Bilancio di un Sinodo

Bilancio di un Sinodo Annuncio della Parola ai poveri, autocritica pastorale, dialogo interreligioso a partire dalla Bibbia. E, soprattutto, una consapevolezza: che la Bibbia non è un libro come tutti gli altri, che la Parola di Dio è anche una persona e per questo si deve concretizzare nella vita di ciascuno. È questo quello che è scaturito dal sinodo, riassunto in un lungo messaggio finale dei vescovi, che gli stessi prelati non hanno voluto tagliare: il tema era così ampio che un taglio avrebbe potuto non permettere di considerare il tema della Parola in tanti aspetti. Un sinodo “particolarmente ricco”, come ha detto il cardinale dell’Honduras Rodriguez Maradiaga. Dal quale non sono scaturite molte novità. “Ma non dobbiamo dire sempre cose nuove – ha spiegato il cardinal Odilo Scherer, arcivescovo di San Paolo – piuttosto, dobbiamo trovare un modo nuovo di annunciare la Parola di Dio”. Le aspettative, però, erano molte: il tema scelto era ...

... assolutamente pervasivo, e in grado di essere capito e riconosciuto da buona parte dei fedeli. La Parola di Dio riguarda la vita della comunità, dalle celebrazioni al modo in cui viene vissuto. E infatti si è parlato di “autocritica pastorale”. Un’autocritica che passa proprio dal modo in cui la parola è annunciata. Soprattutto dalle omelie. L’idea iniziale era quella di un lezionario delle omelie, o di un Direttorio Omiletico. Bocciata. Perché sarebbe stato inutili: al di là dei testi dei Padri della Chiesa, c’è il Catechismo.

E poi il Vangelo. Altra necessità che è emersa è stata proprio quella di approcciarsi direttamente al Vangelo, e non di accostarsi alla Parola di Dio solo attraverso il Catechismo. Un problema particolarmente vivo soprattutto nelle Chiese africane o in quelle Latinoamericane. Lì la carenza di sacerdoti, ma soprattutto la difficile raggiungibilità di alcuni villaggi, fa sì che la diffusione della fede avvenga più che altro attraverso i catechisti, e soprattutto senza il filtro della Parola di Dio.

Anche perché mancano le traduzioni nelle lingue indigene della Bibbia. Così i laici, specialmente nell’America Latina, hanno un ruolo molto importante nella diffusione della fede: sono loro a celebrare la Parola, a raccontarla, a seguire la vita della comunità, mentre il sacerdote raggiunge i villaggi solamente una volta al mese. Ma di un ruolo più presente dei laici nella vita della Chiesa si è solamente accennato, e in particolare con l’idea dell’istituzione di un Lettorato, una sorta di istituzione, aperta anche alle donne.

Si è discusso anche di annunciare la Parola attraverso i nuovi media. In questo, le Chiese latinoamericane si sono rivelate attivissime: addirittura, in Honduras è stato istituito un portale-Lezionario, che contribuisce alla formazione di decine di laici poi impegnati nella vita della comunità.

La cosa più interessante, però, è venuta direttamente dalle relazioni continentali: come la Parola è percepita, raccontata, vissuta nei continenti? La vitalità della Chiesa africana è impressionante, e tra l’altro è stata agevolata da una grande ampiezza di vedute dei pastori, che hanno fatto sì che il passaggio dalla fede tradizionale a quella cattolica non sia stato traumatico. “Quando mio padre – ha raccontato il vescovo nigeriano Onayukean – si è convertito al cattolicesimo, non si è sentito di aver abbandonato la fede nel Dio unico e supremo che gli era stata trasmessa dagli antenati”.

Nel continente asiatico, il sentimento religioso è diffuso, e tutte le religioni (al di là delle minoranze fondamentaliste, che sono alla base della strage dei cristiani che si sta attuando nella regione indiana dell’Orissa) convivono con rispetto. Importante, lì, non è l’evangelizzazione, perché la profonda cultura asiatica si può sentire quasi “violentata” dalla proposta di una scelta religiosa: a volte, viene presa come un’imposizione. Importante, piuttosto, l’esempio, il modo di vivere dei cristiani nelle comunità, il lavoro che fanno.

L’America Latina è una realtà viva, nella quale la discussione sulla Parola di Dio è passata attraverso una forte spinta verso il sociale e l’opzione preferenziale per i poveri: parlando con i vescovi latinoamericani, si scopre come l’annuncio della Parola è semplice, in realtà, e passa attraverso le cose concrete, di ogni giorno, dall’aiuto concreto e presente agli ultimi. La parola d’ordine viene direttamente dall’enciclica Populorum Progressio di Paolo VI: “Il nuovo nome della pace è sviluppo”. L’Oceania si trova spaccato tra un grande Stato fortemente secolarizzato (l’Australia) e la difficoltà di raccontare la parola nelle migliaia di lingue delle piccole nazioni che la conformano. La situazione dell’Europa (e dell’Occidente) sembra invece più critica: oltre a un forte sentimento anticristiano che si è sviluppato, la forte secolarizzazione rende più difficile l’annuncio, e c’è la necessità di nuove proposte di vita, che siano in grado di rinfocolare l’annuncio della Parola nella comunità.

Articolo del dott. Andrea Gagliarducci ( Indirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo )