| LA PREGHIERA IN SAN PIO DA PIETRELCINA Di don Marcello Stanzione |
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| Scritto da Amministratore | |
| venerdì 01 agosto 2025 | |
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Ci renderemo conto che il suo modo di vivere, percepire ed insegnare la vita di preghiera si inserisce nel solco del pensiero della Chiesa dei grandi santi e mistici della storia, e in alcuni casi ne anticipa i tempi. ...
Alcune premesse. La prima è che l’epistolario, pur raccogliendo una notevole quantità di consigli e riflessioni sulla preghiera, non è un trattato sistematico sull’orazione. La seconda è sulla vita stessa del frate del Gargano, che potrebbe essere definita preghiera vivente e continua, frutto di «una relazione viva e personale con il Dio vivo e vero», incarnando quello che dirà il Concilio Vaticano II, dove al n. 41 della Lumen gentium troviamo scritto: «Pregando e offrendo il sacrificio per la loro gente e per l’intero popolo di Dio in nome del loro ufficio, consapevoli di ciò che compiono e imitando ciò che amministrano, senza lascarsi ostacolare dalle preoccupazioni apostoliche, dai pericoli, e dalle tribolazioni, vi sappiano al contrario trovare un mezzo per ascendere a più alta santità; nutrano e animino la loro attività con l’abbondanza della contemplazione, a conforto dell’intera Chiesa di Dio». Leggendo queste indicazioni, sembra scorgere il profilo spirituale di padre Pio, il quale pur nelle prove di molte “tribolazioni” non si è mai scoraggiato, ma vi ha scorto un mezzo “per ascendere a più alta santità”. Era la stessa esperienza di Dio nella preghiera, messa in luce anche da grandi maestri della spiritualità come santa Teresa d’Avila e san Giovanni della Croce, i quali erano convinti dell’estrema importanza di inabissarsi sempre più nel mistero della presenza delle Tre Divine Persone, dimoranti come in un tempio vivo, nell’anima dei giusti. Dunque, nessuna meraviglia del suo continuo richiamo alla dignità dell’essere tempio dello Spirito Santo, quasi loro ripetendo con san Giovanni della Croce: «Giacche lo hai tanto vicino, qui amalo qui desideralo, qui adoralo». Da questa profonda conoscenza e consapevolezza, scaturisce quella della santità infinita dell’ospite divino, e quindi delle tristi conseguenze che porterebbe con se la profanazione rivestita da una sorta di sacrilegio. Così padre Pio scriveva ad una figlia spirituale: «Stiamo vigilanti a non dar luogo al nemico di farsi strada per entrare nel nostro spirito e far contaminare il tempio dello Spirito Santo. Oh! Per carità, non ignoriamo per un solo istante questa verità; teniamo sempre presente che noi per il battesimo divenimmo tempio del Dio vivente, e che ogni qual volta rivolgiamo l’animo al mondo, al demonio ed alla carne, ai quali per il battesimo rinunziamo, noi profaniamo questo sacro tempio». Pertanto non si stancava mai di pregare ed invocare lo Spirito Santo e invitava i suoi figli spirituali a fare altrettanto. Su padre Pio è rimasta famosa l'autodefinizione che diede ad un giornalista: "Sono un povero frate che prega". L’esorcista don Amorth dichiarò: “Lo stavo a contemplare con la corona in mano; la chiamava la sua arma e scrisse al direttore spirituale che ne recitava almeno 5 intere ogni giorno; questo significa in termini di tempo, 5 ore al giorno dedicate al Rosario. Dormiva pochissimo e aveva una capacità di fare più cose contemporaneamente. Meditava i misteri; così soffriva visibilmente i dolori della Passione di Cristo, ma sentiva pure nella sua anima i dolori di Maria, che riteneva la più grande martire, vera Regina dei Martiri. Più avanzava in età e più il Padre sentiva la necessità di aumentare lo spazio da dare alla preghiera. Già alla fine degli anni '40 mi ero accorto che il tempo che dedicava alle confessioni era assai ridotto. Era lontana l'epoca in cui confessava anche 16 ore al giorno. Padre Michelangelo gli osservò un giorno: "Caro padre non potresti confessare un po' più a lungo? Qui ci sono persone che vengono anche da molto lontano, dall'estero, e per potersi confessare da te debbono aspettare lunghi giorni". Ecco la risposta: "Caro padre Michelangelo, credi che la gente venga qui per padre Pio? La gente viene per sentirsi dire una parola del Signore. E se io non prego, che cosa do alla gente?". Il bisogno della preghiera gli veniva anche suggerito dalla consapevolezza di essere indegno; si sentiva un grande peccatore, col rischio continuo, col terrore, di poter commettere un peccato e di poter perdere la fede. Perciò è sempre stato un grande mendicante di preghiere. Mi ero accorto che, se volevo vederlo illuminarsi di gioia, bastava che gli dicessi: "Padre, prego per lei". Ringraziava con effusione; pareva che volesse dire: "Finalmente uno che mi capisce!". Sentiva moltissimo lo stimolo alla preghiera anche perché sentiva la necessità di santificarsi per santificare. Era una preoccupazione che cercava di infondere soprattutto nei sacerdoti. Un novello sacerdote ricordava: “Ricordo bene quando mi confessai da lui, poco dopo la mia ordinazione sacerdotale. Quando gli confidai di essere un prete novello mi disse con forza: "Ricordati che un sacerdote deve essere un propiziatore. Guai se è lui ad aver bisogno di essere propiziato! Ricordatene bene». Da quanto letto si intravede il profondo desiderio e la ricerca di preghiera. Un uomo di preghiera, un uomo fatto preghiera. Era quello che trapelava nel vederlo e nelle sue azioni. È emblematica la frase con cui risponde a padre Michelangelo «E se io non prego, che cosa do alla gente?”. Questa frase, pur nella sua semplicità, mostra il senso profondo dell’idea che il padre aveva della preghiera. Mette in luce, altresì, la sua profonda umiltà, che non lo faceva presumere di niente, ma che aveva bisogno di nutrirsi del Padre celeste per poter essere un buon padre che sa consigliare al meglio i figli che andavano da lui. Un particolare episodio della sua vita è illuminate per capire come egli vivesse la virtù dell’umiltà. Padre Gaetano da Ischia di Castro, cappuccino, racconta ad alcune figlie spirituali del padre che un giorno padre Pio si stava confessando con lui e quando, ad un certo punto, il discorso cadde su Adamo e sul rifiuto di Dio e della comunione con Lui, egli iniziò a piangere in maniera vistosa. Padre Gaetano che inizialmente era rimasto perplesso, cercò di consolarlo dicendogli che quel peccato non lo aveva commesso lui. Padre Pio, sempre tra le lacrime, rispose: «No, ma l’avrei fatto anche io». Padre Pio non solo è convinto di quanto asserisce sant’Agostino che «Non vi è peccato che faccia un uomo che non farebbe anche un altro uomo, se pietosamente non lo ritenesse la mano di Dio», ma si sente parte integrante dell’umanità peccatrice e pertanto ha bisogno di ancorarsi sempre di più a Cristo attraverso l’unione intima della preghiera. Come detto sopra, l’epistolario insieme alla Positio rappresentano le fonti primarie, per capire il pensiero di padre Pio sulla preghiera. A tal motivo cercheremo, attraverso alcuni sui scritti, di far emergere i tratti salienti del suo pensiero. Nella lettera scritta ad una figlia spirituale, Annita, nell’agosto del 1915, si evincono alcune sue idee ricorrenti sulla preghiera. «Dilettissima figliuola […]. Il sapervi sempre rassegnata ai voleri del cielo mi riempie l'anima di gioia superlativa. Ebbene seguitate a maggiormente confidare e sperare nel Signore ed egli saprà, anche in mezzo alle estreme desolazioni spirituali, consolarvi e lenirvi il dolore, ché certe croci parrebbero intollerabili. Non mai temete le insidie di satana, che per quanto possano essere gagliarde, non varranno mai a smuovere un'anima che si tiene attaccata alla croce. Siate vigilante e fortificatevi sempre più coll'orazione e colla bella virtù dell'umiltà: esperimenterete che voi non andrete sommersa nel mare delle tempeste. Abbia la navicella del vostro spirito la forte ancora della fiducia nella divina bontà e tenete presente avanti agli occhi dello spirito che è promessa di Dio che "chi confida in lui non sarà confuso" (Sal 30, 2), ché egli "dà la grazia agli umili ed ai superbi resiste"(Gc 4,6; 1Pt 5,5), che "coloro che vegliano e pregano non entreranno nella tentazione" (Cfr. Mt 26,41; Mc 14,38). Perciò quando vi sentite oppressa dalla tentazione, il mezzo per costringere Iddio a venire in nostro aiuto, si è l'umiltà dello spirito, la contrizione del cuore, la preghiera confidente. […] Il santo re Davide aveva già detto che l'uomo non ha speranza di aiuto in Dio solo, ma che questo aiuto divino è collocato infinitamente in alto, sicché l'uomo per quanto si alzi e distenda la mano, non può giungere ad afferrarlo (Sal 143,7). Ma facciamoci animo, o Annita, diamo uno sguardo al divino Maestro che prega nell'orto (Cfr. Mt 26,36ss), e scopriremo la vera scala che unisce la terra al cielo; noi vi scorgeremo che l'umiltà, la contrizione, la preghiera fanno scomparire questa distanza che passa tra l'uomo e Dio, e fanno sì che Dio discende insino all'uomo e che l'uomo s'innalzi insino a Dio, sicché si finisce coll'intendersi, coll'amarsi, col possedersi. E questo gran segreto insegnatoci da Gesù colle parole e col fatto, io v'invito nel dolcissimo Gesù a praticarlo sempre, tenendo per fermo che dove nelle lotte dell'uomo coll'uomo chi paventa innanzi al suo nemico, chi è ferito, chi è stramazzato a terra, chi versa il sangue, si ha come vinto, come perduto; nelle lotte, invece, dell'uomo con Dio avviene tutto il rovescio. […] Ci siamo intesi? Non temete però di nulla; vivete tranquilla e pregate il Signore che illumini voi e chi ha cura della vostra direzione. Non isdegnate poi di sempre e con maggior fiducia ed assiduità raccomandarmi a Gesù, del cui aiuto ne vado sentendo sempre più bisogno. La stessa carità mi attendo sempre dalla Francesca, ed intanto salutandovi nel Signore, mi dico il vostro servo». Padre Pio riprende lo stesso argomento scrivendo ad un’altra figlia spirituale e sviluppa meglio il suo pensiero, soprattutto commentando il passo biblico di Giacobbe con l’angelo del Signore e la preghiera di Gesù nell’orto degli Ulivi. La lettera scritta alla sua figlia spirituale Raffaelina a distanza di un mese circa dalla precedente, a motivo della sua lunghezza sarà riportata solo nelle parti che meglio ci fanno cogliere il pensiero e la sua pedagogia nell’educazione alla preghiera. «Figliuola dilettissima di Gesù, la grazia del divino Spirito sia sempre con voi e vi consoli in ogni vostra tribolazione […]. Non temete mai le insidie del nemico, che per quanto possano essere gagliarde, non varranno giammai a travolgervi nelle sue reti, se resterete fedele al Signore e sarete vigilante, fortificandovi coll'orazione e colla santa umiltà. […] Per quanto grande sia la prova, a cui il Signore vi sottoporrà, per quanto insostenibile sia la desolazione dello spirito in certi momenti della vita, non vi perdete mai di coraggio. Ricorrete con più filiale abbandono a Gesù, il quale non potrà resistere a non farvi sentire una gocciola di refrigerio e di conforto. Ricorrete a lui sempre, anche quando il demonio per funestarvi i giorni di vostra vita vi rappresenterà i vostri peccati. A lui si innalzi forte la vostra voce e sia quella dell'umiltà dello spirito, della contrizione del cuore, della preghiera della lingua. A queste dimostrazioni, o Raffaelina, è impossibile che Dio non faccia buon viso, che non ceda, che non si arrenda. La potenza di Dio, è vero, di tutto trionfa; ma l'umile e dolente preghiera trionfa di Dio medesimo; ne arresta il braccio, ne spegne il fulmine, lo disarma, lo vince, lo placa e se lo rende quasi dipendente ed amico. […] Ed intanto vi esorto di meco unirvi e di avvicinarvi meco a Gesù per riceverne il di lui amplesso, un bacio che ci santifichi e che ci salvi. Ascoltiamo a tal'uopo il santo re Davidde, che c'invita a baciare divotamente il Figliuolo: "Osculamini filium" (2Sam 18,5); poiché questo figliuolo di cui parla qui il real profeta non è altro che quello di cui ha detto il profeta Isaia: "Un fanciullo è nato per noi, un figliuolo è stato donato a noi: Puer natus est nobis, filius datus est nobis"(Is 9,6). Questo fanciullo, o Raffaelina, è quell'amoroso fratello, quello sposo amantissimo delle nostre anime, di cui la sacra sposa dei Cantici, in figura dell'anima fedele, cercava la compagnia, e ne sospirava i baci divini: "Quis mihi det te fratrem meum, et inveniam te et deosculer te! Osculetur me osculo oris!". Questo figliuolo è Gesù; e la maniera di baciarlo senza tradirlo, di stringerlo fra le nostre braccia senza imprigionarlo; la maniera di dargli il bacio e l'amplesso di grazia e di amore, che egli aspetta da noi, e che ci promette di rendere, si è, dice san Bernardo, il servirlo con vero affetto, di compiere colle sante opere le sue celesti dottrine che professiamo colle parole. Non cessiamo perciò di così baciare questo Figliuolo divino, poiché se tali saranno i baci che ora gli daremo, verrà egli stesso, come lo ha promesso, colmo di misericordia e di amore; verrà a prenderci nelle sue braccia, a darci il bacio di pace negli ultimi sacramenti in punto di morte: e così finiremo nel bacio santo del Ct 1,1; 8,1: “Oh! fossi tu un mio fratello! Allora, incontrandoti fuori, ti potrei baciare! Mi baci egli col bacio della sua bocca!” bacio ammirabile della degnazione divina, onde non si avvicina, al dire di san Bernardo volto a volto, bocca a bocca, ma il creatore colla creatura, l'uomo con Dio reciprocamente si uniscono per l'intiera eternità. […] Accostiamoci a ricevere il pane degli angeli con una gran fede e con una gran fiamma di amore ed attendiamoci pure da questo dolcissimo amante dell'anime nostre di essere consolati in questa vita col bacio della sua bocca. Felici noi, o Raffaelina, se arriveremo a ricevere dal Signore della nostra vita di essere consolati di questo bacio! Allora si che sentiremo essere la nostra volontà sempre legata indivisibilmente con quella di Gesù, e niuna cosa al mondo ci potrà impedire di avere un volere che non sia quello del divin maestro. Allora solo possiamo dire, o mio Dio e mia gloria: Si, o amante divino, o Signore della nostra vita, "le vostre mammelle sono migliori del vino, e spirano l'odore dei più squisiti profumi". […] Ringraziamo vivamente Gesù per avermi dato tanta fortuna da aver potuto scrivervi un po' a lungo. Avrei voluto ancora continuare, ma le forze non mi reggono più». La lettera è ricca di elementi da cui poter far partire una riflessione per ulteriori approfondimenti. Certamente il nucleo centrale sembra essere l’abbandono totale in Dio, soprattutto nei momenti più difficili della vita, sperimentando «bacio» di Gesù. Se in una sola lettera Padre Pio usa per ben 15 volte la parola bacio, riferito al Signore Gesù, vuole dire che non solo lui viveva questa dimensione mistica, ma desiderava comunicarla anche ai propri figli spirituali. Diceva difatti nella lettera: «Non vogliate, per carità, astenervi dal chiedere a Gesù questo bacio fortunato per un sentimento di una falsa umiltà, che in realtà sarebbe finissima superbia». Ricevere questo bacio è radice non solo di profonda intimità, ma è la possibilità di percepire le gioie e la beatitudine che viene da questo contatto con il Signore ed è proprio questo contatto che permette di tendere sempre di più alle realtà celesti distaccandosi da quelle terrestri. Dalla lettura delle altre lettere dell’epistolario ci si rende sempre più conto che non c’è una sola lettera che non parli di preghiera vissuta o di consigli e di raccomandazioni. |
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