Franz Kafka e gli Angeli

Franz Kafka e gli AngeliFiglio di un artigiano commerciante ebreo, lo scrittore Franz Kafka (Praga 1883-1924) ebbe col padre un rapporto tormentoso, in parte documentato dalla drammatica  Lettere al padre (Brie fan den Vater, 1919). Il fidanzamento con Felice Nauer interrotto, ripreso, poi definitivamente sciolto (1914), l’amore per Milena Jesenska (1920-22; notevoli le  Lettere a Milena , Birefe an Milena), la relazione con Dora Dumant, con cui  convisse dal 1923, testimoniano l’angosciata ricerca di una stabilità sentimentale che non fu mai raggiunta. Intrapreso lo sgradito studio della giurisprudenza, si laureò nel 1906 e si impiegò in un istituto di assicurazioni ( 1908-1917), quindi  in un istituto di assicurazioni degli infortuni sul lavoro. Malato di tubercolosi, soggiornò per cure a Riva del Garda (1910-10912), poi nel 1920 a Merano, da ultimo nel sanatorio di Kirling, presso Vienna, dove morì. Praga era, ai tempi, un vivace centro culturale e particolarmente viva era la presenza della cultura ebraica. ... 

...  Strinse amicizia con Franz Werfel e specialmente con Max Brod, partecipando alla vita letteraria della città.

Nel 1913 esordì con una raccolta di brevi prose , tra descrittive e narrative, Meditazione (Betrachtung); ma già nel 1907 aveva progettato il romanzo Preparativi di nozze in campagna , del quale restano le pagine iniziali.

Nel 1916, pubblicò il suo racconto più celebre, La metamorfosi, storia allucinante di un uomo che, risvegliandosi il mattino nel suo letto, si trova trasformato in un enorme scarafaggio e deve subire, sino alla morte, tutte le umiliazioni della nuova, degradante esistenza.

Tra il 1910 e il 1920 completò o abbozzò le opere più importanti, ma non volle che i manoscritti fossero distrutti. L’amico Max Bord ne curò invece la pubblicazione. Sono un buon numero di racconti  - la Condanna (1916), Nella colonia penale (1919), - la raccolta La costruzione della muraglia cinese (1918) e soprattutto tre romanzi incompiuti, che si riservava di riprendere  e forse completare: America (iniziato nel 1910, edito nel 1927), vicenda di un adolescente che, inviato oltreoceano a espiare una ingenua colpa d’amore, è destinato a perdersi in una realtà a lui incomprensibile; il Processo (1914-15, edito nel 1924) in cui un uomo viene accusato di una colpa ignora e alla fine giustiziato da un misterioso tribunale; il Castello (1922, edito nel 1926), rappresentazione di un’autorità arcana e insondabile, i “signori del castello” ai cui voleri deve sottomettersi un agrimensore.

Nel 1914, nei Diari di Franz Kafka, in data 25 giugno, troviamo una pagina radiosa e straordinaria dedicata all’apparizione di un angelo: qualcosa di non troppo diverso da quanto abbiamo letto a proposito di Marc Chagall, ma che forse non ci si aspetterebbe di trovare proprio in Kafka, un uomo che vive nell’angoscia e nella solitudine, che si sente prigioniero nella stanza d’affitto, che non si concede speranze dorate.

Eppure proprio a lui la straordinaria esperienza .

Eccola: “Dalla mattina presto fino a questo crepuscolo ho passeggiato in su e giù per la stanza. La finestra era aperta, calda la giornata. A furia di guardare mentre passeggiava, conoscevo ormai ogni dettaglio della stanza. Avevo perlustrato con lo sguardo tutte le pareti… avevo misurato a spanne il tavolino centrale. Più volte avevo già digrignato i denti contro il ritratto del defunto marito della padrona di casa. Verso sera mi affacciai alla finestra e sedetti sul basso davanzale.

Allora guardai per caso e per la prima volta da quel posto tranquillo l’interno della stanza e il soffitto. Finalmente…quella stanza cominciò a muoversi. Ciò ebbe inizio ai margini del bianco soffitto, intorno al quale correva un leggero fregio di gesso. Pezzetti d’intonaco si staccarono e caddero a terra come casualmente, qua e là, con colpi secchi… Poi al bianco del soffitto cominciò a mescolarsi un viola azzurrino, a partire dal centro del soffitto che rimaneva bianco; anzi mandava addirittura un bianco radioso di sopra alla misera lampada attaccata al soffitto.

A ondate il colore, o forse una luce, si propagava continuamente verso il margine che si andava oscurando. E non badavo più all’intonaco che cadeva staccato come dalla pressione di un attrezzo usato con molta precisione.

Ed ecco, in quel viola s’insinuarono dai lati colori gialli, gialli-oro. Ma il soffitto in realtà non si colorava: i colori lo rendevano soltanto trasparente e sopra di esso pareva che gli oggetti si librassero e lo volessero attraversare,e già si vedeva un braccio che si stendeva, una spada d’argento che si alzava e si abbassava.

Ciò avveniva per me senza alcun dubbio: si stava preparando un’apparizione, spinsi la tavola verso il muro… Avevo appena finito, allorché il soffitto si aprì davvero.

Da grande altezza, che avevo male valutato, scese lentamente nella penombra un angelo vestito di panni di un viola azzurro, cinto di cordoni d’oro, con grandi ali bianche dal fulgore di seta, la spada vibrata orizzontalmente nella mano sollevata. Un angelo dunque, pensai.

Tutto il giorno vola verso di me e io, scettico come sono, non lo sapevo. Adesso mi parlerà. Abbassai lo sguardo, ma quando lo risollevai l’angelo c’era bensì ancora, e si librava parecchio di sotto del soffitto che si era richiuso, ma non era più un angelo vivo, bensì solamente una polena di legno dipinto, come si vedono appese al soffitto delle osterie da candeliere e doveva accogliere il sego liquefatto.

La lampadina era strappata, d’altro canto non volevo stare al buio, e poiché si trovò una candela, montai su una sedia, infilai la candela nell’elsa della spada, l’accesi e rimasi poi seduto fino a tarda notte sotto il lieve bagliore dell’angelo”.

Franz Kafka non ha lasciato commenti della sua straordinaria visione, e dobbiamo quindi andare per tentativi: un “incontro” vero?

Oppure il cielo simbolicamente si apre per un attimo per quest’uomo angosciato, per poi richiudersi, lasciando tuttavia qualcosa di tangibile cioè la polena variopinta, che non è un angelo vivo, ma lo rappresenta?

Certamente Kafka visse un momento di grazia, ebbe un “segno” che lo consolò e lo aiutò.

Molto importante mi sembra anche l’accenno alla doppia disponibilità che occorre per far sì che questi incontri avvengano: l’angelo si è messo in viaggio per raggiungere il poeta, e mentre è in volo gli manda messaggi che lui a lungo non coglie. Poi capisce, accetta l’incredibile, si prepara, predispone tutto per l’evento straordinario che effettivamente si realizza.

Il significato è chiaro: solo  se c’è disponibilità e accettazione interiore si è in grado di cogliere i segni celesti, si diviene degni di visite soprannaturali.

L’incontro con l’angelo d’oro e d’azzurro, che scende nella grigia stanza del poeta con le sue grandi ali bianche e fruscianti, è un’immagine stupenda che investe come un arcobaleno il cupo mondo Kafkiano. Per il poeta di Praga, che meglio di ogni altro – e con accenti quasi profetici – ha descritto la crisi dell’uomo di oggi, non ci fu quindi soltanto alienazione e incomunicabilità, ma anche un segno celeste.

Don Marcello Stanzione