UN ESORCISTA VALDOSTANO: DON ALFONSO COMMOD NEL QUARANTESIMO DELLA MORTE |
Don Alfonso Commod è nato il 19 gennaio 1902 a Carema, ma è originario di Ayas e venne ordinato sacerdote il 15 agosto 1924. E’ morto nel 1974. La maggior parte della sua vita la passò nei Seminari Diocesani in qualità di professore, di prefetto degli studi, di direttore spirituale e di vicedirettore. Fu per parecchi anni assistente di A. C.: della Gioventù Femminile del 1930 al 1952 e delle Donne dal 1942 al 1947. Fu anche delegato vescovile per l’A. C. dal 1943 al 1951. Fondò nel 1950 il nostro settimanale diocesano di cui fu il direttore fino al 1951. Cappellano beneficiario della cattedrale nel 1929, canonico onorario della Cattedrale nel 1934, divenne membro effettivo del Capitolo nel 1939. Dal 1957 era direttore del Priorato di St- Pierre che ingrandì notevolmente rendendolo atto a diventare una Casa per Esercizi Spirituali. E proprio in questa casa così cara il 14 gennaio 1974 Don Alfonso Commod termina serenamente la sua giornata terrena. ...
...Mons. Lari nell’omelia parlando del canonico Commod ha affermato che egli poteva essere definito u prete – prete. Ben poco sappiamo della sua vita interiore poiché questo e un segreto conosciuto solo dal buon Dio, tuttavia la straordinaria fecondità spirituale della sua vita sacerdotale ci lascia capire quanto abbondante doveva essere la fonte di preghiera e di mortificazione alla quale attingeva. Alla preghiera unì il lavoro e la mortificazione. Ebbe dalla natura un fisico molto forte ed egli ne approfittò imponendosi un regime tanto duro che non si può non chiamare eroico. Quante cose, quante camminate a piedi egli fece negli anni della sua gioventù, quanto in Valle mancavano strade e mezzi di comunicazione, passando di parrocchia in parrocchia, per incontrarsi con i gruppi dell’Azione Cattolica e per aiutare i parroci nel ministero! E quante furono le ore passate in confessionale, il ministero più duro, più crocifiggente, più delicato per un sacerdote. Uomo di preghiera, di mortificazione e di lavoro intenso, fu nello stesso tempo un sacerdote povero e personalmente distaccato dal denaro. Per una fortunata coincidenza egli era, oltre che un uomo di Dio, anche un abile amministratore. E poi quanto denaro, quanti regali giungevano a lui da parte di persone che a lui erano legate dall’affetto, dall’ammirazione e dalla devozione filiale. Tutti possono testimoniare che, se ha dovuto occuparsi di cose materiali, lo ha fatto unicamente per il bene della comunità diocesana e che nulla di quanto è passato nelle sue mani è rimasto nel suo patrimonio personale. Ma ci sembra di poter affermare che la virtù che maggiormente lasciava intravvedere la ricchezza della sua spirituale fu l’umiltà. L’amore per il silenzio e per il lavoro nascosto, il saper lasciare volentieri agli altri il primo posto erano tratti della sua personalità che colpivano coloro che non si accontentavano di guardarlo superficialmente. In diocesi non occupò, quasi mai, incarichi di primo piano anche se ebbe sempre altissimo prestigio. Egli amava soprattutto fare avanzare gli altri tanto che la sua vita poteva essere paragonata all’acqua sotterranea che, pur rimanendo nascosta, feconda e fa crescere le piante. La maggior parte della sua vita il canonico Commod la passò nei Seminari Diocesani ove possiamo dire che, ad accezione di quello di rettore, ricoprì tutti gli incarichi. Fu prefetto di disciplina, professore nel ginnasio, in liceo ed in teologia, prefetto degli studi, padre spirituale ed amministratore della Villa estiva del Seminario a Valtournanche. La sua vita era talmente legata al Seminario che da molti, sacerdoti e laici, egli era chiamato , più che il canonico Commod, il professor Commod o semplicemente, negli ambienti a lui più familiari, il professore. Metodico, preparatissimo, fedele fino allo scrupolo egli era soprattutto il modello vivente della vita sacerdotale per i suoi alunni. Quel volto, nobile ed ascetico, che esternava tanta durezza di vita, poteva dapprima spaventare; quel tono di voce, melanconico e monotono, poteva fra sorridere, di nascosto, i suoi allievi; ma quel cuore sacerdotale, che ben presto si manifestava, non poteva non colpire e lasciare tracce profonde nei suoi alunni. La vita del canonico Commod, dopo che al Seminario ,era legata all’Azione Cattolica. Fu infatti assistente diocesano della Gioventù Femminile dal 1930 al 1952, assistente diocesano delle Donne di Azione Cattolica dal 1942 al 1947 e delegato vescovile, sempre per l’A. C., dal 1943 al 1951. Dell’A. C. in diocesi di Aosta il canonico Commod fu l’ispiratore, l’animatore, il sostenitore ed il cuore, soprattutto, attraverso l’opera di formazione spirituale. Rispettoso dell’azione e dell’autonomia dei laici, nell’A. C., fu e rimase, anche dopo di aver lasciato ogni incarico ufficiale, il direttore spirituale. Per questa opera di formazione, così preziosa ed oggi forse un po’ troppo dimenticata, egli girò di parrocchia in parrocchia per poter avere un contatto personale, per poter sentire tutti e poter incoraggiare, correggere, quando lo riteneva opportuno, e soprattutto per poter più efficacemente spronare all’azione. Quest’opera di formazione egli, tornato a casa, continuava attraverso la corrispondenza. Queste lettere deve avere scritto il canonico Commod durante la sua vita! Gli anni che passò come assistente della Gioventù Femminile corrisposero con gli anni con cui Armida barelli era presidente centrale della G. F.; in quella occasione il canonico Commod conobbe gli Istituti Secolari, fondati da Padre Gemelli e dalla barelli stessa per l’apostolato; ne divenne un ardente apostolo e ne fu attivo e zelante assistente fino all’anno scorso. Sempre per poter aiutare nel mondo più efficace possibile le anime più generose ad unirsi tra di loro e ad impegnarsi totalmente nel bene costituì un sodalizio diocesano tutt’ora vivente ed operante. Quanti laici, oggi attivamente impegnati, debbono la ricchezza della loro vita interiore e lo slancio missionario del loro lavoro di apostolato all’opera santa ed infaticabile del can. Commod. Persone consacrate a Dio nel mondo, ma anche madri e padri di famiglia che hanno imparato dagli esempi e dagli insegnamenti del canonico Commod a percorrere le strade dell’ascetica cristiana per poter spendere la propria vita per la salvezza dei fratelli. E’ il canto del cigno del canonico Commod. Chiamato dai superiori ad occuparsi dell’amministrazione di questa casa, destinata a casa di riposo per il clero vecchio o ammalato, egli intuì i segni dei tempi e fece del Priorato una casa per gli Esercizi Spirituali che molte diocesi ci invidiano e alla quale confluiscono, soprattutto d’estate, persone da ogni parte dell’Italia e anche dall’estero. I lavori materiali compiuti dal canonico Commod al Priorato sono innumerevoli: ingrandì la casa aggiungendo un’intera ala alla costruzione preesistente, trasformò completamente il rustico in abitazione civile e costruì una nuova casa per il mezzadro dotandola di una moderna stalla secondo le necessità dei tempi. Per poter far fronte a tutte queste spese dovette fare molti debiti ed ebbe, certamente, molte preoccupazioni; ma operando sagacemente, con l’aiuto di tante persone buone che avevano fiducia in lui, riuscì a pagare tutto; ed ora, morendo, ha lasciato alla comunità diocesana, quasi come suo ricordo, questa casa perfettamente funzionante e senza nessun debito. Ma del Priorato di St – Pierre il canonico Commod prima ancora che l’amministratore, il direttore, ne fu il padre. Un padre materiale, pieno di affetto, di premure e di delicatezze, quasi materne, per i sacerdoti ospiti ed un padre spirituale per tutti coloro ch frequentavano i corsi di Esercizi Spirituali, per i quali si prestava come professore, consigliere amato e ricercato. E soltanto il Signore sa quanta parte della buona riuscita dei corsi di St- Pierre erano dovuti alle preghiere del can. Commod e di tante anime che a lui erano spiritualmente legate. La sua vita l’ha spesa innanzi tutto per i sacerdoti: dapprima nei Seminari diocesani e poi al Priorato di St- Pierre. Per i suoi confratelli sacerdoti fu padre, maestro e modello di vita. Un gruppo di laici così commentava, nei giorni scorsi, la vita del nostro caro defunto . “Se tutti o preti fossero come il can. Commod…”. Ascoltino, i sacerdoti, di oggi e di domani, la voce del popolo, che in questo caso è veramente l’eco della voce di Dio, e sull’esempio del canonico Commod imparino a camminare sulla via sicura della tradizione ecclesiale e dell’ascetica cristiana. Il nostro popolo ha bisogno, oggi come ieri, di maestri sicuri, di predicatori del Vangelo e di preti attaccati al soprannaturale. La fiducia del Sacro Cuore, la devozione alla Madonna ed il fecondare l’apostolato con la preghiera e la mortificazione sono valori perenni e, purtroppo, il fatto di averli trascurati, almeno da parte di alcuni, sta causando un male grande alla Chiesa di Dio. Ai laici il canonico Commod lascia in eredità questa parola: “apostolato”. Il Concilio Vaticano II ci ha ricordato che tutta la Chiesa è missionaria; ma non era questo che aveva sempre insegnato con la parola e con gli scritti quel grande apostolo laicato valdostano che fu il canonico Commod? Quanto egli incoraggiava le anime, soprattutto le più generose, a lavorare, ad impegnarsi e a fare del bene collaborando con il Papa, con il Vescovo e con i sacerdoti! A che cosa semplicemente lamentarsi, gemere, piangere e ripiegarsi su se stessi? Non è forse vero che oggi si discute, si chiacchiera troppo e si prega e si lavora troppo poco? I tempi sono oggettivamente difficili per la nostra comunità diocesana, ma proprio per questo è necessario che tutti quanti, sacerdoti e laici, senza paura delle difficoltà e delle contrarietà, si mettano, sull’esempio del canonico Commod, seriamente al lavoro per fare crescere in profondità ed in estensione il regno del Signore Gesù. Alfonso Commod fu incaricato dalla Chiesa di un ministero, apparentemente inconsueto, in realtà normalissimo se si considera che il cristiano deve combattere non tanto contro “la carne e il sangue” quanto contro più temibili poteri (Ef. 6, 12). Egli fu incaricato della lotta ufficiale della comunità valdostana contro il nemico di Dio, Satana. Gesù Cristo, sconfitto il nemico una volta per tutte, continua nella Chiesa la sua vittoria fino alla fine dei tempi, chiamando ognuno di noi a rivivere personalmente questo mistero di morte e di risurrezione. Agli Apostoli ed ai loro successori ha dato lo speciale potere di affrontare direttamente il Demonio: “Incominciò mandarli a due a due e a dar loro potere sugli spiriti immondi (Mc. 6,7-13). Questi saranno i segni: nel mio Nome scacceranno i demoni (Mc. 16,17)”. Tutti i ministri di Cristo, quindi, sulla sua parola, sono esorcisti e hanno il compito di attualizzare questo servizio di liberazione. Anche i singoli cristiani, dunque, devono partecipare più attivamente e con la stessa arma di Gesù a quel combattimento che viene annunziato – con la profezia della sua fine – fin dalle prime pagine del Genesi (3,15). Gesù infatti è venuto a ridurre Satana all’impotenza (Ebr. 2, 14), a distruggere le sue opere (1° Giov. 3,8), a sostituire il regno con quello del Padre. “Il Figlio, avendo vinto ogni Principato, ogni Potenza e la stessa Morte, rimetterà al padre il suo Regno, perché Dio sia tutto in tutti (1 Cor. 15, 24-28)”. La liberazione degli ossessi prova perciò che Belzebul è giunto alla fine del suo dominio. A confronto di tutti noi, il Salvatore sottomette alla tentazione (Lc. 4, 1-13), rifiutando quel dominio terreno che il demonio gli offre. Egli otterrà ugualmente questo dominio, ma solo cacciando il “Principe di questo mondo” (Giov. 12, 13), principio di insubordinazione e di superbia, con l’obbedienza, al padre fino alla morte e alla morte di croce. Facendosi dolce ed umile di cuore come il Maestro, ogni cristiano distruggerà in sé e attorno a sé l’insidiosa tendenza a farsi dio. Solo così diventerà veramente partecipe della natura divina e libero dalle forze negative del mondo. “Secondo il N. T., - precisa lo Schlier – colui che è stato strappato nel Battesimo alle Potenze, è chiamato, nel Nome di Gesù Cristo che le ha vinte, a resistere nella fede, nell’obbedienza, nelle buone opere, nella preghiera, nella sobria vigilanza e nel discernimento carismatico degli spiriti”. In questi tempi nei quali – come ebbe occasione di ricordare don Commod in una delle omelie del 1972 – “tolta la Madre dalla Casa, i demoni trovandola a soqquadro ne ha preso possesso”, l’appello alla vigilanza è particolarmente importante e va seguito. Se Satana è già un vinto, “con i giorni contati” (Apoc. 12,13), proprio per questo la sua lotta si fa sempre più farraginosa e più aspra, man mano che si avvicina il momento del tempo riempie ora, l’aria e il cuore degli uomini. Con il servizio dell’esorcistato tutti gli Apostoli continuano il mandato di scacciare i demoni. Ad autorizzare tuttavia l’esercizio pubblico e solenne di tale ministero deve essere il vescovo che sovente viene a riconoscere e a confermare i personali carismi di cui l’esorcista deve essere fondato. Si richiedono infatti particolari virtù quali purezza, fortezza d’animo e vita cristiana integra, inattaccabile dall’avversario. Che il canonico Commod le possedesse alla pari di altri sacerdoti valdostani non v’è dubbio. Si racconta che un uomo, posseduto dal Demonio, snocciolasse i peccati di quanti gli si paravano davanti, preti compresi, con gran sollazzo della piccola intervenuta. Arrivato il canonico Commod l’indemoniato, “non avendo nulla da dire, rimase muto”. Riguardo alla sua indubbia forza spirituale, essa trovava un fondamento non solo nella fede e nella pace interiore, ma anche nel suo realismo, che lo portava ad un’esatta e spassionata valutazione delle cose. In questo caso il potere dell’avversario era accuratamente valutato. Il demonio, quando è troppo relegato nell’oblio, balza repentinamente dall’ombra sulla preda. Moltiplica invece le proprie possibilità di azione quando è sopravvalutato. Don Commod non era certo uno di quelli che gridano “demonio, demonio!” vedendone dappertutto la sua presenza. Tuttavia egli non minimizzava l’azione del nemico, anzi la riconosceva spesso nell’origine di certe “nuvolaglie”, che offuscano la limpidezza spirituale dell’anima, e di certe irritazioni che rendono difficile la carità fraterna. Già all’età di ventitre anni, assistendo a Lillianes ad un esorcismo fatto dal prevosto Luigi Gorret, analizza realisticamente la situazione,rimanendo insoddisfatto perché “non ci vede chiaro”. Si trattava di una ragazzina, già restituita alla salute fisica dai primi esorcismi – forse dal parroco – ma incapace ancora di nutrirsi, di trattenere i muggiti e le contorsioni che la prendevano in presenza delle cose sacre e dei sacerdoti. “La fillette…wquantu au moral est toujours tordue; pas de priore, pas de signes de croix; elle raidit le bras et elle résiste avec forcer. Quand elle est en présence d’un prete, elle beugle continuellemente ; cependanta, chose, étrange, elle demande elle – meme à etre exorcisée. Pour moi, je n’y vois encore rien de bien clair ». Nei diversi casi di cui dovette occuparsi, don Commod fece il possibile per « vederci chiaro », distinguendo con cume ciò che si doveva a Poteri negativi e ciò ch era semplicemente effetto della malattia, di immoralità o di pratiche magiche. Sembra che il sistema di estrarre dai capaci tasconi del suo pastrano due bottigliette avvolte nel giornale, delle quali una – contrassegnata, ma non distinguibile – era di acqua benedetta, e di porgerlo all’ossesso, fosse suo metodo abituale. Ordinariamente questi scagliava violentemente a terra quella benedetta, riconoscendola subito e non tollerandola. Sui diversi esorcismi individuali operati da don Commod è difficile indagare e su quelli che si conoscono è impossibile riferire: mi limito perciò ad alcuni esorcismi “agresti” e ad un caso che fece scalpore e che è riferito dallo stesso esorcista. A Montjovet, per una abitazione occupata da folletti campagnoli, don Commod dovette esercitare soprattutto la sua proverbiale pazienza ed anche donare generosamente il suo tempo prezioso. Qualche spiritello malvagio, ma di scarsa fantasia, riempiva un casolare, allora assai isolato, di “stranezze e di rumorio assordanti”, per cui il vivervi era diventato impossibile. In più – scherzo classico ma difficilmente spiegabile – al mattino si trovavano le mucche, nella stalla, malamente legate assieme, con notevole scompiglio e pericolo. Come fare? Il parroco di allora ricorda bene il fatto e riferisce: “Il canonico Commod, chiamato ad hoc, passò tutta una notte a pregare ed a esorcizzare…Vi ritornò due o tre volte”. Solo qualche tempo dopo tutto ridivenne normale: certo don Commod non avrà avuto molte ore libere per recuperare il sonno perduto, ma egli sapeva bene che queste cose “si pagano” e generosamente “pagava”. Veniamo ora al famoso esorcismo del 4 febbraio 1947, che suscitò polemiche ed ebbe l’onore della cronaca. Ne “l’indipendente” dell’11 febbraio 1947, in un articolo intitolato “Un demonio ad Aosta”, don Commod, insieme con don G. Brunod, tratta personalmente de “caso V.M.”. Esso aveva suscitato qualche scalpore non solo fra i credenti. I cosiddetti “anticlericali” infatti se la godevano bellamente delle bravate dell’ “indemoniato”, che nessuno sembrava poter domare. Egli ingoiava scatole di cera ed altre cose strane, vinceva leggi fisiche nel suo modo di arrampicarsi su per i muri e di “volare per le scale” e sembrava farsi beffe di tutto e di tutti. Dopo la liberazione dell’ossesso, forse per mettere a tacere la vicenda una volta per tutte si ritiene opportuno di farne una relazione scritta. Chiarificata la dottrina e la prassi cristiana in simili casi, il canonico Commod e don G. Brunod espongono gli indizi che potevano far pensare se non ad una vera possessione diabolica, almeno ad una ossessione. “Nel caso attuale – si legge nell’articolo – gli indizi che raccomandavano di tentare e continuare gli esorcismi in favore dell’ossesso erano i seguenti: 1) Le informazioni fornite dall’ossesso e dai suoi familiari e conoscenti, riguardo a fatti compiuto dal 1938 fino ad oggi; 2) L’esistenza, in casa dell’ossesso, di libri di magia nera e demoniaca, che vennero dati al fuoco, conforme a quanto prescrive il Rituale; 3) Il rinvenimento di alcuni contratti di donazione al demonio o ad una donna demoniaca, 4) La reazione violenta che l’indemoniato oppose fin da principio a tutto ciò che sapesse di sacro e di benedetto, segnatamente all’acqua benedetta, alle reliquie dei Santi, al Crocifisso, alla presenza del Sacerdote…reazione che, per le sue caratteristiche, divenne nel corso degli esorcismi la prova più evidente della presenza del demonio; 5) Durante il mese di gennaio vari uomini degni di fede ebbero poi occasione di assistere in casa dell’ossesso a fatti che non si poterono spiegare senza l’intervento di forze preternaturali. Le continuazione degli esorcismi: se non dimostravano direttamente una possessione, dimostravano gli interventi del demonio. Segue l’esposizione degli esorcismi, ripetuti sette volte, a distanza di alcuni giorni, dai sacerdoti, dei quali – essi notano – M. non poteva vedere il volto, mentre invece li sentiva arrivare a distanza. Egli non rivolse mai loro la parola: indicava soltanto con segni il numero di demoni che, volta per volta, lo tenevano ancor prigioniero. Nei momenti di relativa calma M. finiva per accennare a libri e documenti la cui distruzione diminuiva – a partire dalla terza volta – il numero dei demoni. Il canonico Commod prosegue: “La violenza massima della reazione si ebbe nel terzo giorno degli esorcismi, quando i demoni dichiararono di essere ottocento: fu il loro sforzo supremo. Gli ultimi esorcismi vennero fatti sabato 1 febbraio: i demoni avevano opposto il solito diniego alla domanda sul giorno e sull’ora in cui sarebbero partiti definitivamente”. Quel giorno e quell’ora erano vicini. Come nota un articolo apparso poco dopo sulla “Gazzetta del Popolo”, la liberazione fu un esorcismo operato da Gesù stesso presente nelle specie consacrate. Tale liberazione avvenne durante la Messa, celebrata da don Commod nella chiesetta delle Suore dei don Bosco , all’alba del 4 febbraio 1947. V.M. era accompagnato da alcun i familiari, da due agenti della Questura e da alcuni carabinieri in borghese. Erano presenti una decina di robusti uomini di Azione Cattolica e poche altre persone. L’Indipendente asserisce che i testimoni – riconosciuti tali – erano venti. Alcune Figlie di Maria Ausiliatrice pregavano in disparte. Costretto con fatica a varcare la soglia della chiesa, il M. tentò la fuga in modo così violento (era giovane e robusto) che, divenendo pericoloso, dovette essere immobilizzato. I presenti ricordano ancora le contorsioni, il sudore fumante e abbandonante, le impressionanti contrazioni del volto… “Abbondante schiuma bavosa gli usciva dalla bocca, gli occhi stralunati non avevano più nulla di umano…M. fece anche il gesto di strozzarsi, portando alla gola le mani legate…” Lasciati i testimoni ora espongono i fatti gli stessi esorcisti, da quanto l’ossesso dichiara finalmente ai familiari che i demoni l’avrebbero lasciato durante la consacrazione di una Messa celebrarsi “vicino a lui”: “Alle 4,15 del marte (4 febbraio), l’ossesso portato in chiesa, deposto e legato su un materasso vicino all’altare. Durante la prima parte della Messa egli si agitò come durante gli esorcismi. Dopo la consacrazione dell’Ostia diede alcuni strappi fortissimi, ringhiando come di consueto. Dopo la Consacrazione del Vino, egli si calmò di botto e scoppiò in pianto…”. Slegato V.M. cominciò a pregare: “baciò il Crocifisso e da sé se lo passò su tutta la persona, domandando a Gesù perdono delle sue colpe”. L’articolo de l’Indipendente e sulla figura di V:M: mi sono fermata un momento, non perché questa lotta pubblica contro il Nemico presenti di per sé maggior interesse di altre, ma a motivo della risonanza particolare che essa ebbe a suo tempo, mettendo in luce la figura del canonico Commod esorcista. Il fatto che sia egli stesso relatore rappresenta una fonte sicura ed interessante. Il seguito della vita del protagonista della vicenda lascia piuttosto perplessi. Mons. Blanchet vietò di occuparsene ancora: V. M. infatti non riuscì a liberarsi del tutto da situazioni moralmente difficili e da rapporti con l’oltretomba, non conservando perciò la serenità ritrovata. Ebbe la tragica fine che gli era stata predetta “se si fosse avvicinato alla Fede” (predizione riferita anche dalla “Gazzetta” del ’47).15 Lo scempio a cui fu abbandonato il suo povero corpo il 2 agosto 1975, ci fa sperare che la sua anima sia salvata e che, attraverso tanti travagli, sia giunta all’eterna pace (cfr. Cor. 5,5). Don Commod oppose una forza non comune alle Forze Ostili per nulla intimorito dalla lotta al buio: sua lice indefettibile era la Fede. Egli non esitò ad insegnare, specialmente a persone ben formate che dovevano accostare degli ammalati, una formula di esorcismo bella e facile. “Maledetto Serpente Infernale, per virtù di Maria SS. ma che ti schiacciò la testa, partiti da me e da tutti i miei cari, affinché siamo sempre e solo di Maria Immacolata”. (Sr. E.P.) Don Commod sapeva calmare le piccole agitazioni provenienti dall’ “Altro” – come talvolta chiamava il Demonio – con un semplice : Non si lasci impressionare. Forse avrebbe detto di lui quello che disse un giorno , quando ammalato e recluso nella sua stanza, vide la persona che lo serviva balzare spaventata alla vista di un…ragno, che correva rapidamente nella sua direzione. Lo schiacciò e disse…Si brutto, ma soltanto brutto! Davvero, “soltanto brutto”, quel Nemico già vinto da Cristo, il demonio. Don Marcello Stanzione (Ha scritto e pubblicato clicca qui) |
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