Caso Galileo, il vero scontro è sul rapporto ragione - fede |
Perché parlare ancora del caso Galileo? La stessa domanda se l’è fatta lo storico Marco Beretta, nel 2004, pubblicando un documentato articolo sulla rivista Galilaeana. Un articolo reso possibile dall’apertura (nel 2003) di una nuova sezione dell’Archivio Segreto Vaticano. Ma è un discorso attuale: se ne è parlato in occasione della mancata visita del Papa alla Sapienza, e proprio parlando di questo evento, il professor Giuseppe Giarrizzo sul nostro giornale ha ricordato lo studio su Galileo dello storico Paschini emendato dal Sant’Uffizio, la "purificazione della memoria" della Chiesa e il caso Rosmini, scrivendo che «la censura rimane un tratto strutturale della politica interna della Chiesa cattolica». Ma è davvero così? Niente affatto, sostiene, documenti alla mano, il professor Matteo Luigi Napolitano, Delegato internazionale del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, docente di storia delle relazioni internazionali ... ... presso l’università del Molise. «E’ importante - spiega - capire le circostanze del processo. C’è prima di tutto la questione del doppio imprimatur al manoscritto al Dialogo dei massimi sistemi: imprimatur che era arrivato sia dal Vaticano che dal vescovo di Firenze, e che non sarebbe mai stato dato se si fosse saputo che Galileo avrebbe modificato il manoscritto e dunque anche il taglio dell’opera a stampa. Il Papa Urbano VIII legge l’opera in bozze; non sconsiglia a Galileo di eliminare il problema dell’eliocentrismo, ma di considerarlo un’ipotesi. Galileo, invece, rafforza l’ipotesi, e utilizza alcune raccomandazioni del Papa per sostenere la teoria eliocentrica. Da qui l’imbarazzo della Sede Apostolica per il doppio imprimatur». C’è da considerare che quello di Galileo è un processo particolare: lo scienziato sa da subito quali sono le mosse dell’Inquisizione e nello stesso processo, argomentando la sua difesa, prende le distanze dalla teoria eliocentrica. «Argomenta bene - spiega Napolitano - perché non è il solito processo inquisitoriale: Galileo ha un trattamento speciale, sa dell’andamento del processo, e anche la sentenza e l’abiura vengono rese pubbliche solo perché c’era l’imbarazzo del doppio imprimatur». Se è stato un processo da non Inquisizione, perché Giovanni Paolo II disse che Galileo "certamente ebbe molto a soffrire"? «C’è un discorso a monte da fare: nel 1964 l’Osservatore Romano dedica un’intera pagina al quattrocentesimo anniversario della nascita di Galileo. È un messaggio. Subito dopo il Sant’Uffizio dà il placet per la stampa dell’opera di Paschini. L’opera esce vent’anni dopo per esito di una riflessione importante del Concilio Vaticano II, proprio sulla condanna di Galileo. Si formano due fazioni: una più avanzata per cui è necessario ammettere certe attitudini della Chiesa nei confronti del progresso delle scienze; una più tradizionalista, che nutre timore che si creino fraintendimenti. Il compromesso che si raggiunge è contenuto al paragrafo 36 della Gaudium et Spes, che deplora ’certi atteggiamenti mentali, che talvolta non mancano nemmeno tra cristiani, derivati dal non avere sufficientemente percepito la legittima autonomia della scienza, e che, suscitando contese e controversie, trascinarono molti spiriti a tal punto da ritenere che scienza e fede si oppongano tra loro’, ma che non cita Galileo». C’è la questione delle "censure" del Sant’Uffizio. «Le modifiche - spiega Napolitano - sono un centinaio, a fronte di un’opera di due volumi. Una delle modifiche principali è questa: Paschini difendeva Galileo nel dibattito scientifico sui massimi sistemi, e accusava aristotelici e teologi di essersi scagliati a torto contro lo scienziato. Lamalle, il gesuita chiamato a rivedere il testo, dà ragione a Galileo, e non ai suoi avversari. Ma, aggiunge che costoro non erano degli sprovveduti: erano ben informati e avevano delle buone ragioni per difendere la scolastica. In fondo, Galileo non aveva presentato delle prove a sostegno dell’eliocentrismo. Con tutto ciò, pur con le modifiche, resta il fatto che lo studio di Paschini è ancora un punto di riferimento storiografico». Se questi sono i fatti, perché il dibattito si tiene su toni molto accesi? «Penso che si corra sempre il rischio di far dire a un testo quello che si vuole. Si parte dal presupposto di leggere la storia passata con gli occhi del ventunesimo secolo. Oggi la Chiesa non ha difficoltà ad ammettere i suoi torti. È un’istituzione che si pone di fronte all’umanità con una prospettiva di eternità: i cambiamenti vanno visti alla luce di questa cifra». C’è poi un equivoco di fondo, secondo il professor Napolitano: «Che il mondo laico si possa dire privo di religiosità e che la religiosità sia priva di ragione. Galileo non era ateo, come non lo erano Mendel, Fischer e altri. E la critica alla Chiesa come forza antiragione gioca su questo equivoco». Si potrebbe pensare che lei dica queste cose da cattolico… «Nei confronti degli studiosi cattolici c’è un razzismo al contrario. Non ne sono vittime solo gli studiosi cattolici, ma in generale gli studiosi credenti. Qui non si difende la Chiesa, ma il diritto per chi fa ricerca di essere anche un credente, di esser giudicato solo per i suoi studi e non per la sua fede; né si può escludere un rapporto tra scienza e fede. Il vero problema del mondo laicista è che si è trovato ad avere a che fare con un Papa, Benedetto XVI, che non ha mai negato il suo rapporto con la scienza, coltivato da tempi non "sospetti", informando l’impostazione culturale, non solo del suo pontificato, ma anche di quello di Giovanni Paolo II, spianando la strada al dialogo tra fede e scienza. E si comprende come sia ormai molto difficile cercar di relegare la Chiesa cattolica nelle sagrestie, impedendole di avere piena cittadinanza del dibattito culturale contemporaneo». Articolo del dott. Andrea Gagliarducci tratto da: "LA SICILIA IERI e OGGI" VENERDÌ 22 FEBBRAIO 2008 |