Una sintesi del ricco Magistero del Papa nella terza giornata della GMG Madrid 2011

Una sintesi del ricco Magistero del Papa nella terza giornata della GMG Madrid 2011Nella prima giornata della GMG Benedetto XVI ha proposto lo schema concettuale della sua visita spagnola: le molteplici crisi contemporanee, compresa quella economica e del lavoro, hanno come radice comune il relativismo. La GMG è una risposta seria ed efficace al relativismo in quanto aiuta i giovani a proclamare con coraggio che esiste la verità, dunque esistono le diverse verità: filosofiche, morali, religiose, fino all'incontro con Gesù Cristo, in cui la verità si fa persona. Nella seconda giornata il Papa ha mostrato che si può percorrere questo itinerario, che è uno, sia a partire dalla ragione, con l'esperienza di una educazione e di una università capaci di affermare il primato della verità e di aprirsi alla fede, sia a partire dalla fede - che diventa testimonianza radicale di donazione a Cristo nella vita religiosa, e sequela del Signore sofferente nella Via Crucis - che, illuminando la nozione stessa di verità, incontra e feconda la ragione. Sabato 20 agosto la terza giornata ... 

...  di Benedetto XVI a Madrid ha presentato due nuovi esempi di testimonianza radicale per la verità, quello della scelta del sacerdozio e del seminario in una società secolarizzata e anticristiana, e quello del servizio agli handicappati non solo fisici ma mentali, della cui piena dignità di persone una cultura ostile alla vita oggi dubita. La giornata   si è aperta con la Messa celebrata per i seminaristi nella cattedrale di Santa Marìa la Real de la Almudena. Come aveva fatto il 19 agosto con le giovani religiose, il Papa ha sottolineato nell'omelia  come la testimonianza radicale dell'offerta di sé, del celibato, dell'obbedienza alla Chiesa dei seminaristi proclami al mondo che la vera libertà non consiste nel fare quello che si vuole ma nell'essere docili alla verità, che esiste e che si può conoscere.

Il seminarista si prepara a mettere al centro della sua missione sacerdotale l'Eucarestia, dove - ha detto il Papa - «il corpo spezzato e il sangue versato di Cristo, cioè la sua libertà offerta, si sono convertiti attraverso i segni eucaristici nella nuova fonte della libertà redenta degli uomini. In Lui abbiamo la promessa di una redenzione definitiva e la speranza certa dei beni futuri. Attraverso Cristo sappiamo che non siamo dei viandanti verso l’abisso, verso il silenzio del nulla o della morte, ma siamo dei pellegrini verso una terra promessa, verso di Lui, che è la nostra meta e anche la nostra origine».

Ma questa preparazione richiede che i seminari, troppo spesso coinvolti anch'essi nella crisi generale, siano davvero fedeli al loro mandato. Quelli trascorsi in seminario «devono essere anni di silenzio interiore, di orazione costante, di studio assiduo e di prudente inserimento nell’azione e nelle strutture pastorali della Chiesa». Tutti noi sacerdoti, ha detto il Pontefice, «dobbiamo esser santi per non creare una contraddizione fra il segno che siamo e la realtà che vogliamo significare».

I tempi sono particolarmente difficili? È vero. Ma «nessuno sceglie il contesto, né i destinatari della propria missione. Ogni epoca ha i suoi problemi, ma Dio offre in ogni tempo la grazia opportuna per farsene carico e superarli con amore e realismo». E - con parole in cui una parte della stampa ha voluto vedere anche una risposta indiretta alle gazzarre anticlericali contro la visita del Papa in Spagna - Benedetto VI ha invitato i seminaristi a non lasciarsi «intimorire da un ambiente nel quale si pretende di escludere Dio e nel quale il potere, il possedere o il piacere sono spesso i principali criteri sui quali si regge l’esistenza. Può darsi che vi disprezzino, come si suole fare verso coloro che richiamano mete più alte o smascherano gli idoli dinanzi ai quali oggi molti si prostrano. Sarà allora che una vita profondamente radicata in Cristo si rivelerà realmente come una novità, attraendo con forza coloro che veramente cercano Dio, la verità e la giustizia».

Al termine della Messa con i seminaristi il Papa ha annunciato che il patrono del clero secolare spagnolo, san Giovanni d'Avila (1499-1569) - da non confondersi con san Giovanni della Croce (1542-1591) -, sarà presto proclamato Dottore della Chiesa. Sarà così onorato un grande predicatore stimato dall'imperatore Carlo V (1500-1558), che gli affidò l'omelia ai funerali dell'amatissima moglie Isabella del Portogallo (1503-1539), ricordando ancora una volta il legame fra la gloria della Spagna e le sue radici cristiane. Ma in epoca di crisi economica è anche significativo che la Chiesa attiri l'attenzione su un maestro spirituale che non mancò mai d'insistere - a costo anche d'incomprensioni e difficoltà con la gerarchia ecclesiastica del suo tempo - sull'austerità e sulla sobrietà della vita, di cui anche i più ricchi devono dare l'esempio specie in tempi di generale difficoltà.

Visitando la Fondazione «Istituto San José», dove i religiosi dell'Ordine Ospedaliero di san Giovanni di Dio (1495-1550), i cosiddetti Fatebenefratelli, nel solco dell'opera del loro confratello milanese attivo in Spagna san Benedetto Menni (1841-1914) si prendono cura di handicappati e malati di mente, il Pontefice ha ricordato che una testimonianza speciale per la verità è quella che riafferma, in un mondo tentato dall'eutanasia, che nessuna vita è inutile. Opere come questa, ha detto il Papa, testimoniano

«della dignità di ogni vita umana, creata a immagine di Dio. Nessuna afflizione è capace di cancellare questa impronta divina incisa nel più profondo dell’uomo. E non solo: dal momento in cui il Figlio di Dio volle abbracciare liberamente il dolore e la morte, l’immagine di Dio si offre a noi anche nel volto di chi soffre. Questa speciale predilezione del Signore per colui che soffre ci porta a guardare l’altro con occhi limpidi, per dargli, oltre alle cose esterne di cui ha bisogno, lo sguardo amorevole di cui ha bisogno».

L'incontro con la sofferenza - e tanto più con giovani sofferenti o handicappati - è, oggi più che mai, una sfida. «Quando il dolore appare nell’orizzonte di una vita giovane, rimaniamo sconcertati e forse ci chiediamo: può continuare ad essere grande la vita quando irrompe in essa la sofferenza? A tale riguardo, nella mia enciclica sulla speranza cristiana, dicevo: "La misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente (…) Una società che non riesce ad accettare i sofferenti e non è capace di contribuire mediante la com-passione a far sì che la sofferenza venga condivisa e portata anche interiormente, è una società crudele e disumana" (Spe salvi, 38)». Nella «nostra società, nella quale troppo spesso si pone in dubbio la dignità inestimabile della vita, di ogni vita» il servizio alla sofferenza è un'altra sfida al relativismo, un'altra testimonianza eloquente e persuasiva per la verità, in questo caso la verità sulla persona umana e sulla vita, il cui valore non dipende dalla buona salute fisica o mentale.

Animato da queste testimonianze - di chi sceglie il sacerdozio, di chi dedica la vita a servire i portatori di handicap o i malati di mente - come potrà il giovane della GMG dire a sua volta no al relativismo, decidere di vivere nella verità e per la verità? È stato questo il tema della veglia di preghiera del 20 agosto - di fronte a due milioni di giovani - all'aeroporto dei Quattro Venti.

La prima verità da testimoniare, ha detto il Papa nella veglia, è che non siamo frutto del caso ma di un progetto di amore di Dio. «Questa è la grande verità della nostra vita e che dà senso a tutto il resto. Non siamo frutto del caso o dell’irrazionalità, ma all’origine della nostra esistenza c’è un progetto d’amore di Dio». Il vero coraggio è non accettare le monete false del relativismo, nel non accontentarsi di niente di meno. «Cari giovani - ha esortato il Pontefice - non conformatevi con qualcosa che sia meno della Verità e dell’Amore, non conformatevi con qualcuno che sia meno di Cristo».

I frutti saranno immediatamente visibili e sperimentabili. «Se rimarrete nell’amore di Cristo, radicati nella fede, incontrerete, anche in mezzo a contrarietà e sofferenze, la fonte della gioia e dell’allegria. La fede non si oppone ai vostri ideali più alti, al contrario, li eleva e li perfeziona».

E nel discorso preparato per i tantissimi giovani della veglia - non pronunciato a causa della pioggia,ma distribuito alla stampa e pubblicato sul sito della Santa Sede - Benedetto XVI ha denunciato ancora una volta il relativismo come radice della crisi contemporanea, come velo che impedisce di comprendere il senso del dolore e delle prove e di affidarsi a Cristo che solo può aiutarci a superarle. «Precisamente oggi, in cui la cultura relativista dominante rinuncia alla ricerca della verità e disprezza la ricerca della verità, che è l’aspirazione più alta dello spirito umano, dobbiamo proporre con coraggio e umiltà il valore universale di Cristo, come salvatore di tutti gli uomini e fonte di speranza per la nostra vita. Egli, che prese su di sé le nostre afflizioni, conosce bene il mistero del dolore umano e mostra la sua presenza piena di amore in tutti coloro che soffrono. E questi, a loro volta, uniti alla passione di Cristo, partecipano molto da vicino alla sua opera di redenzione».

E l'appello alla verità, ha aggiunto il Papa, vale sia per chi è chiamato a testimoniarla nella vita sacerdotale e religiosa, sia per chi ha per vocazione l'incontro con le verità oggi scomode e contestate della famiglia e del matrimonio.  Molti dei giovani della  GMG scopriranno, o hanno già scoperto, che «sono chiamati dal Signore al matrimonio, nel quale un uomo e una donna, formando una sola carne (cfr Gn 2,24), si realizzano in una profonda vita di comunione. È un orizzonte luminoso ed esigente al tempo stesso. Un progetto di amore vero che si rinnova e si approfondisce ogni giorno condividendo gioie e difficoltà, e che si caratterizza per un dono della totalità della persona. Per questo, riconoscere la bellezza e la bontà del matrimonio, significa essere coscienti che solo un contesto di fedeltà e indissolubilità, come pure di apertura al dono divino della vita, è quello adeguato alla grandezza e dignità dell’amore matrimoniale».

Massimo Introvigne
da corrispondenza Facebook