Il Santuario Garganico

Il Santuario GarganicoDi ritorno dalla guerra di Troia, il primo re di Argo sarebbe sbarcato in Italia e avrebbe denominato il promontorio pugliese Gargano dal nome del monte Gargara in Frigia, introducendovi anche il culto a varie divinità. Il luogo boscoso, cosparso di anfratti e caverne, ben si prestava al raduno di piccole comunità dedite al culto dell’indovino Calcante e del medico Podalirio, soppiantati in seguito dalle pratiche rituali collegate con il dio Mitra. Qui sorgeva un celeberrimo santuario-grotta dedicato a questa divinità orientale. Essendo il dio nato da uno spuntone roccioso, si venerava una roccia conica dalla cui sommità sporgeva un fanciullo con il berretto frigio. Mitra all’origine era una divinità indiana vedica, risalente al periodo indo-iranico. Assunse poi alcune caratteristiche del dio Sole e di Apollo, acquistando molta importanza durante l’impero romano e contendendo addirittura il primato al cristianesimo. Vincitore delle forze del male, benefattore dell’umanità, venne portato in cielo su di ... 

... un carro di fiamme, ma sarebbe ritornato dopo un lungo ciclo di anni e avrebbe dato ai suoi fedeli una bevanda che li avrebbe resi immortali (BONNEFOY Y., Dizionario delle mitologie e delle religioni, BUR, Rizzoli editore, Milano 1989, vol. II, pp. 1199ss.). La liturgia mitraica comportava sette gradi di iniziazione: si cominciava con la partecipazione ad un banchetto costituito da pane ed acqua tinta nel vino. Le cerimonie avvenivano in una cripta, percorsa da una fonte sacra nel mezzo o di lato, indispensabile per le abluzioni e le immersioni purificatrici.

Dietro l’ara vi era sempre un bassorilievo rappresentante Mitra in atto di uccidere il toro sacro, il cui sangue simboleggiava la vita dell’universo; non mancava poi la statua del Tempo infinito. Di tali sculture rimangono bellissimi esemplari ad Ostia e in molti altri luoghi del tardo impero romano. Presso il rilievo che ospitava l’edificio sacro, lo storico Strabone attestava la presenza di due luoghi di culto pagani. Il primo, sulla cima, era dedicato a Calcante, indovino ed eroe del ciclo troiano; il secondo a Podalirio, figlio di Asclepio e medico dai poteri prodigiosi, presso il cui tempio vi era una fonte con acque dotate di poteri terapeutici ed utilizzate per medicare il bestiame.

Come Apollo, vincitore nell’antichità del serpente Pitone, figlio della Terra, così Michele trionfa sul drago, suscitato da Satana. Come Mitra, custode delle mandrie bovine, esigeva continui sacrifici di tori, così Michele, sia sul Gargano sia su Mont Saint-Michel, si è manifestato attraverso il prodigio del toro. Nel culto di S. Michele sembrano allora ritrovarsi e mescolarsi vari miti pagani e ciò è dimostrato dal fatto che vari luoghi di culto cristiani a lui dedicati sorgono sovente sulle fondamenta di precedenti edifici pagani. La città di Monte Sant’Angelo si è sviluppata sul luogo in cui si trovava il tempio di Calcante, mentre la basilica e la grotta di S. Michele furono ricavate utilizzando le pietre del tempietto di Podalirio. Fino quasi alla metà del XX secolo qui si è praticato il rito divinatorio dell’incubatio, di chiara origine pagana. L’origine del complesso cultuale cristiano risale al V secolo ed è dovuto, secondo la tradizione, al vescovo di Siponto Lorenzo Maiorano (490), al quale l’arcangelo San Michele aveva rivelato in sogno una grotta del monte scelta per esservi onorato.

Anche l’acqua stillante dal soffitto era ritenuta miracolosa. Secondo antichissimi racconti popolari varie persone, dopo aver passato qualche notte nel tempio, accanto alla statua dell’Arcangelo e bevuto di quell’acqua, mediante sogni ricevevano istruzioni sulle modalità e cure da seguire per propiziare guarigioni che avevano del prodigioso, di fronte a cui la scienza medica si era dichiarata vinta. La storia del culto dell’Arcangelo S. Michele sul Gargano viene ricostruita sulla base del Liber de apparitione sancti Michaelis in monte Gargano, particolarmente studiato ed analizzato scientificamente da numerose pubblicazioni dello studioso Giorgio Otranto, che ne ha proposto una datazione tra la fine dell’VIII e i primissimi anni del IX secolo.

Messaggero di Dio, protettore d’Israele e difensore della Chiesa, è il principe delle milizie celesti, taumaturgo e guaritore. Secondo una tradizione è proprio S. Michele a discendere nella piscina Betzaetà e agitare l’acqua procurando la guarigione al primo malato che vi si tuffava. Negli ambienti gnostici le invocazioni a S. Michele rivestivano un aspetto magico e apotropaico; incise su oggetti vari, collane, pietre, gemme, lamelle, erano portate addosso o deposte sulla tomba del defunto perché favorissero il suo viaggio nell’oltretomba. Fu proprio la zona della Frigia, e precisamente a Colosse e a Galgara, a veder fiorire forse il più antico luogo di culto, caratterizzato dallo scaturire di una fonte miracolosa, le cui virtù terapeutiche si manifestarono per esempio su di una fanciulla muta dalla nascita: aspersa con l’acqua implorando la SS. Trinità, per l’intercessione di S. Michele riottenne immediatamente la salute. Se il diavolo era ritenuto distruttore di ogni sanità fisica, S. Michele rivestiva sia il ruolo di combattente militare contro i nemici di Dio sia quello iatrico. A Pythia, in Bitinia, le acque termali attiravano stormi di malati già secoli prima del cristianesimo.

Vi si venerava Ercole datore di forza con tre ninfe tutelari del luogo. S. Michele soppiantò il nome, il culto e le proprietà terapeutiche. Luoghi di culto micaelici sorsero lungo la valle del Nilo, lungo torrenti e ruscelli dell’Asia Minore, mentre sulla sponda del Bosforo Costantino fece costruire un santuario, in cui si praticava il rito dell’incubatio e guarivano persone affette da attacchi febbrili. A S. Michele guaritore vennero consacrati a Costantinopoli ben 16 luoghi di culto, frequentati soprattutto dagli strati sociali meno abbienti o da malati mancanti di mezzi per curarsi e perciò ricoverati presso ospizi dipendenti da chiese micaeliche, erette per lo più accanto a corsi d’acqua, per cui l’Arcangelo era conosciuto come patrono dell’acqua fluviale, medico, psicoterapeuta e guerriero. Infatti in ebraico Michele significa: chi come Dio? per cui iconograficamente è rappresentato con la spada e la bilancia.

Proviene dall’Oriente quindi la conoscenza dell’Arcangelo, come da Costantinopoli proveniva il pastore della chiesa di Siponto che, coinvolto negli eventi prodigiosi sul Gargano, divenne lo strumento per aprire al culto cristiano la spelonca già sacra a Calcante e Mitra. Le origini affondano in una nitida e prodigiosa leggenda suddivisa in tre parti scandite da altrettante apparizioni dell’Arcangelo. I tre episodi, detti rispettivamente del toro, della battaglia e della consacrazione della basilica, evidenziano nell’Apparitio due stadi redazionali: “il più antico riflette la fase iniziale della storia del culto all’Arcangelo sul Gargano (V-VI secolo), cioè l’arrivo e l’introduzione del culto adombrato nel primo episodio, la consacrazione della basilica ipogea fatta direttamente da S. Michele (terzo episodio) ed i riferimenti alle guarigioni operate con l’acqua che sgorgava dalla roccia all’interno della grotta. Il secondo stadio redazionale riporta all’epoca successiva, cioè a dopo che i Longobardi di Benevento, sconfiggendo nel 650 i Bizantini, si impadronirono del santuario, fecero eseguire alcuni lavori di ristrutturazione al suo interno ed unificarono le diocesi di Benevento e Siponto sotto la giurisdizione di un solo Vescovo” (G. Otranto-C. Carletti, Il Santuario di S. Michele Arcangelo sul Gargano dalle origini al X secolo, Edipuglia, Modugno (BA) 1995, p. 15). Queste premesse permettono di datare l’inizio e lo sviluppo del culto micaelico e nello stesso tempo di conoscere i successivi tempi di ristrutturazione del santuario.

CAPITOLO 2 TRE EPISODI PRODIGIOSI Nel primo episodio, datato al 490, si narra che Gargano, un ricco pastore del posto, rientrando la sera con il suo numeroso gregge al recinto di custodia, si accorge che manca un toro. Stanco per la ricerca ed irato, quando lo scorge inginocchiato all’ingresso di una grotta, lo saetta con una freccia avvelenata che, però, a modo di boomerang, ritorna su se stessa e colpisce violentemente il padrone. Grande è l’impressione, tanto che la notizia arriva agli orecchi del Vescovo di Siponto Lorenzo Maiorano, il quale, dopo tre giorni di digiuno e di orazione, ha la prima apparizione di S. Michele che gli rivela di essere stato lui l’autore del gesto misterioso per evidenziare che sarà il patrono e il custode di quella terra.

Ovvia l’interpretazione: la freccia del cristianesimo infligge un colpo mortale alle agonizzanti superstizioni pagane impersonate dal ricco ed irascibile Gargano, quindi la sostituzione del paganesimo con il cristianesimo, come sembra fortemente insinuare una seconda apparizione al Vescovo nel 492. L’episodio del toro ha lasciato numerose testimonianze nel campo pittorico e scultoreo.

All’interno dell’antro intanto continuava a sgorgare dalla roccia una stilla, che, raccolta dai fedeli in recipienti di vetro per motivi terapeutici, si rivelava particolarmente efficace contro le febbri. Il secondo episodio racconta la celebre vittoria dei Longobardi di Benevento contro i Bizantini nel 650, ottenuta per la protezione dell’Arcangelo; in ossequio al voto fatto furono eseguiti vari lavori di ristrutturazione all’interno della grotta. Ecco il racconto tratto dall’Apparitio: “Frattanto i Bizantini che andavano dietro ai riti pagani (ma in realtà non erano né pagani né idolatri) mossero guerra agli abitanti di Siponto e di Benevento.

Questi ultimi, esortati dal Vescovo, fecero un digiuno di tre giorni ed invocarono la protezione di S. Michele, che nella notte apparve al Prelato promettendo di intervenire ed ingiungendo di affrontare il nemico all’ora quarta del mattino. Alla prima avvisaglia del conflitto il Gargano viene scosso da un tremendo sussulto, guizzano ripetuti lampi e fulmini ed una fitta nebbia ricopre la vetta della montagna. I pagani si danno alla fuga, mentre gli altri, resisi conto che era stato un Angelo a venire in soccorso dei cristiani – infatti un fulmine ne aveva colpito quasi seicento – si sottomettono a Cristo, re dei re, e si accodano ai vincitori che, discesi nella grotta dell’Arcangelo, porgono i loro voti al Signore”.

Lo scontro per il possesso dell’Italia Meridionale tra Longobardi e Bizantini sfociò in una battaglia vinta dal duca di Benevento, ma venne alquanto trasfigurata ed arricchita in senso religioso popolare. “Quando nel IX secolo, accanto alla data tradizionale del 29 settembre, cominciò a comparire l’8 maggio come dies festus della dedicazione della chiesa micaelica, la storiografia longobarda datò proprio a quel giorno l’apparizione di Michele al Vescovo e la vittoria di Grimoaldo sui Bizantini, contribuendo a creare una tradizione che si è perpetuata inenterrottamene nei secoli” (G. Otranto–C. Carletti, Il santuario di S. Michele Arcangelo sul Gargano dalle origini al X secolo, Edipuglia, Modugno (BA) 1995, p. 40).

Grimoaldo poi, spacciandosi come ispirato dall’Arcangelo, sfruttò il culto micaelico per creare un’unità tra Longobardi cristiani ed ariani, rafforzando politicamente il suo ducato, e quando ascese al trono di Pavia (662) fece costruire in questa città e poi a Milano varie chiese dedicate a S. Michele. Il culto all’Arcangelo quindi, finalizzato ad instrumentum regni, lentamente perde o meglio mette in ombra il carattere di guaritore, ed assume un ruolo guerresco, dedotto dall’essere capo delle milizie celesti. Trasformato in soldato, patrono dei combattenti, prevede per i Longobardi gli eventi militari, si pone alla testa delle loro schiere, presta loro aiuto, incute terrore ai nemici, determina la vittoria. Il duca Cuniperto, verso il 665, fece rappresentare l’Arcangelo guerriero non solo sugli scudi per assicurarsene la protezione ed incutere timore ai nemici, ma anche sulle monete vennero evidenziati gli attributi militari della lancia e dello scudo.

La figura di S. Michele bene si intonava alle caratteristiche della gente longobarda, tanto che concentrarono nell’Arcangelo imperator tutte le qualità dei loro dei guerrieri. Ma le cronache annotano altri particolari significativi. “Nel 671 l’Arcangelo apparve addirittura al principe Pertarito rivelandogli la morte di Grimoaldo. Poi in un’operetta anonima del IX secolo, pervasa da acceso nazionalismo longobardo, S. Michele viene presentato a capo dell’esercito alla conquista dell’Italia meridionale” (G. Otranto-C. Carletti, cit., p. 46).

Tali episodi sono comprensibili nel contesto di accesa e strumentalizzata devozione, innescata dalla conversione della corte e di gran parte della popolazione longobarda al cristianesimo ad opera di Teodolinda con il concorso di papa Gregorio Magno (590-604). Cuniperto (688-700), una volta salito sul trono di Pavia, divenne devotissimo dell’Arcangelo e così intraprendente nel diffonderne ed imporne il culto, che verso la fine del IX secolo la grotta garganica veniva considerata il santuario nazionale longobardo. Ma già da quasi oltre un secolo, cioè tra la fine dell’VIII e l’inizio del IX secolo, era stata redatta l’Apparitio, in cui si poteva leggere l’incredibile e mirabolante racconto della consacrazione dell’edificio ipogeico, avvenuta il 29 settembre dell’anno 493. Quindi la redazione del terzo episodio risale, quanto a datazione, a cavallo dell’VIIIIX secolo, ma viene retrodatata sul finire del V secolo.

“È proprio Un Arcangelo e tre santuari - I TRIONFI DI SAN MICHELE 15 I trionfi_imp 9-09-2005 14:35 Pagina 15 questa l’epoca in cui il culto micaelico si insedia sul promontorio pugliese, in quella grotta che per secoli aveva visto officiare diversi culti pagani”. Anche il Liber Pontificalis di Papa Gelasio I (492-496), con un’espressione sicuramente interpolata e decisamente erronea, lega l’inizio del culto dell’Arcangelo al Vescovo di Siponto Lorenzo, un Prelato venuto da Costantinopoli ed imbevuto di una sana e forte devozione alle milizie celesti.

Ma in agiografia anche dati fantastici e leggendari sovente vengono assimilati e vissuti come reali, come appare nel seguente strepitoso evento, entrato a far parte dell’immaginario religioso popolare. Il terzo episodio, incastonato appunto in tale contesto, racconta come la grotta non sia stata consacrata dalla gerarchia ecclesiastica, ma dall’Arcangelo stesso. Il Vescovo di Siponto, dato il continuo avverarsi di prodigiose guarigioni ottenute bevendo l’acqua sgorgante dal soffitto della grotta, soprattutto in certi giorni di festa in cui maggiore era la presenza di potenze angeliche, ricorre a Papa Gelasio, il quale consiglia un digiuno di tre giorni per conoscere i desideri celesti.

L’Arcangelo riappare al Vescovo e gli dice: “Non spetta a voi dedicare questa basilica che io ho costruito. Tu domani vi celebrerai delle messe e il popolo si comunicherà secondo la consuetudine; sarà compito mio mostrarvi come io di mia iniziativa abbia consacrato questo luogo”. L’indomani Lorenzo ed altri sei Vescovi pugliesi si avviarono in processione verso il monte, mentre alcune aquile con ali spiegate riparavano i presuli dai raggi del sole; la forma delle ali sembravano riprodurre il bracciale d’oro a forma di aquila posto sul braccio sinistro della statua di S. Michele. Mentre devotamente con canti e preghiere giungevano alla soglia del luogo sacro, la grotta improvvisamente si illuminò e si vide l’altare coperto con un drappo vermiglio.

Tutto era già pronto per la messa, che venne celebrata dal presule Lorenzo estasiato e convinto che quel 29 settembre il potente Arcangelo aveva segnato l’inizio di un’era di fervorosi pellegrinaggi. Il quarto episodio ricorda la terribile pestilenza che nel 1656 mietè un grande numero di persone nell’Italia meridionale. Come da secolare usanza, anche il Vescovo Alfonso Piccinelli pregò il Signore incessantemente per la fine del morbo; improvvisamente gli apparve Michele avvolto da una splendida luce e gli intimò di benedire i sassi della grotta e scolpire su di essi il segno della croce e le lettere M. A. (Michele Arcangelo). Chiunque avesse tenuto in casa un tal sasso, sarebbe rimasto immune dalla pestilenza.

La gente accorse in massa a raccogliere anche le più piccole pietre sparse nella grotta. E la città di Monte Sant’Angelo, così liberata dal male, volle innalzare una colonna proprio di fronte alla finestra dello studio episcopale nel quale era avvenuta l’apparizione e vi pose quest’iscrizione: Al Principe degli Arcangeli, vincitore della peste, patrono e titolare, monumento di eterna gratitudine. La storia delle apparizioni, conosciuta in tutta Europa, trasformò il Gargano in meta di pellegrinaggio dal Medioevo all’epoca odierna. Nelle vicinanze poi sorge Pietrelcina, resa famosa in tutto il mondo dalla santità e dalle opere di S. Padre Pio, di modo che nessun pellegrino tralascia uno dei due luoghi di culto. Monte Sant’Angelo è il più elevato centro abitato del Gargano, in mirabile posizione panoramica sopra uno sperone meridionale del promontorio.

Il complesso sacro attuale è dominato dalla lavorata e poderosa mole del campanile ottagonale alto 40 metri e risalente al 1273. In fondo al piazzale in pietra si apre con due arcate ogivali l’atrio d’accesso, e sul portale destro vi si legge l’iscrizione: Terribilis est locus iste – Hic domus Dei est et porta coeli. Una scala di 89 gradini scende dal vestibolo d’ingresso all’atrio interno; si accede poi alla chiesa attraverso un portale romanico con magnifiche imposte in bronzo, eseguite a Costantinopoli nel 1076, con splendide formelle rappresentanti le tre apparizioni dell’Angelo al Vescovo di Siponto. Sull’arco spiccano le parole che, secondo la tradizione, S. Michele dettò al Vescovo Lorenzo: Ubi saxa panduntur ibi peccata hominum dimittuntur. Haec est domus specialis in qua quaeque noxialis actio diluitur (Dove pendono i sassi ivi i peccati sono rimessi.

Questa è una dimora speciale nella quale qualsiasi colpa viene lavata). L’interno è ad una navata con volte ogivali poggianti su mensole. Sulla destra si apre la suggestiva grotta dell’Arcangelo, sul cui fondo si staglia l’altare con la statua di S. Michele in alabastro, cinquecentesca: a sinistra dell’altare una cattedra episcopale del XII secolo. Nella cavità a sinistra si apre l’altare della Madonna, e appena dietro, fino a 20 anni fa circa, si poteva raccogliere l’acqua stillante dalla roccia, creduta miracolosa dal popolino. Di rilevante importanza storica sono le cripte, ambienti che costituivano l’antico passaggio longobardo alla grotta, recentemente adibiti a museo lapideo. Si possono vedere raffigurazioni delle apparizioni, iscrizioni dedicatorie e commemorative redatte in alfabeto runico e forse franco. Risaltano infine molteplici segni incisi sulle pareti della scalinata angioina, dovuti alla pietà di pellegrini di vicine e lontane regioni.

La basilica suscita emozioni di impressionante bellezza naturale ed artistica, ma è soprattutto un luogo di preghiera e di perdono. Qui S. Michele richiama tutti a riconoscere il primato di Dio sugli Angeli, sull’uomo, sul cosmo. La sacralità del luogo, contornato da un panorama atto alla contemplazione, costituisce una formidabile attrattiva per pellegrinaggi da ogni parte del mondo. Vi salirono nel corso dei secoli Papi e re, prìncipi e generali, devoti e santi. Una tradizione, ma poco attendibile, vuole che Francesco d’Assisi abbia sostato in preghiera all’ingresso della sacra grotta, ritenendosi indegno di entrarvi. Baciò la terra e su una pietra incise un Tau, il sigillo dei salvati, per significare che quel luogo sarebbe stato fonte di redenzione per ogni credente. A ricordo di tale avvenimento, all’ingresso della grotta è stato eretto un altare dedicato al Santo di Assisi.

A conclusione una emozione significativa. Vari archeologi hanno scoperto che la prima basilica dedicata all’Arcangelo non è stata edificata a Monte S. Angelo; infatti già nel V secolo non solo a Roma, ma in gran parte d’Italia, soprattutto centrale ed anche meridionale, erano sorte chiese ed oratori consacrati al culto di S. Michele. Tuttavia Monte S. Michele era il più famoso, il più celebrato, il più visitato e da qui il culto angelico ha spiccato il volo verso altre regioni italiane e nazioni europee, richiamandosi però più o meno direttamente o indirettamente agli elementi micaelici garganici. Gli edifici sacri, eretti in seguito ad una apparizione o dopo qualche strepitoso prodigio, poggiarono le fondamenta in paesaggi naturalmente suggestivi, come vette di monti sovrastanti importanti vie di comunicazione, grotte naturali costellate di stalattiti e stalagmiti, corsi di fiumi lambenti città in rapido sviluppo.

Don Vincenzo Mercante