli, e fu così che nella premessa alla seconda edizione di Angeli raccontai ciò che per pudore non avevo detto nella prima. Pudore per due motivi: perché raccontavo qualcosa che fino a quel momento era stato soltanto mio e poi perché temevo una reazione non corretta dei lettori, in quanto io mi occupo molto e da molto tempo – da cronista - di fenomeni paranormali e spirituali, ma non ne sono mai stata protagonista. Temevo quindi di non essere creduta. Invece l’accoglienza è stata sempre di grande rispetto e partecipazione, togliendomi fin dall’inizio ogni dubbio e imbarazzo. Ecco dunque l’esperienza che è all’origine del mio interesse per gli angeli, così come l’ho raccontata nel mio primo libro ad essi dedicato. Avevo fra i tre e i quattro anni e c’era la guerra. Ero una bambina abbastanza paurosa, abituata com’ero ad essere svegliata all’improvviso nel cuore della notte per essere portata nei rifugi a causa degli allarmi aerei. Come sempre, quella notte dormivo nel mio lettino accanto al letto della nonna. Mi svegliai da sola, e nel buio della stanza scorsi un chiarore in fondo al letto. Mi misi seduta per vedere meglio e mi resi conto che quella luce dorata e diffusa emanava da una figura che mi stava di fronte: un uomo giovane vestito di una tunica bianca, capelli castani piuttosto lunghi, occhi grandi e scuri, che mi guardava con amore. Non provai nessuna paura, e per un tempo che non saprei valutare, forse un paio di minuti, rimasi incantata a guardare quella figura luminosa che mi infondeva un senso di pace e sicurezza totale. Poi l’apparizione lentamente svanì e quando la stanza fu tornata nel buio io mi distesi di nuovo nel mio lettino e mi addormentai serenamente. Non ebbi, ripeto, alcuna paura né provai la tentazione di infilarmi, come spesso facevo, nel lettone rassicurante della nonna, la quale non si era accorta di niente e aveva continuato a dormire tranquilla. Non parlai a nessuno di ciò che avevo visto, ma mi sono chiesta infinite volte chi potesse essermi apparso. Un angelo, forse, anche se non aveva le ali. Di certo il messaggio fu di protezione, di sicurezza: in effetti la mia famiglia, nonostante gli spostamenti e le traversie, uscì indenne dalla guerra, e soprattutto negli anni successivi, e fino ad oggi, io ho spesso provato una sensazione di guida, di protezione nelle diverse circostante della mia vita. Quell’apparizione di tanti anni fa mi ha reso attenta alla figura del protettore e ha fatto sì che quasi senza rendermene conto io catalogassi via via nella mia mente tutte le esperienze angeliche nelle quali mi capitava di imbattermi. Quando decisi di scrivere il primo libro le ritrovai sensa fatica e non dovetti far altro che documentarle e dare loro un ordine. Il mio “secondo angelo” lo incontrai vent’anni dopo, quando scrivevo la mia tesi di laurea in letteratura tedesca. Avevo scelto come autore Franz Kafka e mai mi sarei aspettata di trovare nei suoi libri così profetici, così realistici, così spesso cupi, una descrizione come quella che lessi nei suoi Diari, in data 25 giugno 1914: una pagina radiosa e straordinaria dedicata all’apparizione di un angelo, che forse non ci si aspetterebbe di trovare proprio in Kafka, un uomo che vive nell’angoscia e nella solitudine, che si sente prigioniero nella stanza d’affitto, che non si concede speranze dorate. Eppure proprio a lui capita la straordinaria esperienza, che riporto ridotta al massimo: “Dalla mattina presto fino a questo crepuscolo ho passeggiato in su e giù per la stanza…Verso sera mi affacciai alla finestra e sedetti sul basso davanzale. Allora guardai per caso e per la prima volta l’interno della stanza e il soffitto. Finalmente…quella stanza cominciò a muoversi. Ciò ebbe inizio ai margini del bianco soffitto, intorno al quale correva un leggero fregio di gesso. Pezzetti di intonaco si staccarono e caddero a terra, come casualmente, qua e là, con colpi secchi…Poi al bianco del soffitto cominciò a mescolarsi un viola azzurrino, a partire dal centro del soffitto che rimaneva bianco. A ondate il colore, o forse la luce, si propagava continuamente verso il margine che si andava oscurando. ...Ed ecco, in quel viola si insinuarono dai lati colori gialli, giallo-oro. Ma il soffitto in realtà non si colorava: i colori lo rendevano soltanto trasparente e sopra di esso pareva che gli oggetti si librassero e lo volessero attraversare, e già si vedeva un braccio che si stendeva, una spada di argento che si alzava e si abbassava. Ciò avveniva per me senza alcun dubbio: si stava preparando un’apparizione che doveva liberarmi. Balzai in piedi per fare tutti i preparativi, spinsi la tavola verso il muro…Avevo appena finito, allorché il soffitto si aprì davvero. Da grande altezza, che avevo male valutato, scese lentamente nella penombra un angelo vestito di panni di un viola azzurro, cinto di cordoni d’oro, con grandi ali bianche dal fulgore di seta, la spada vibrata orizzontalmente nella mano sollevata. Un angelo dunque, pensai. Tutto il giorno vola verso di me e io, scettico che sono, non lo sapevo. Adesso mi parlerà. Abbassai lo sguardo, ma quando lo risollevai….” Quando Kafla solleva lo sguardo l’angelo non c’è più, e la descrizione non porta commenti alla straordinaria visione: un incontro vero? Certamente Kafka si sente redento. L’incontro con l’angelo d’oro e d’azzurro, che scende nella grigia stanza del poeta con le sue grandi ali bianche e fruscianti, è una immagine stupenda che investe come un arcobaleno il cupo mondo kafkiano. Per il poeta di Praga, che meglio di ogni altro ha descritto la crisi dell’uomo moderno, non ci fu quindi soltanto alienazione e incomunicabilità, ma anche un segno celeste. Uno solo, per quanto ne sappiamo, ma sufficienre ad illuminare una vita. Molto importante l’accenno alla doppia disponibilità che occorre per far sì che questi “incontri” avvengano: l’angelo si è messo in viaggio per raggiungere il poeta, e mentre è in volo gli manda messaggi che lui a lungo non coglie. Poi capisce, accetta l’incredibile, si prepara, predispone tutto per l’evento straordinario che effettivamente si realizza. Il significato è chiaro: solo se c’è disponibilità e accettazione interiore si è in grado di cogliere i segni celesti, si diviene degni di visite sopranaturali. Di una esperienza molto simile fu protagonista un altro personaggio famoso: il pittore russo Marc Chagall, nato nel 1887, vissuto a Parigi, ha dato nei suoi quadri un grande spazio agli elementi metafisici, sopranaturali, onirici, simbolici. Gli angeli che tanto spesso popolano i suoi cieli insieme alle coppie di amanti e ai fantastici animali dai bizzarri colori, non sono figure di fantasia, ma hanno la loro origine in un “sogno” che Chagall fece e che lui stesso ha descritto nella sua autobiografia. Eccolo: “In quelle stanze con operai e venditori ambulanti per vicini non mi restava altro da fare che sdraiarmi sul letto e rimuginare sulla mia vita. E su che altro avrei potuto farlo? E facevo dei sogni: una stanza quadrata vuota. In un angolo un letto con me sopra. Si fa scuro. Improvvisamente il soffitto della stanza si apre e un essere alato scende giù pieno di splendore e riempie la stanza di ondate di profumo. Le sue ali si muovono frusciando. Un angelo! penso io. Non posso aprire gli occhi, è troppo luminoso, troppo accecante. L’angelo si libra in ogni angolo della stanza, poi risale e sparisce oltre il soffitto portando con sé tutta la luce e l’azzurro del cielo. E’ di nuovo buio. Io mi sveglio…” Chagall ha anche dipinto questa sua esperienza: un grande quadro che si intitola “L’apparizione”, tutto nei colori bianco, grigio e azzurro, che racconta il giovane poeta nella sua modesta camera d’albergo e l’angelo che gli appare benedicendo, in qualche modo, la sua vocazione. Anche dell’esperienza di Chagall venni a conoscenza molto presto, e interpretai sia questa visione che quella di Kafka come qualcosa di abbastanza simile a ciò che avevo vissuto io. Diedi quindi immediato credito a ciò che leggevo. Ma andiamo avanti nel tempo. All’inizio degli anni Ottanta feci la mia prima ricerca nel campo delle tematiche di frontiera: un’inchiesta sulle esperienze in punto di morte, cioè sulle visioni di chi per vari motivi era stato in coma e in quella condizione tra aldiquà e aldilà aveva visto e sentito qualcosa. Non è questa la sede per descrivere questa inchiesta, basti sapere che tra i protagonisti di queste straordinarie avventure nell’altra dimensione non pochi hanno riferito di essersi visti accanto un “amico”, una “guida”, un “compagno di viaggio”, che li aveva accolti e li guidava nella nuova condizione: esattamente il ruolo che sappiamo essere del nostro angelo custode. Fu allora che cominciai a pensare seriamente di scrivere qualcosa sugli angeli, approfondendo vari aspetti che conoscevo meno e raccogliendo esperienze. E in sequenza nacquero i libri di cui ho parlato all’inizio. Da molti anni ormai dedico agli angeli molta attenzione e molti studi: l’ultima ricerca sul san Michele ha richiesto per esempio una vastissima documentazione, in quanto l’arcangelo è legato a fatti e personaggi storici di grande importanza e le sue spettacolari apparizioni hanno portato alla creazione di santuari dell’importanza di Monte Sant’Angelo nel Gargano, di Mont Saint-Michel in Normandia e di San Michele della Chiusa in Val di Susa (Torino). Ma è stata una gioia cercare, reperire e studiare questo materiale e poterne ricavare un libro che spero aiuterà a meglio conoscere una figura così straordinaria. Concludendo la premessa al mio primo libro scrivevo queste parole, che valgono anche per gli altri due libri che ho dedicato agli angeli, e che riporto e conclusione di questo breve saggio: “Questo libro è anche e soprattutto un omaggio a quel giovane vestito di bianco e circonfuso di luce che mi apparve quando ero una bambina spaventata e che in tutta la mia vita, pur non mostrandosi più, non ha mai cessato di essermi accanto”. IL MIO RAPPORTO CON GLI ANGELI. Di PAOLA GIOVETTI Segnalazione di Don Marcello Stanzione (Ha scritto e pubblicato clicca qui) |