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26 maggio 2012: Conferenza di don Stanzione al "Convegno sulla paura", ad Agropoli(SA) PDF Stampa E-mail

26 maggio 2012: Conferenza di don Stanzione al "Convegno sulla paura", ad  Agropoli(SA)Sabato 26 maggio 2012 don Marcello Stanzione dopo aver partecipato come ospite del questore alla celebrazione per il 160 anniversario della fondazione della Polizia che si terrà  presso il Chiostro del Duomo di Salerno con inizio alle ore 10,00 si recherò ad Agropoli (Sa) presso il Palazzo civico delle Arti in via Carlo Pisacane dove dopo il saluto del Sindaco in occasione del primo convegno nazionale sulla paura organizzato dal Comune di Agropoli e dall’associazione culturale “ Gli Occhi di Argo” terrà una conferenza su “ La paura del 21 dicembre 1012”, durante la quale sarà presentato pure il suo libro “ Apocalisse e fine del mondo?” edito dalla prestigiosa casa editrice Gribaudi di Milano. Stavolta non sono i Testimoni di Geova, noti per il loro approccio grossolano e fondamentalista al teso biblico ad annunciare come imminente la fine del mondo, ma quelli della New Age. La musica però è un po’ sempre la stessa: terremoti, inondazioni, pestilenze, guerre, cataclismi celesti e via ... 

... dicendo, per giungere finalmente alla felice instaurazione di un ordine nuovo creato direttamente da Dio. E’ bastato un film, il kolossal americano dal titolo “2012”, per risvegliare nel cervello di molti l’ansia spasmodica della fine del mondo. La fonte stavolta non è la Bibbia ma il calendario degli antichi Maya e una data precisa: il 21 dicembre 2012.

In questo giorno, per la prima volta dopo 26 mila anni, il sole si troverebbe allineato con la Via Lattea e questo dovrebbe scatenare…l’apocalisse. Naturalmente, commentando queste cose i termini “apocalisse” e “apocalittico” sono i più ricorrenti: quale libro, infatti, si dice, è il più accreditato a fornire preziose e sicure informazioni sulla fine del mondo se non l’Apocalisse? Ma chi ragiona così… non ragiona affatto: l’ultimo libro della Bibbia, l’Apocalisse di san Giovanni appunto, non è il libro della fine del mondo, ma piuttosto il libro…del fine del mondo! Non è da leggersi come un  oroscopo che svela il futuro, ma come una riflessione sul presente alla luce della fede e della speranza cristiana.

Scrive il celebre biblista il cardinale Gianfranco Ravasi in proposito: “Si apre una porta del cielo e Giovanni è invitato a oltrepassarla. Gli vengono mostrate “le cose che devono accadere”. Non già un’anticipazione degli eventi, ma piuttosto la visione del senso che li guida e collega in unità. L’Apocalisse non appaga il desiderio curioso di sapere il futuro, né intende rivelare ciò che Gesù ha tenuto nascosto, cioè la fine del mondo. Offre piuttosto dei criteri di valutazione e discernimento della storia. Non è la cronaca che affascina il veggente di Patmos, ma una lettura sapienziale degli eventi alla luce della morte e risurrezione di Gesù Cristo. Giovanni scrive per incoraggiare e sostenere le comunità ecclesiali del primo secolo e non lo fa in astratto, ma a partire dalla loro concreta e sofferta situazione”.

La curiosità morbosa sulla fine del mondo è una strana aspirazione, in qualche modo innata, ancestrale, che periodicamente si presenta. Possono variare le motivazioni scatenanti questo desiderio, i contenuti particolari, le narrazioni e le cosiddette profezie, ma la dinamica di fondo rimane sostanzialmente la stessa: si sogna e si attende, dopo una terribile ma salutare e purificatrice catastrofe (quindi, alla fine, da… desiderare), una prodigiosa trasformazione, una mirabile palingenesi che ricrei l’universo e lo liberi per sempre da tutti i suoi mali.

Questa proiezione irrazionale verso un futuro paradisiaco nasce massimamente dalla percezione dolorosa del fallimento del presente, dal disgusto della propria esperienza di vita, dalla incapacità a decifrare e ad affrontare con realismo, intelligenza e coraggio la quotidianità dell’esistenza. L’insopprimibile aspirazione dell’uomo alla felicità, quando deve fare i conti con un  mondo come il nostro segnato dalla caduta delle grandi ideologie, dalla cosiddetta crisi della modernità, dall’insicurezza, trova una facile scorciatoia nella fuga verso un futuro utopico.

Quanto più difficoltoso e complesso appare il quotidiano, tanto più forte diventa il desiderio di una rinascita utopica, fascinosa e soprattutto gratuita, che scenda miracolosamente dal cielo senza il nostro contributo. Anche i cristiani, in quanto inseriti nel mondo, non sono per nulla esenti da questa aria culturale che si respira un po’ ovunque. Tanto più che nel panorama simbolico della fede vi sono immagini e messaggi che, se non sono adeguatamente compresi nel loro significato biblico ed ecclesiale, possono essere facilmente travisati in chiave utopica, irrazionale e superstiziosa.

L’attuale impressionante proliferare delle apparizioni mariane, dei messaggi “apocalittici”, dei segreti dei prodigi, che riflettono in sostanza uno struggente desiderio di cambiamento e di felicità, sono eloquenti segnali di una religiosità che rischia di diventare fuga da una realtà diventata sempre più complessa e insopportabile. Meglio allora rifugiarsi nell’illusione , meglio sognare e fantasticare, che confrontarsi coraggiosamente con la quotidianità della vita. Basti ricordare al riguardo la diffusissima e ambigua letteratura, fiorita in campo cattolico e benevolmente tollerata e persino raccomandata dai pastori, attorno al famoso “terzo segreto di Fatima” prima della sua “rivelazione”. E’ stata provvidenziale tutta l’acutezza e la ponderatezza teologica, certamente poco incline all’emotività, dell’allora cardinale Joseph Ratzinger per interpretare questa “rivelazione privata” alla luce dell’unica e insostituibile “Rivelazione pubblica”, e per porre fine (speriamo!) a mille speculazioni fantasiose che poco o niente avevano a che fare con il Vangelo.

Nel “Commento teologico al Messaggio di Fatima”, il futuro Benedetto XVI, allora Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, sicuramente non a caso, citava una sferzante ammonizione di san Giovanni della Croce, contenuta nella celebre opera “Salita al Monte Carmelo”, e riportata anche nel Catechismo della Chiesa cattolica: “Dal momento in cui ci ha donato il suo Figlio, che è la sua unica e definitiva Parola, (Dio) ci ha detto tutto in una sola volta in questa sola Parola… Infatti, quello che un giorno diceva parzialmente ai profeti, l’ha detto tutto nel suo Figlio, donandoci questo tutto che è il suo Figlio. Perciò chi volesse ancora interrogare il Signore e chiedergli visioni o rivelazioni, non solo commetterebbe una stoltezza, ma offenderebbe Dio, perché non fissa il suo sguardo unicamente in Cristo e va cercando cose diverse e novità”.

Alfonso Maraffa

 
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