Cristianesimo nel mondo postmoderno: la lezione di Martini

Cristianesimo nel mondo postmoderno: la lezione di MartiniNon essere sorpreso dalle diversità. Corri dei rischi. Sii amico dei poveri. Alimentati con il Vangelo. In un articolo apparso il 27 luglio sul quotidiano dei vescovi “Avvenire”, ma prima ancora sul periodico americano dei Gesuiti “America”, il cardinale Carlo Maria Martini delinea le sfide del mondo post-moderno alla Chiesa. Si tratta di un ritratto della Chiesa e della relazione con i tempi che sono, che in un certo senso si contrappone ai “Nuovi segni dei tempi” delineati dal cardinal Ruini. Non è una polemica del cardinal Martini nei confronti dell’attuale episcopato, ma una semplice riproposizione dei temi che ne hanno caratterizzato il lavoro di biblista e di pastore. Eppure, c’è chi ha voluto leggere questo intervento come una polemica, e un ritorno in auge dell’antipapa Martini. Che però non gioca il suo ruolo in contrapposizione al pontificato di Joseph Ratzinger. Anzi, a leggere le indiscrezioni trapelate dopo il Conclave, ...

... sarebbe stato lo stesso Martini a direzionare le preferenze dei cosiddetti progressisti su quello che sarebbe diventato Benedetto XVI. Rileggere il discorso di Martini serve però a comprendere quali siano le due anime della Chiesa, che si sono ritrovate in blocchi contrapposti nel dopo-Concilio, e che hanno trovato un punto di frattura e svolta nell’assemblea della Chiesa di Loreto del 1985: la linea dell’opzione religiosa e la linea della presenza. Ha prevalso, come si sa, la linea della presenza del cardinal Ruini. Una presenza viva e forte nel dibattito pubblico della Chiesa, che fa sentire le sue verità e le espone con forza di argomentazioni. Martini, invece, è per un dialogo più fluido con il mondo postmoderno di oggi.

Lo analizza, con grande fiducia nell’uomo. “Il pensare postmoderno – scrive – è lontano dal precedente mondo cristiano platonico in ci erano dati per scontati la supremazia della verità e dei valori sui sentimenti, dell’intelligenza sulla volontà, dello spirito sulla carne, dell’unità sul pluralismo, dell’ascetismo sulla vitalità, dell’eternità sulla vitalità. Nel nostro mondo di oggi vi è infatti una istintiva preferenza per i sentimenti sulla volontà, per le impressioni sull’intelligenza, per una logica arbitraria e la ricerca del piacere su una moralità ascetica e coercitiva. Questo è un mondo in cui sono priorità la sensibilità, l’emozione e l’attimo presente. L’esistenza umana diventa quindi un luogo in cui vi è libertà senza freni, in cui una persona esercita, o crede di poter esercitare, il suo personale arbitrio e la propria creatività”. Non si tratta di una apologia dei giorni di oggi, bensì della presa di coscienza della realtà, in un tempo che è anche di “reazione contro uuna mentalità eccessivamente razionale. La letteratura, l’arte, la musica e le nuove scienze umane (in particolare la psicoanalisi) rivelano come molte persone non credono più di vivere in un mondo guidato da leggi razionali, dove la civiltà occidentale è modello da imitare nel mondo. Viene invece accettato che tutte le civiltà siano uguali, mentre prima si insisteva sulla cosiddetta tradizione classica”.

Il punto è, spiega Martini, che la contrapposizione, la dialettica tra verità, nelle quali quella fondamentale ed essenziale (il cristianesimo) prevale per la bontà delle sue argomentazioni crea un conflitto. Perché? Perché oggi “si preferisce ogni forma di dialogo e di scambio per il desiderio di essere sempre aperti agli altri e a ciò che è diverso, e dubbiosi verso se stessi, e non ci si fida di fronte a chi vuole affermare la sua identità con forza”.

È un tema caro anche ai Gesuiti, molto critici, anche nelle parole del nuovo generale Nicolas (che tanti anni ha speso in Estremo Oriente), sulla “Dominus Jesus”, lettera pastorale firmata da Ratzinger a capo del Sant’Uffizio, che riaffermava come “Cristo è unica salvezza del mondo”. Un “unico” che – se da un lato è una verità cristiana imprescindibile e fondamentale – dall’altro toglie a qualunque altra religione, in via ufficiale, il carattere di religiosità che gli è proprio. Una verità sacrosanta, insomma, che però rischia di creare una contrapposizione.

Eppure Martini ha una visione positiva del mondo odierno e della teologia. In un passaggio che farà discutere, afferma che “non vi è mai stato nella storia della Chiesa un periodo felice come il nostro. La nostra Chiesa conosce la sua più grande diffusione geografica e culturale, e si trova sostanzialmente unita nella fede, con l’eccezione dei tradizionalisti di Lefevbre”. E poi “nella storia della teologia non vi è mai stato un periodo ricco come quest’ultimo”. E cita Henri De Lubac, Jean Danielou, Yves Congar, Hugo e Karl Rahner, Hans Urs von Balthasar, Erich Przywara, Oscar Cullmann, Martin Dibelius, Rudolf Bultman, Karl Barth e i grandi teologi americani come Reinhold Niebuhr, “per non parlare – conclude – dei teologi della liberazione (qualunque sia il giudizio che possiamo dare di loro, ora che ad essi viene prestata nuova attenzione dalla Congregazione per la Dottrina della Fede”. Il dibattito sulla teologia della Liberazione è ancora vivo, specialmente in Brasile, dove i fratelli Boff (Leonardo e Clodovis), che ne sono stati gli iniziatori, si sono divisi: Leonardo ha lasciato la tonaca, e si è sposato, dopo essere stato perseguito dall’ex Sant’Uffizio, Clodovis ha invece abbracciato la linea più tradizionalista ed ortodossa. C’è stato un pesante scambio di opinioni tra i due di recente diffuso su dei periodici brasiliani.

Martini però nota che il problema del “complesso anti-romano” c’è, che “siamo ormai in un contesto in cui l’universale, ciò che era scritto, generale e senza tempo, contava di più; in cui ciò che era durevole e immutabile veniva preferito rispetto a ciò che era particolare, locale e datato. Oggi invece la preferenza è per una conoscenza più locale, pluralista, adattabile a circostanze e a tempi diversi”.

Insomma, la sfida al mondo postmoderno è quello di accoglierlo, insegnando la fede. Che significa, per Martini, quattro cose: “non avere paura di ciò che è diverso o nuovo, ma consideralo come dono di Dio. Prova ad essere capace di ascoltare cose molto diverse da quelle che normalmente pensi, ma senza giudicare immediatamente chi parla”; poi “corri dei rischi”, perché “la fede è il grande rischio della vita”; “sii amico dei poveri, metti i poveri al centro della tua vita”; ma soprattutto: “Alimentati con il Vangelo”. Il Vangelo, in entrambe le correnti che si diffondono nella Chiesa, è la chiave di volta per vivere e insegnare la fede.

Rubrica a cura del dott. Andrea Gagliarducci ( Indirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo )