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GLI ANGELI CUOCHI DI S. BENEDETTO IL MORO di Antonio Adinolfi PDF Stampa E-mail
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lunedì 03 aprile 2017
GLI ANGELI CUOCHI DI S. BENEDETTO IL MOROE’ poco nota ma interessante l’assistenza angelica che ebbe un giorno della seconda metà del Cinquecento un singolare frate francescano di un convento di Palermo. Il frate è S. Benedetto da San Fratello detto, per il colore scuro della sua pelle e per i caratteri somatici indiscutibilmente africani, S.Benedetto il moro. Benedetto era proprio un africano. I suoi genitori, probabilmente etiopici, erano stati comprati da un facoltoso uomo siciliano e portati a San Fratello, un paese in provincia di Messina. Non abbiamo capito se sua madre era incinta di lui quando fu comprata insieme a suo padre ed insieme a suo padre portata in Sicilia, oppure lo divenne in Sicilia. Perchè Benedetto di sicuro nacque in Sicilia, nel 1524. Comprare schiavi nel 1524 non era considerata una cosa tanto immorale se due anni dopo l’imperatore Carlo V sentì il bisogno di proibire con un decreto la schiavitù in tutto il suo Impero e se nel 1537 anche papa Paolo III con la bolla << Veritas Ipsa >> sentì il bisogno di scomunicare tutti coloro che avessero ridotto in schiavitù gli indios o li avessero spogliati dei loro beni. ...
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Nonostante questi interventi imperiali e papali il razzismo e la schiavitù saranno difficili da estirpare. Nella Sicilia degl’inizi del Cinquecento dominata dagli spagnoli qualche schiavo lo si comprava senza farsi troppi scrupoli. Di certo tuttavia gli schiavi portati in Sicilia non erano trattati così duramente come lo erano e lo saranno per molto tempo i neri nelle piantagioni americane. Anzi, veniva loro dato un nome cristiano, venivano educati cristianamente e per quanto era possibile in quel secolo, diciamo << rispettati >>.  Benedetto non aveva di certo un nome africano. Fu educato cristianamente dal suo padrone. Diventato giovinetto si entusiasmò a tal punto per la religione cristiana che volle darsi alla vita eremitica. Poi si recò a Palermo e volle entrare nel convento francescano di S.Maria di Gesù. I frati lo accettarono ma probabilmente non gli fu concesso di diventare sacerdote o ancor più probabilmente Benedetto, conoscendo la sua condizione di uomo di colore, neppure lo chiese. Era però proprio un santo giovane. Doni straordinari ebbe da Dio questo frate nero: estasi, scrutazione di cuori, guarigioni, profezie, una prudenza straordinaria. Preziosi consigli anche il Vicerè di Sicilia andò a chiedere a fra Benedetto in varie occasioni. Nella prima metà del Settecento il francescano Padre Ermenegildo da Roma nel suo << Ristretto della vita, virtù e miracoli del B. Benedetto da S.Fratello >> stampato dalla stamperia di Ottavio Puccinelli a Roma nel 1743 narra nelle pagine 54-58 una straordinaria assistenza angelica avuta da fra Benedetto. In quest’anno fra Benedetto era stato beatificato dal papa Benedetto XIV. Padre Ermenegildo ristampò dopo una revisione il suo << Ristretto >> nel 1748 ma non tolse ciò che aveva scritto nel << Ristretto >> del 1743. Lo si trova alle  pag.72-75.  Riportiamo quanto scrisse con qualche nostro leggero aggiustamento:
<< Monsignor don Diego de Haedo ( un dotto prete spagnolo) si portò nel giorno di Natale di uno degli anni che vanno dal 1577 al 1585, periodo in cui fu Inquisitore apostolico nel regno di Sicilia ( sarà poi arcivescovo di Agrigento dal 1585 al 1589 e poi dal 1589 al 1608, anno della sua morte, arcivescovo di Palermo ) al convento di S. Maria di Gesù di Palermo ad assistere agli Uffici divini e alla Messa di quel giorno e con l’idea di rimanersene a desinare con i religiosi e di gustare cibi apparecchiati per mano del devoto fra Benedetto che lì allora esercitava l’ufficio di cuoco. Aveva fatto recare al convento una quantità di vivande non meno per sè che per la comune mensa. Fra Benedetto quella mattina fece la sua Comunione con straordinaria devozione e ricevuto nella sua anima il già nato Divin Bambino si nascose dietro ad un tappeto ( che nella tribuna del’altar maggiore dal muro pendeva ) a fare i suoi soliti devoti ringraziamenti. Ma qui rapito dalle consuete sue dolcezze di spirito si trattenne per molte ore del tutto dimentico della cucina che doveva fare e per i religiosi e per l’Inquisitore. Fu cercato per tutto il convento e dal Vicario ( il superiore dei frati ) e dagli altri frati ma non fu possibile trovarlo. Il Vicario e i frati si vedevano in molta costernazione per la mortificazione che prevedevano dover ricevere presso quel degnissimo prelato ( l’Inquisitore ) mentre, essendo l’ora della terza Messa cantata, non era, in cucina, nemmeno acceso il fuoco. Uscì la Messa solenne alla quale servendo come turiferario fra Gregorio della Licata, allora semplice chierico, ed agitando l’incensiere mentre si doveva cantare il Vangelo, urtò nel tappeto dietro cui stava in orazione fra Benedetto. Comprese egli che dietro c’era qualcuno ed alzato delicatamente il panno vide genuflesso in orazione fra Benedetto. Gli si appressò e gli disse che il Vicario e i frati l’avevano tutta la mattina cercato. Quello lo pregò di starsene quieto e di non dir niente a nessuno mentre rimaneva ad assistere alla restante parte della Messa. Finita questa, fra Benedetto prese una candela accesa e si recò in cucina. I frati erano in bisbiglio, il Vicario in agitazione, tutto il convento in confusione per ragione dell’ospite che quella mattina con la sua presenza li onorava. Va il Vicario alla cucina e trova fra Benedetto che in ginocchio con la candela accesa in mano e con gli occhi quasi immobile faceva orazione raccomandandosi al Signore in quella necessità. Lo sgrida il Vicario e gli rimprovera con parole risentite la vergogna e lo smacco di tutta la comunità presso l’Inquisitore per causa sua, essendo l’ora di andare a mensa e non essendo nulla preparato. Si alzò allora fra Benedetto e con tutta l’immaginabile quiete dell’animo suo disse al Vicario che facesse pure suonare il segnale per la tavola che egli avrebbe mandato le vivande apparecchiate. << Com’è possibile - disse il Vicario - cuocere tanta roba essendo già passata l’ora e dovendo il signor Inquisitore cominciare a desinare ! >>. << Andate - rispose il beato frate - che il Signore non mancherà >>. Ed in quell’istante tutti i religiosi che erano lì presenti e lo stesso Inquisitore videro con i loro propri occhi due giovanetti d’età di sedici anni circa, vestiti di bianco, di graziosissimo aspetto che leggiadramente sbracciati diedero di mano alla roba ed insieme a fra Benedetto si misero ad accomodare e a cuocere quei cibi. Ed esortando fra Benedetto il Vicario che tutti andassero a tavola perchè tutto era in ordine, tutti andarono al refettorio e subito mandò tutta la roba destinata per pranzo e per i religiosi e per l’ Inquisitore a perfezione cotta ed accomodata. Tutti intesero dalla quasi istantanea preparazione e dalla squisitezza straordinaria di quei cibi il gran miracolo fatto dall’Altissimo mandando per aiutanti di cucina al suo servo i suoi Angeli perchè a tutto il mondo fosse noto con quale specialità d’affetto Egli mirava fra Benedetto e di quanta efficacia presso la Sua Maestà fossero le sue preghiere. Di questo fatto oltre ai testimoni oculari che lo hanno deposto nei processi ordinari e nel Processo Apostolico in Palermo sopra le virtù e i miracoli del beato ne rimane a memoria una pittura fatta su un muro a fresco sopra la porta della cucina del Convento di Santa Maria di Gesù a Palermo dove accadde il prodigio, mirandosi ivi dipinto il beato avanti il focolare in atto di porre il fuoco ai cibi con due Angeli che lo aiutano come si ha dal Processo del 1739 di autorità apostolica in Palermo sopra il culto di lui >>. Benedetto il moro morì nel 1589. Fu canonizzato il 24 maggio 1807 da papa Pio VII.
Da chi fu dipinta e in quale anno l’assistenza degli Angeli cuochi a fra Benedetto non l’abbiamo individuato con precisione. Quasi certamente intorno alla metà del Seicento. Nel dipinto si vedono angeli bianchi che aiutano un frate nero. Ancora oggi  Benedetto è festeggiatissimo a Palermo di cui è protettore insieme a S.Rosalia. Il suo corpo incorrotto è nella chiesa di S.Maria di Gesù di Palermo, in un’urna di vetro davanti alla quale i siciliani chiedono ed ottengono continue grazie. Chiedono ed ottengono continue grazie da un frate nero che per santità superò molti frati bianchi ed anche vescovi della sua epoca.

Antonio Adinolfi
Ultimo aggiornamento ( martedì 02 maggio 2017 )
 
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