Raffaele, l'Angelo accompagnatore del malato

Raffaele, l'Angelo accompagnatore del malatoDobbiamo riconoscere, innanzitutto, che la presenza degli angeli nella nostra vita è un atto amorevole della paternità e della provvidenza di Dio verso ciascuno di noi che spesso siamo moralmente e spiritualmente disorientati o, a causa dello stato di vulnerabilità e di debolezza della nostra natura umana, tesi alla riconquista della salute perduta. Stiamo vivendo la triste stagione della malattia. Sentiamo il bisogno di avere un “angelo”, una persona che ci stia vicino e si prenda cura di noi, ci dia forza, coraggio e fede in Dio e nei mezzi della scienza per superare questo momento. L’esistenza e la presenza di angeli speciali, inviati a proteggere la vita degli uomini, non costituisce un potere parallelo a quello di Dio ma, come ho già accennato, esaltano la potenza e la provvidenza del Creatore verso ciascuno di noi. Sappiamo dalla fede e dal Magistero della Chiesa che un angelo ci protegge dalla nascita alla morte, ci guida per le strade del mondo, ci fa sentire la sua voce misteriosa ...

... nei momenti di dubbio e nelle incertezze, ci orienta e ci sostiene nella lotta contro l’eterno avversario (Satana). L’angelo ci illumina, ci custodisce, ci regge e governa (Angelo custode). San Basilio di Cesarea afferma che “Ogni fedele ha al proprio fianco un angelo come protettore e pastore, per condurlo alla vita”.(1) Il richiamo al salmo 22 è naturale se pensiamo che “Il Signore è il mio Pastore… In pascoli erbosi mi fa riposare… Ad acque tranquille mi conduce”, per sottolineare la presenza di Dio pastore, guida e provvidenza del suo popolo, attraverso l’azione dei suoi messaggeri, gli angeli. San Bernardo commentando il versetto del salmo 90, 11: “Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi”, dice: “Queste parole quanta riverenza devono suscitare in te, quanta devozione recarti, quanta fiducia infonderti!

Reverenza per la presenza, devozione per la benevolenza, fiducia per la custodia. Sono presenti dunque e sono presenti a te, non solo con te, ma anche per te. Sono presenti per proteggerti, sono presenti per giovarti” (Dalla Liturgia delle Ore, 2 ottobre). Simbolo perfetto, prototipo della figura dell’angelo custode è l’arcangelo Raffaele che nella liturgia latina e nella devozione popolare gode di particolare rilievo. “La custodia dell’angelo si renderebbe necessaria onde permettere all’uomo di superare tutti i pericoli che potrebbero compromettere il raggiungimento della meta, così come si rende necessaria la scorta a chi transita per vie pericolose”. (2) La tradizione e la devozione cristiana agli angeli custodi che proteggono i fedeli e li guidano nel cammino della vita per condurli alla salvezza è sempre viva nella Chiesa. La loro memoria liturgica, inizialmente unita a quella di san Michele, si celebra il 2 Ottobre.

Nel Calendario liturgico la festa di san Raffaele è unita a quella degli altri due arcangeli Michele e Gabriele ed è celebrata il 29 Settembre, anniversario della dedicazione di una chiesa di san Michele sulla via Salaria (sec. V). Prima di entrare nel tema dell’angelo accompagnatore, ossia di parlare specificamente dell’accompagnamento del malato e della pastorale di prossimità e di vicinanza alla persona sofferente e bisognosa di orientamento e di sostegno umano, psicologico e spirituale, occorre fare riferimento alla figura dell’angelo Raffaele così come ci appare nella Sacra Scrittura, figura emblematica che evidenzia una duplice funzione: quella dell’azione guaritrice (insita nel suo stesso nome Raph’el: medicina, farmaco di Dio) e quella di accompagnamento, entrambe espressione dell’Amore di Dio per le sue creature.

GLI ATTRIBUTI DI DIO NELL’ANTICO TESTAMENTO - Dio è unico e padre di tutti gli uomini così come la sofferenza e il dolore sono eredità comuni a tutte le creature che trovano in Dio la consolazione e la forza per lottare contro il male. L’amore e la misericordia tra Dio e l’uomo si rivela nell’ Antico Testamento attraverso una serie di fatti, ossia di iniziative da parte di Dio e di rifiuti da parte dell’uomo. Ma la Scrittura ci dice che “paziente e misericordioso è il Signore, lento all’ira e ricco di grazia” (Sal 145, 8). Quando il popolo eletto tenterà ripetutamente di allontanarsi da lui con il peccato e l’infedeltà all’alleanza, la sua misericordia prevarrà ancora ed il cuore indurito del peccatore ritroverà la pazienza di Dio. La Bibbia ci rivela Dio anche con molti altri attributi, per esempio, come trascendenza infinita per cui “la funzione degli Angeli è la contemplazione, l’adorazione e la lode esultante di Cristo Signore e per lui del Padre di cui gli angeli ‘vedono sempre la faccia’ (Mt 18, 10)… Gli Angeli sono per noi un invito continuo a diventare dei contemplativi e degli adoratori ‘in spirito e verità’”. (3)

Un altro attributo di Dio è quello della condiscendenza salvifica. “L’altra funzione degli Angeli è di essere nostri benefattori, a nome di Cristo e del Padre… ci accompagnano e ci proteggono sulle nostre strade come testimoni della continua e amorosa provvidenza del Padre; infine, contribuiscono a liberarci dal male e dal Maligno”. (4) Nel Libro di Tobia vediamo come la misericordia e la compassione siano virtù esercitate dal vecchio Tobi, timorato di Dio, il quale compie le opere di misericordia verso i fratelli (1, 16): dar da mangiare agli affamati, vestire gli ignudi (1, 17) e soprattutto seppellire i Giudei morti e abbandonati lungo le strade, contro il divieto del re Sennacherib. Nella sua cecità, contratta dall’essere compassionevole con i suoi fratelli ebrei, anche Tobi si appella alla misericordia e alla fedeltà di Dio per poter sperare e continuare a vivere ed esclama: “Per me infatti è meglio morire che vedermi davanti questa grande angoscia” (3, 6). Tobi nella sua supplica a Dio non rifiuta la vita ma, nella sua angoscia e nel suo dolore, ha fiducia nella potenza del suo Dio che “castiga e usa misericordia, fa scendere negli abissi della terra, fa risalire dalla grande perdizione e nulla sfugge alla sua mano” (13, 2).

E’ il grido di ogni malato, di ogni sofferente quando si sente sopraffatto dal male e, mentre crede di perdere la fede in Dio, la riacquista nel momento in cui non si sente solo ma si accorge della vicinanza di un amico, di un accompagnatore, di un consigliere spirituale, di una persona che per lui è un angelo consolatore. Nel Libro di Tobia la misericordia di Dio si manifesta attraverso la presenza dell’angelo Raffaele agli uomini che lo invocano, che praticano la giustizia, le opere buone e si pongono al servizio dei bisognosi. In questo caso la misericordia non è solo perdono delle colpe ma amore, disponibilità, servizio, accompagnamento. Essendo rimasto orfano e educato dalla nonna paterna Debora, che gli aveva inculcato l’osservanza rigorosa della legge di Mosè, Tobi si prendeva cura degli orfani, delle vedove e dei forestieri. Con loro condivideva la terza delle decime. Tobi rappresenta per noi la figura esemplare di un autentico Ebreo, in contrapposizione al re assiro, crudele e sanguinario: “Al tempo di Salmanassar facevo spesso l’elemosina a quelli della mia gente ; donavo il pane agli affamati, gli abiti agli ignudi e, se vedevo qualcuno dei miei connazionali morto e gettato dietro le mura di Ninive, io lo seppellivo” (1,16).

Dopo aver seppellito un morto Tobi dorme fuori casa, sotto il muro del suo cortile per osservare la legge della purità. “Per il caldo che c’era tenevo la faccia scoperta, ignorando che sopra di me, nel muro, stavano dei passeri. Caddero sui miei occhi i loro escrementi ancora caldi, che mi produssero macchie bianche, e dovetti andare dai medici per la cura” (2, 9). I medici non hanno fatto altro che peggiorare la situazione. Per quattro anni Tobi rimane cieco, ma circondato dalla solidarietà di tutti i suoi fratelli. Interverrà Dio a salvarlo attraverso la presenza e l’azione guaritrice dell’Angelo Raffaele.

NEL NUOVO TESTAMENTO DIO SI RIVELA IN CRISTO - Nel Nuovo Testamento Dio si è rivelato all’uomo per mezzo di Gesù Cristo, soprattutto come misericordioso e compassionevole verso i peccatori e le sofferenze umane con l’invio dei suoi angeli sulla strada che l’uomo percorre, piena di insidie e di pericoli.. “La compassione cristiana ha questo fondamento theo/cristologico che emerge dalla fede d’Israele e, soprattutto, dalla manifestazione del volto compassionevole di Dio in Cristo”. (5) Il Cardinale Martini, nel commentare l’indirizzo di augurio che Paolo rivolge nella sua II Lettera a Timoteo: “Grazia, misericordia e pace da parte di Dio Padre e di Cristo Gesù Signore nostro”, osserva che l’apostolo della Genti per la prima volta aggiunge anche il termine “misericordia” nel senso che Dio ha comprensione per la miseria dell’uomo, lo incoraggia e l’assicura che Egli lo nutre e lo sostiene comunque. “Credo” – prosegue Martini – “che Paolo abbia aggiunto questo termine perché si trova davanti a un Timoteo scoraggiato, timoroso, fragile, tentato, quasi a dirgli: guarda che il Signore non è solo grazia per coloro che sono e si sentono forti; la sua grazia è anche per i deboli, è misericordia (in greco éleos, cioè compassione, pietà) e te la dona affinché tu abbia pace”. “Osservo” – conclude Martini – “che nel Nuovo Testamento troviamo alcuni passi che avvalorano tale interpretazione, per esempio nel racconto della nascita di Giovanni Battista: ‘I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva esaltato in lei la sua misericordia’, éleos (Lc1, 58).

Elisabetta viveva una grossa frustrazione perché era sterile e non considerata dalla gente; improvvisamente il Signore si manifesta misericordioso rendendola madre. Anche Timoteo è frustrato nel suo ministero e Paolo lo consola assicurando che Dio è con lui, dalla sua parte”. (7) Tutta la Sacra Scrittura possiamo definirla come la rivelazione e il poema dell’amore misericordioso di Dio per l’uomo perché fin dall’inizio, a causa della ribellione al suo Creatore, l’uomo è caduto nella miseria e nella debolezza dalle quali può essere sollevato e redento unicamente dalla misericordia e dalla compassione di Dio Padre. Gli manda suo Figlio per farsi carico della misera condizione umana e la Lettera agli Ebrei tocca il mysterium compassionis quando afferma che “Non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità…” (Eb 4, 15). Incarnazione è, fondamentalmente, la com-passione, il soffrire di Dio con noi. Cristo, nostro “sommo sacerdote” ha voluto soffrire con noi ed essere messo alla prova insieme a noi. Operare la misericordia, quindi, è qualcosa che Dio attende dall’uomo, mentre l’egoismo e l’indifferenza saranno oggetto di giudizio nell’incontro finale con lui (Mt 25, 31-46). La parabola del Buon Samaritano evoca la compassione di Dio verso l’uomo (“ebbe compassione”) e come questi deve, a sua volta, avere compassione dei fratelli bisognosi e sofferenti; compassione, peraltro, resa possibile solo dalla compassione che Dio stesso ha avuto ed ha per ciascuna delle sue creature, per chi giace ai margini delle strade della vita con i loro disagi e le loro sofferenze.

MISSIONE DI SAN RAFFAELE - La missione dell’arcangelo Raffaele, l’angelo inviato da Dio per curare il vecchio Tobi e Sara sua sposa con il fiele del pesce e con il compito di accompagnare Tobia, figlio di Tobi per affrontare un viaggio rischioso per la sua vita, culmina nella manifestazione della propria essenza, quella, cioè, di angelo inviato da Dio per svolgere la sua funzione di accompagnatore, di curatore e di guaritore. A differenza del misterioso personaggio che noi incontriamo nel libro della Genesi e che rifiuta di svelare il proprio nome a Giacobbe, Raffaele si autorivela usando un nome che significa ciò che ha compiuto durante la sua missione: “medicina, farmaco di Dio”, “Dio guarisce”. Pur non adempiendo esattamente il compito di “angelo custode”, (la sua è una missione temporanea terminata la quale scompare), Raffaele si fa compagno di viaggio di Tobia come di ciascun uomo che si affida alla provvidenza divina in particolari momenti della vita.

Siamo convinti e la fede nella parola di Dio ce lo conferma che Raffaele visitatore, amico e compagno di strada, ascolta il grido rivolto a Dio da parte di coloro che sono nella difficoltà di vivere un’esistenza fedele alla legge divina e alla pratica religiosa. Egli insegna l’amore verso Dio e verso il prossimo nella pratica della giustizia, dell’elemosina, dell’amicizia e della fratellanza. Con l’avvento di Cristo sulla terra siamo pienamente convinti che Gesù resta l’unico mediatore tra Dio e l’uomo perché suo salvatore venuto nel mondo per dare la vita e darla in abbondanza (Gv 10, 10), ma dobbiamo constatare anche Dio nell’Antico Testamento rivela la sua sollecitudine per l’uomo sofferente materializzandosi negli angeli, in particolare in san Raffaele come già aveva fatto con i tre uomini che si presentarono al patriarca Abramo. Ciascun operatore sanitario e pastorale è chiamato a rendere visibile la missione angelica di curare e guarire e di rendersi tramite di salute e di salvezza per gli altri. Per fare ciò occorre usare un atteggiamento umano di accoglienza e di rispetto verso l’uomo che resta un emarginato e uno sconosciuto se non viene accolto e servito come persona con tutti i suoi problemi, i suoi atteggiamenti, i suoi bisogni e le sue aspirazioni per essere ascoltato, comunicare con lui e dialogare.

LA CHIESA E L’ACCOMPAGNAMENTO ANGELICO NELLA SOFFERENZA  - Nel mondo della malattia e della salute ci accorgiamo che “la sofferenza è qualcosa di ancora più ampio della malattia” (SD, n° 5) e l’uomo, nella sua esperienza quotidiana, si trova a combattere contro queste realtà, compresa la morte. Queste situazioni esistenziali coinvolgono tutta la persona nella sua sfera fisica, psicologica, sociale e spirituale fino al punto da provocare spesso, soprattutto in chi non ha un fondamento umano e religioso, la sfiducia verso Dio e verso il prossimo. Ci chiediamo: qual è il ruolo della Chiesa? Qual è il compito dell’operatore pastorale (del cristiano)? Come poter recare sollievo e conforto al sofferente che non consista solo nei ritrovati farmacologici, ma nel sostegno psicologico, morale e pastorale? Quando è lo stesso malato a chiedere aiuto e a prendere parte attiva nella cura pastorale, allora diventa relativamente facile proporgli la “terapia”. Ma quando questa partecipazione viene a mancare o non è lui stesso a riconoscere il proprio stato di bisogno, come intervenire, come farci “angeli accompagnatori” in situazioni complesse e difficili? La Chiesa come “comunità sanante” dovrà rispondere a questi interrogativi della persona attraverso la sua “missione terapeutica”, consigliarla e farle vivere il momento della malattia e del disorientamento spirituale alla luce del mistero pasquale di Cristo.

Riportandoci alla cecità del vecchio Tobi ci accorgiamo che essa rispecchia quella di tanti che, accecati nella propria coscienza, non sentono l’esigenza di una cura integrale, di un cambiamento di stile di vita della persona. Occorre sentirci coinvolti in una situazione empatica con la persona vivendo sulla nostra pelle le sue sofferenze e i suoi problemi. Certamente noi non abbiamo la scienza infusa degli angeli per capire a fondo le situazioni di sofferenza del prossimo, ma dobbiamo, con scienza e coscienza, sforzarci di conoscere l’animo umano e le cause che provocano angoscia, ansia e malessere spirituale per suggerirgli il rimedio più opportuno. La storia dell’uomo e anche storia dell’azione salvifica di Dio per l’uomo che si manifesta mediante l’opera di Gesù Cristo il quale lo libera dal male e da tutto ciò che rimane in stretto rapporto con il problema della sofferenza.

Gesù ha sentimenti di compassione e di tenerezza di fronte alla sofferenza umana, sia essa fisica che morale, come avviene per il paralitico guarito, per la folla che lo segue continuamente per ascoltarlo e ricevere da lui la parola di salvezza e di guarigione: “Vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore” (Mt 9, 36). Gesù si commuove ancora nell’incontro con la vedova di Naim che accompagna il suo unico fig1io alla sepoltura e lo risuscita (Lc 7, 13-15), e mentre si reca al sepolcro dell’amico Lazzaro (Gv 11, 33-44). Egli non vuole sbalordire la folla con i suoi prodigi per convertirla, ma semplicemente vuole preannunciare la vittoria definitiva sulla sofferenza e sulla morte. I suoi segni sono quelli che accompagnano la figura del messia annunciato dai profeti, in particolare da Isaia 61,1 e che Luca riprende nel cap. 4, 18-19. In Gesù, quindi, si adempiono le parole profetiche che rappresentano la ragione stessa della sua venuta: “Andate a riferire a Giovanni ciò che voi udite e vedete: I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella” (Mt 11, 4-5).

LA CHIESA E LE RISPOSTE PASTORALI E DI SERVIZIO - Il potere di compiere guarigioni Gesù lo comunica anche ai suoi discepoli e la storia della prima comunità cristiana è segnata da questa volontà salvifica del suo Fondatore che si esprime attraverso le guarigioni operate dagli apostoli, Pietro in particolare. L’attenzione della Chiesa è sempre incentrata sull’uomo che porta in sé l’immagine e la somiglianza di Dio e ha un destino soprannaturale cui egli è chiamato. Per questo Giovanni Paolo II, nella Redemptor hominis affermava che la Chiesa “non può abbandonare l’uomo, la cui ‘sorte’, cioè la scelta, la chiamata, la nascita e la morte, la salvezza e la perdizione, sono in modo così stretto ed indissolubile unite a Cristo … L’uomo – infatti – è la prima e fondamentale via della Chiesa”( n° 14). Per questa via segnata dal suo Fondatore, la Chiesa si è mossa nella sua missione universale di evangelizzazione e di azione terapeutica mediante un atteggiamento di diakonìa allo scopo di promuovere la vita in un mondo che spesso la rifiuta con l’aborto, l’infanticidio, l’eutanasia, la schiavitù, le condizioni disumane presenti in molti Paesi del mondo. “L’intima natura della Chiesa – afferma Benedetto XVI nella sua prima enciclica: Deus Caritas Est – si esprime in un triplice compito: annuncio della Parola di Dio (Kerygma-martyria), celebrazione dei Sacramenti (liturgia), servizio della carità (diakonia). Sono compiti che si presuppongono a vicenda e non possono essere separati l’uno dall’altro.

La carità – prosegue il Papa – non è per la Chiesa una specie di attività di assistenza sociale che si potrebbe anche lasciare ad altri, ma appartiene alla sua natura, è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza” (25a). E’ veramente straordinaria, infatti, la testimonianza cristiana offerta da religiosi/e, medici, farmacisti ed altri operatori sanitari e pastorali che lavorano con i disabili fisici e mentali, con i drogati, con i malati terminali o con le nuove malattie, come l’Aids. Molte istituzioni cattoliche, come ad esempio quelle dei Fatebenefratelli, si trovano a fronteggiare politiche sanitarie ce li impegnano, insieme ai molti collaboratori laici, a difendere e a vegliare sui diritti della persona - a nascere, a promuovere la vita, a vivere decorosamente (contro l’aborto e le nuove e vecchie povertà); - ad essere assistita con dignità, con umanità, con amore evangelico nelle infermità, durante la degenza nelle strutture ospedaliere gestite dall’Ordine (contro la malasanità, la disumanizzazione, ecc.); - ad essere adeguatamente e convenientemente informata sul suo stato di salute e sui servizi che i centri assistenziali offrono (consenso informato, ecc.).

La cura e l’accompagnamento pastorale degli infermi da parte della comunità cristiana, da duemila anni a questa parte, vuole rispondere al mandato di Gesù di guarire gli infermi (Mt 10, 7-8) ed è rivolto non solo agli apostoli ma anche a tutti coloro che nella Chiesa, sacerdoti, diaconi e laici, sono impegnati nella cura e nell’assistenza del malato, del sofferente e del bisognoso. Il servizio al malato deve essere accompagnato dalla preghiera e dalla celebrazione dei Sacramenti di guarigione. Se le suppliche che Tobi e Sara rivolgono a Dio trovano la risposta con l’invio dell’angelo Raffaele, altrettanto sarà per ciascun fedele che in stato di sofferenza e di malattia si rivolge a Dio per ottenere conforto, forza, serenità nel dolore e speranza di salvezza. E’ chiaro che il graduale processo di liberazione del corpo dalla malattia e dalla sofferenza non può instaurarsi esclusivamente mediante l’apporto medico-scientifico; è indispensabile quello umano e religioso in una sinergia di forze presenti nella comunità cristiana.

Anche l’operatore pastorale nell’incontro con la persona mette in atto un complesso di “strategie” con cui aiutarla a crescere, a maturare, a responsabilizzarsi, valorizzando tutte le sue risorse umane e spirituali. Le “tecniche” della relazione di aiuto appartengono alla psicologia, ma sono necessarie per affinare la capacità di percepire i bisogni occulti della persona, difficili ad affiorare alla coscienza. Quando l’operatore pastorale compie un tratto di cammino (“accompagnamento”) insieme a queste persone (ed è questo il vero significato della figura e dell’opera dell’arcangelo Raffaele che si affianca a Tobia) per aiutarle a far fronte alle difficoltà della vita, egli mette in atto una “relazione pastorale di aiuto” (counseling pastorale), anche se i problemi che egli dovrà affrontare non sono necessariamente di natura religiosa. In questo “incontro terapeutico” con il sofferente occorre avvicinarsi, sostare, ascoltare, suscitare la fede in Cristo che trasmette ai suoi discepoli il ministero di compassione e di guarigione. L’episodio dei due discepoli di Emmaus stanchi e sfiduciati ai quali si affianca Gesù e si rivela ad essi nello spezzare il pane (Lc 24, 13-25), metafora della comunità cristiana che si mette in ascolto della parola di Dio presente nelle Sacre Scritture e nell’Eucaristia e poi al servizio dei fratelli bisognosi e dubbiosi, e l’altro episodio, quello di Filippo che su comando di un angelo si mette in cammino per raggiungere l’Etiope, che illuminato dalla sua parola chiede di ricevere il battesimo, sono metafora di come, attraverso una relazione d’aiuto interpersonale, si esercita un “potere sanante” ed un’esperienza di evangelizzazione e di risveglio della fede in Dio. Tale rappresenta l’inserimento dell’arcangelo Raffaele nella vita della famiglia di Tobi.

CONCLUSIONE - Abbiamo constatato come l’interpretazione biblica ci porti ad evidenziare nella presenza degli angeli, di san Raffaele in particolare, non solo un dato di fede, ma anche una forte valenza simbolica. Entrambi gli aspetti – la fede e il simbolismo – sono presenti nella liturgia e nella devozione popolare che li invoca nelle preghiere per il viaggio, nel rito dell’unzione dei malati, nella preghiera di Compieta (…”tieni lontano le insidie del nemico; vengano i santi angeli a custodirci nella pace”…) e nella raccomandazione dell’anima. Il servizio che essi recano ad ogni singolo uomo consiste soprattutto nella preghiera di intercessione presso Dio in favore dei loro protetti e nella custodia da tutte quelle potenze ed influenze nemiche che si oppongono a Dio. Dopo aver assistito gli uomini nel cammino della loro vita terrena, gli angeli – a volte in modo visibile, altre volte in modo invisibile – li assistono nell’ora della loro morte. Le preghiere rivolte agli angeli in suffragio dei fedeli defunti presentano un duplice aspetto: chiedere all’angelo di accompagnare l’anima nel viaggio dell’aldilà e chiedere ad essi, custodi del Paradiso, di introdurci nella gloria celeste. San Raffaele – dice Marc Lorient - è l’angelo della nuova nascita e della buona morte perché la guarigione ottenuta per sua intercessione ci conduce ad una sorta di battesimo e immerge la nostra anima nell’innocenza facendola rinascere. “Compagno delle traversate pericolose, del deserto, delle acque, Raffaele è letteralmente nella sua missione di ‘liberatore-guaritore’, colui che fa passare sull’altra riva. Egli è il traghettatore della morte, colui che riconduce alla casa del Padre”. (8)

NOTE - 1. SAN BASILIO DI CESAREA, Adversus Eunomium, 3, 1: PG 29, 656B, in CCC, p. 100. 2. SBAFFONI F., San Tommaso d’Aquino e l’influsso degli angeli, Studio Domenicano, Bologna 1993, p. 148. 3. AUBRY J., Presentazione, in GIUDICI M.P., “Gli Angeli”, Città Nuova, Roma 1998, p. 7. 4. Ivi, pp. 5-6. 5. MORICONI B., Compassione, in Dizionario di Teologia Pastorale Sanitaria, Torino 1997 p. 233. 6. MARTINI C.M., La via di Timoteo, Piemme, Casale Monferrato 1995, p. 26. 7. Ivi, p.27. 8. LORÍENT M., Les Sceau de l’Ange, Edictions Bénédectines, 1996, p. 119.