Santa Sede e Cina: segnali contraddittori

Santa Sede e Cina: segnali contraddittoriLa Cina al centro dei pensieri di Benedetto XVI: una lettera ai cattolici cinesi lo scorso anno, la scelta del cardinale di Hong Kong Zen per scrivere le meditazioni della Via Crucis dell’ultima Pasqua al Colosseo, l’accoglienza di un concerto della Filarmonica Cinese in Vaticano, un segno di disgelo. E infine, il cordiale saluto dell’Angelus di domenica, dove il pontefice ha espresso l’auspicio che il “grande incontro sportivo” delle Olimpiadi di Pechino “offra alla comunità internazionale un valido esempio di convivenza tra persone delle più diverse provenienze, nel rispetto della comune dignità. Possa ancora una volta lo sport essere pegno di fraternità e pace tra i popoli”. E parole simili aveva usato, Benedetto XV, lo scorso 7 maggio, dopo il concerto in Vaticano offerto dall’Orchestra Filarmonica di Pechino. Sembra, insomma, che tra Vaticano e Cina sia in atto un vero e proprio disgelo. Ma è proprio così?

Proprio nei giorni in cui si preparava il concerto in Vaticano, dalla Cina venivano le notizie di un ostruzionismo forte del governo cinese per l’afflusso di pellegrini al santuario mariano di Seshang. Posti di blocco ovunque, divieto per i pellegrini di alloggiare in alberghi limitrofi, tutto lasciava pensare a una certa contraddizione: da una parte, il governo cinese, che parlava di cooperazione e lasciava – per la prima volta – esibire la sua filarmonica in concerto in Vaticano; dall’altra la repressione di Seshang. Il cardinale Zen, che ho intervistato poco dopo il concerto, mi fece notare che “si deve prima di tutto capire da dove vengono le cose in Cina. Il governo centrale ha un’apertura, ma la scelta di porre ostacoli per il pellegrinaggio al Santuario di Seshang non dovrebbe dipendere direttamente dal governo centrale. Io posso presumere che è un’azione promossa dall’Associazione Patriottica (la Chiesa ufficiale cinese, filogovernativa), che di fronte a questo disgelo vede perdere parte del suo potere”.

Una nota di speranza si legge nelle parole di Zen, ma allo stesso tempo Papa Benedetto XVI, se da una parte tende la mano, dall’altra non è intenzionato a fare molto di più: è ancora in attesa di una risposta ufficiale alla lettera ai cattolici cinesi dello scorso anno. Ha fatto le sue mosse diplomatiche, ma è ancora in attesa di una risposta concreta dal governo cinese. E infatti ha chiesto, al santuario di Oyes, dove si è recato durante la sua vacanza a Bressanone, che la Cina apra il suo cuore al Vangelo. Pochi giorni prima, il segretario di Stato cardinal Bertone aveva fatto sapere, con grande ottimismo, che la strada della Cina è ormai aperta.

Non ha lo stesso ottimismo padre Bernardo Cervelliera, redattore di Asia News, grande esperto di cose cinesi. Che ha fatto notare come ancora non ci sia stato uno scambio di diplomatici tra Santa Sede e Cina. Scambio che alcuni giornali di Hong Kong pensavano sarebbe successo proprio durante i giochi.

Ma la situazione, per padre Cervelliera, non permette ottimismo. Prima di tutto per la censura cinese sui siti internet, tolta parzialmente, poi, ma solo per i computer del villaggio olimpico. E poi sul fronte della effettiva libertà religiosa. È stato scelto il vescovo ufficiale coadiutore di Tangshan (Hebei), mons. Peter Fang Jianping, per portare la torcia olimpica nella corsa verso Pechino. Ma proprio nell’Hebei si registrano i casi più violenti di persecuzione religiosa, con due sacerdoti scomparsi e almeno 8 sacerdoti sono in arresto, senza contare quelli domiciliari, con impossibilità di esercitare il ministero, per decine di vescovi sotterranei.

D’altra parte, però, durante questo periodo i vescovi sotterranei sembrano godere di una strana libertà: riescono, ad esempio, a celebrare messa senza che avvenga alcun arresto, e il Partito non ha voluto alcuna ordinazione sacerdotale illecita in questo periodo.

C’è, spiega Padre Cervellera su AsiaNews, una sorta di schizofrenia a Pechino tra chi vuole e chi non vuole i rapporti diplomatici con la Santa Sede. Un esempio? Ye Xiaowen, direttore per l’amministrazione statale per gli Affari Religiosi, lo scorso febbraio, in visita a Washington, si è lanciato in grandi aperture nei rapporti con la Santa Sede. Poi, un mese dopo, in un settimanale cinese, ha riproposto le vecchie accuse maoiste contro il Papa, la doppiezza del Vaticano, la necessità di potenziare il patriottismo dei vescovi e della Chiesa.

Il Vaticano sembra rimanere in silenzio, ma non è così: Benedetto XVI aspetta una risposta ufficiale alla lettera ai cattolici cinesi. Ma punta fortemente alla Cina: con la sua estensione, la sua forte voglia di religiosità nonostante il regime comunista, la Cina è la più grande apertura all’annuncio del Vangelo per il mondo cattolico. Lo hanno capito da tempo i Gesuiti: l’ultimo generale, padre Nicolàs, viene dalla base gesuita giapponese, ed è un grande esperto di dialogo con l’Estremo Oriente.

Rubrica a cura del dott. Andrea Gagliarducci ( Indirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo )