SUOR MARIA PIA GIUDICI E SAN RAFFAELE ARCANGELO

SUOR MARIA PIA GIUDICI E SAN RAFFAELE ARCANGELOMaria Pia Giudici, suora salesiana, è nata a Viggiù, Varese nel 1922. e’ zia del vescovo di Pavia Giovanni Giudici. Ha insegnato e si interessata di educazione e media. Dal 1977 si è stabilita a Subiaco (Rm) per abitare con un pugno di consorelle l’eremo di san Biagio, sul monte Taleo, posto sopra il santuario benedettino del Santo Speco. Tra le sue pubblicazioni: Gli Angeli. Note esegetiche e spirituali (Città nuova 1995); Piccole storie dal Monte Taleo (Appunti di Viaggio 1997), Ritorniamo mal cuore. Lectio divina di pagine bibliche e pensieri dei Padri (Ivi 1999), Il viaggio irrinunciabile. Lectio divina sul passaggio dalla dispersione all’essenzialità (Paoline 2007); Elogio della vita (Paoline 2009) . La Figlia di Maria ausiliatrice, suor Maria Pia Giudici nel suo bel libro “ Gli Angeli” così scrive riguardo a san Raffaele e gli sposi: “Il terzo Arcangelo di cui parla la Bibbia s’incontra nell’operetta intitolata a Tobia, un Libro sapienziale dove gl’insegnamenti , invece di essere impartiti a mo’di precetti, formano l’ordito d’un racconto movimentato, vivace, interessantissimo. Di questo testo – gioiello della letteratura vetero – testamentaria il protagonista è l’Arcangelo Raffaele, “uno dei sette spiriti – com’egli si dichiara – che sono sempre pronti ad entrare alla presenza della maestà del Signore” (Tb 12, 15). ...

... Nel suo commento al Libro Sacro, G. Marocco giustamente annota: “Nell’economia di quest’opera, Raffaele svolge una funzione essenziale ed il Libro non si comprenderebbe senza la sua presenza. Il Libro di Tobia fa compiere un bel passo avanti alla dottrina sugli Angeli” (G. Marocco, in La Bibbia: Parola di Dio scritta per noi , cit. I, Torino, 1980, p. 1183,  nota) il nome di Raffaele significa: “Dio guarisce” e si contrappone a quello del diavolo Asmodeo: “colui che fa perire”. Contro questo essere di tenebra e di morte, Raffaele agisce con la forza che gli viene da Dio, in ordine al trionfo d’una concezione retta e spirituale delle nozze come progetto del Signore per il vicendevole amore dei coniugi e la procreazione della prole. Il Libro narra dunque di Tobi, un uomo dall’animo integro e dal cuore spazioso, sposato ad Anna, come lui buona e timorata di Dio. Si sa, non è dunque il pellegrinaggio terreno che il giusto raccoglie immediatamente la ricompensa delle sue buone opere. Così avviene di Tobi. Anzi, durante il tempo dell’esilio a Ninive, nonostante egli si distingua per ogni sorta di giustizia e bontà, e in particolare per la misericordia con cui dà sepoltura ai morti, Tobi diventa cieco. La stessa moglie, provocata dal dolore gli lascia in faccia l’interrogativo tentatore: “Dove sono le tue elemosine? Dove sono le tue opere buone? Ecco, lo si vede come sei ridotto?” (Tb 2, 14). Tobi è affranto dall’angoscia. Ma si rivolge a Dio con una preghiera che è il suo stesso grido esistenziale. Con un sincronismo che dà efficacia al racconto, alla preghiera accorata di Tobi a Ninive corrisponde quella di Sara, una giovane donna che già per sette volte è andata sposa ma il cui marito sistematicamente è stato ucciso da Asmodeo durante la prima notte di sposalizio. Il personaggio di Sara esprime nel suo dramma le difficoltà inerenti al matrimonio in ordine alla sessualità che, pour buona in sé, per la ferita del peccato originale e per il malefico influsso del diavolo (qui impersonato da Asmodeo) può giocare un ruolo negativo, totalizzando su un piano solo materiale il rapporto della coppia. Ecco: Raffaele è mandato dal Signore proprio per sanare sia la cecità di Tobi che la dolorosa situazione di Sara. Lo incontriamo dopo le parole – testamento di Tobi al figlio Tobia che viene esortato a vivere in tutto secondo Dio, in sintonia coi precetti d’una giustizia – amore fraterno fulgidi anche oggi di attualità. Quasi come risposta di Dio a questo esemplare stile del padre, ecco Raffaele sotto le spoglie d’un giovane israelita che diventa compagno di viaggio del figlio Tobia, mandato da Tobi in un lontano paese della media a riscuotere una somma di denaro. E’ interessante il modo della reciproca conoscenza di Raffaele e Tobi, desideroso di vedere con chi il figlio stia per intraprendere il viaggio. L’Arcangelo,  introdotto dal figlio Tobia nella casa di Tobi saluta il vecchio con brevi parole solari: “Possa tu avere molta gioia”. E al lamento di Tobi che risponde: “Che gioia posso avere? Sono un uomo cieco (…). Anche se vivo dimoro con i morti; sento la voce degli uomini ma non li vedo”, Raffaele replica con annuncio sprigionante conforto: “Fatti coraggio. Dio non tarderà a guarirti. Coraggio”. (Tb 5,10). Il vecchio padre, rassicurato dalle risposte all’interrogatorio con cui si è intrattenuto con il compagno di viaggio del figlio, promette una ricompensa in denaro a colui che gl’insegnerà la strada tenendogli buona compagnia. L’Arcangelo sotto le apparenze di un giudeo appartenente a una famiglia che godeva di ottima fama in tutta la regione, gli lancia questa rassicurante promessa: “Farò il viaggio con Tobia. Non temere ; partiremo sani e sani ritorneremo, perché la strada è sicura”. (Tb 5, 16). In effetti, non c’è cammino più al riparo da vere sciagure che quello battuto da chi in compagnia degli Angeli. Ma forse questa è una certezza che noi, a distanza di tanti e tanti secoli, ancora dobbiamo apprendere. Il racconto, a questo punto, è il felice snodarsi delle iniziative di Raffaele e del suo potere d’aiuto. Da un pesce pescato nel fiume Tigri, l’Arcangelo insegna a Tobia come prendere alcune parti che si rivelano poi medicamentose sia per la cecità di Tobi che per le disavventure di Sara. A proposito di quest’ultima, Raffaele dice senza ambagi a Tobia che gli è riservata in moglie perché, come voleva suo padre appartiene al ceppo familiare della sua gente. E quando il giovane,m informato della morte toccata in sorte ai precedenti mariti, gli espone la sua paura, Raffaele lo rassicura con brevi ammonizioni sul comportamento da tenere perché il demonio sia messo in fuga. Ma più toccante e significativa anche oggi, in ordine a una spiritualità del matrimonio è l’esortazione che Raffaele aggiunge circa la prima notte di matrimonio: “Prima di unirti con Lei, alzatevi tutti e due a pregare. Supplicate il Signore del cielo perché venga su di voi la sua grazia e la sua salvezza. Non temete:; essa ti è stata destinata fin dall’eternità. Sarai tu a salvarla. Ti seguirà e penso che da lei avrai figli che ti seguiranno come fratelli. Non stare in pensiero”. (Tb 6, 18). C’è, il filigrana, un preannuncio di quella che sarà la visione cristiana delle nozze: i coniugi si salvano reciprocamente nel senso che ognuno aiuta l’altro a camminare da “figli della luce” in Cristo Signore. L’uno è all’altro dono di Dio fin dall’eternità. Ma il dono dell’amore reciproco si svela come tale solo alla luce della preghiera. Infatti, senza un forte e continuo rapporto col Signore, l’amore reciproco è fragile e la coppia presto si frantuma. Da unità – comunione, i coniugi diventano isole – disperazione, in balia di quell’Asmodeo che trasforma il lecito piacere del sesso in lussuria e incomunicabilità. Quando, dopo le nozze, Raffaele ha riaccompagnato gli sposi a Ninive e ha guarito Tobi dalla cecità, il giovane Tobia ne sintetizza l’epopea così: “Egli mi ha condotto sano e salvo, mi ha guarito la moglie, è andato a prendere per me il denaro e infine ha guarito te”. E pone al padre un interrogativo: “Quanto posso ancora dargli coma salario?”. Tobi decreta che solo la metà di tutti i beni che Tobia ha portato può essere espressione adeguata di gratitudine. Ma, ecco, l’Arcangelo a questo punto si rivela. E il suo discorso è tale perla nell’ordito pur prezioso del racconto che bisogna citarlo quasi per intero: “Benedite Dio e proclamate davanti a tutti i viventi il bene che vi ha fatto, perché sia benedetto e celebrato il suo nome. Fate conoscere a tutti gli uomini le opere di Dio, com’è giusto, e non cessate di ringraziarlo (…). Buona cosa è la preghiera con il digiuno e l’elemosina. Meglio il poco con giustizia che la ricchezza con ingiustizia. Meglio è praticare l’elemosina che mettere da parte oro. L’elemosina salva dalla morte e salva da ogni peccato. Io vi voglio manifestare tutta la verità, senza nulla nascondervi (…). Sappiate dunque che, quando ti e Sara eravate in preghiera, io presentavo l’attestato delle vostre preghiere davanti alla gloria del Signore. Così anche quando tu seppellivi i morti. Quando poi tu non hai esitato ad abbandonare il tuo pranzo e sei andato a curare la sepoltura di quel morto, allora io sono stato inviato per provare la tua fede, ma Dio mi ha inviato nel medesimo tempo per guarire te e Sara tua nuora. Io sono Raffaele, uno dei sette Angeli che sono sempre pronti ad entrare alla presenza della maestà del Signore” (Tb 12, 6-16) a questo punto, il testo mette a fuoco lo spavento di Tobi e di suo figlio: una reazione ricorrente quando l’uomo diventa consapevole d’essere entrato in contatto con persone d’un mondo trascendente. ,a preziose sono le ultime parole di commiato: “ Non temete; la pace sia con voi. Io non stavo con voi per mia iniziativa, ma per la volontà di Dio: lui dovete benedire sempre, a lui cantare inni”. E aggiunge una precisazione circa il suo modo d’essere: “A voi sembrava di vedermi mangiare: ciò che vedevate era solo apparenza. Ora benedite il Signore sulla terra e rendete gloria a Dio. Io ritorno a colui che mi ha mandato. Scrivete tutte queste cose che vi sono accadute” (Tb 12, 17-19). Da quanto il racconto ha messo in luce intorno all’Arcangelo. Emergono nitide alcune idee sull’identità degli Angeli, sul loro essere messaggeri di Dio presso gli uomini. Anzitutto, è evidente che essi sono per la lode e il ringraziamento a Dio e coinvolgono noi, loro fratelli di un regno inferiore a quello puramente spirituale, perché facciamo altrettanto. Essi, poi, sono ispiratori di quelle azioni giuste e buone che aiutano l’uomo a realizzarsi secondo il progetto di Dio: quel progetto per cui” a sua immagine e somiglianza” è stato prima del peccato originale, e a sua immagine e somiglianza può ricostruirsi se vive la “legge sovrana della libertà” (Gc 1,25): quella dell’amore, fuori da avidità e ingiustizia. Quanto alla preghiera, è importante sapere il ruolo dell’Arcangelo che la presenta a Dio per Tobi e Sara. Non a caso, san Tommaso insegna che gli Angeli aiutano gli uomini nella contemplazione , manifestando loro le verità divine, fortificando la loro mente e difendendoli da vane o dannose immaginazioni (Cf. Summa Theolgica, I, q. 111, a. 4; I-II, q. 9, a.6; II-II, q. 172, a. 2) a provare la fede dell’uomo è mandato l’Angelo , ma mentre Dio permette che il demonio ci tenti, l’intervento dell’Angelo è decisamente benefico, a mo’ di guarigione di quanto in noi è fragile, debole, incline al male. Il saluto, poi, dell’Arcangelo, il suo discreto stimolare al bene è in ordine a serenità e pace. Forse non è inutile osservare che: “Non temete: la pace sia con voi” è augurio tipicamente evangelico. E quando con la Risurrezione si è compiuta l’opera redentiva di Gesù, egli con queste parole invade di luce gli ambienti in cui appare. D’altra parte, com’è stato detto, Gesù è per eccellenza l’Angelo del padre, il suo inviato veramente capace di salvezza. Gli ultimi insegnamenti di Raffaele che ancora c’illuminano sulla realtà angelica riguardano si, la natura incorporea degli Angeli; ma soprattutto il loro essere presso di noi non per iniziativa personale, ma perché tale è la volontà di Dio a loro e a nostro riguardo. Un’ultima osservazione, in margine al poemetto di Raffaele. Il giovane Tobia che s’avventura in lungo viaggio per far contento il vecchio padre, ha per compagno di viaggio un Angelo e il cagnolino di casa. “!Il giovane partì insieme con l’Angelo e anche il cane li seguì ne s’avviò con loro”. (Tb 6, 1). Un particolare che ci aiuta a leggere in dimensione cosmica non solo il racconto ma l’esistenza umana. Immersi in un mondo stupendo ma “sottomesso alla caducità”, noi viaggiamo alla volta di Casa. Abbiamo gli Angeli per scorta e non li vediamo. Ci sono gli animali con noi e li vediamo. Su di loro a volte esercitiamo un predominio sprezzante, violento e ingrato, a volte li usiamo come cose: a mo’ di gingilli – sfogo di egoistico piacere. Invece, il vero modo di rapportarsi ad essi è la gioia, la gratuità, la lode di Dio. E lo sguardo compiaciuto su di loro, dono di Dio a nostro servizio, perché non dovrebbe farci rimbalzare con facilità ad altri personaggi – dopo dello stesso Creatore, ma tanto più grandi e amici dell’uomo? In fondo, è un esercizio del cuore: tramite quello che vediamo, abituarlo e contemplare tutta la realtà, anche quella invisibile agli occhi”.

Don Marcello Stanzione (Ha scritto e pubblicato clicca qui)