Dai frutti li conoscerete: gli abusi del Concilio Vaticano II |
Dopo attenta lettura dei documenti del Concilio e dopo averli confrontati con la pratica della liturgia, della pastorale e della predicazione così come si è svolta in questi quarant’anni di post-concilio, si impone una sola conclusione: troppe cose non vanno, troppa confusione, troppe storture. Non facciamo l’elenco, diciamo solo che se “è dai frutti che li riconoscerete”, in giro vi sono fin troppi frutti avvelenati. Senza stare qui ad approfondire (nelle pagine del nostro sito si trova già abbastanza da far riflettere), basta riandare al discorso alla Curia Romana pronunciato dal Santo Padre Benedetto XVI il 22 dicembre del 2005. Lì il Papa afferma che vi è stata una cattiva interpretazione del Concilio, in termini di rottura con la Tradizione. Certo, non specifica, ma è indubbio che non si riferisse alla cattiva interpretazione di certi sagrestani o di qualche prete. Parlare di cattiva interpretazione significa riferirsi ai cardinali, ... ... ai vescovi, ai teologi, e via elencando. Ora, com’è possibile parlare di cattiva interpretazione a prescindere dagli stessi documenti conciliari ? Solo ammettendo che tali documenti siano anche solo parzialmente equivoci è possibile parlare di cattiva interpretazione “in buona fede”. Dal che deriverebbe che i documenti del Concilio Vaticano II sono da emendare e da correggere (senza contare che rimarrebbe anche da capire se sono equivoci per ignoranza e incompetenza o per cattiva volontà). Se così non fosse, rimarrebbe solo la possibilità che i “cattivi interpreti” siano stati tali “in male fede”, e per 40 anni; e trattandosi di cardinali, vescovi e teologi è certo che si tratterebbe di una cosa gravissima (senza contare che in questi 40 anni neanche i papi si potrebbero chiamare fuori dalla responsabilità). Peraltro, Benedetto XVI non è certo il primo arrivato: è stato a capo della Congregazione per la Dottrina della Fede per 25 anni, egli sa bene quello che dice. A parte questo primo elemento, sul quale sarebbe davvero necessario riflettere a lungo, è opportuno fare qualche precisazione sulla trasmissione del Deposito della Fede, circa la distinzione tra sostanza e modi di trasmetterlo, come li chiama Lei. Non v’è alcun dubbio che sia l’annuncio evangelico sia la trasmissione della dottrina sono sempre stati, sono e saranno direttamente e intrinsecamente legati all’àmbito umano cui sono destinati. Per la diversificazione della famiglia umana, ogni contesto ha una sua specificità e sarebbe assurdo anche solo pensare che si possa predicare e trasmettere la dottrina allo stesso modo ai Lapponi e agli Zulu. La Chiesa infatti ha sempre agito di conseguenza, basti pensare che i primi discepoli degli Apostoli si recarono dagli Zoroastriani e dai Druidi ottenendo in entrambi i casi conversioni clamorose e in massa. Attenzione però. Perché la supposta differente trasmissione “ai contemporanei” può indurre in gravi errori. Mentre la dottrina può essere presentata con modi e forme atti ad essere meglio compresa, si deve sempre aver cura che essa venga presentata e recepita nella sua integralità. Diversamente si finirebbe col presentare dottrine diverse e col recepire dottrine ancora diverse. In breve, non è la dottrina che si adatta al costume e alla mentalità, ma sono queste che devono conformarsi alla dottrina. D’altronde, uno degli scopi essenziali della dottrina, fatta salva l’urgenza primaria della salvezza delle ànime, è proprio l’adeguamento della mentalità “contemporanea”, sia essa antica o moderna. Ben inteso. Quando parliamo di dottrina non abbiamo in mente il Catechismo o la teologia, ma ci riferiamo in generale all’insegnamento e alla pratica della Religione, ivi compresi gli aspetti morali e comportamentali propri di ogni insegnamento religioso (questo peraltro vale, in linea di principio, sia per la vera Religione cattolica sia per le false religioni). Forse che Nostro Signore ebbe titubanze o scrupoli a riguardo ? Nel Vangelo in diversi passi si ripete: “Vi è stato insegnato … io vi dico”. Senza contare i passi in cui si ripete: “guai a voi…”. A proposito del Concilio di Trento. Guardi che non sono solo i fedeli tradizionali a considerarlo caposaldo della dottrina. Legga il discorso di apertura del Concilio Vaticano II pronunciato da Giovanni XXIII e noterà che è il Papa a sostenere che dal punto di vista dottrinale non v’era nulla di nuovo da dire perché faceva testo il Concilio di Trento (15. Il “punctum saliens” di questo Concilio non è dunque la discussione di un articolo o dell’altro della dottrina fondamentale della Chiesa… Per questo non occorreva un Concilio. Ma dalla rinnovata, serena e tranquilla adesione a tutto l’insegnamento della Chiesa nella sua interezza e precisione quale ancora splende negli atti Conciliari da Trento al Vaticano I, lo spirito cristiano, cattolico ed apostolico del mondo intero attende un balzo innanzi verso una penetrazione dottrinale e una formazione delle coscienze, in corrispondenza più perfetta alla fedeltà all’autentica dottrina…). D’altronde, il Concilio di Trento ebbe inevitabilmente quella connotazione per il semplice fatto che dovette confutare le falsità dei seguaci di Lutero; e furono proprio costoro gli unici “contemporanei” che lo osteggiarono. Veniamo alla lingua. Noi non ostracizziamo affatto ciò che non è latino. Anzi. Del latino non ce ne importa proprio un bel niente. Non solo non lo parliamo noi, ma siamo ben coscienti del fatto che non lo si parla più diffusamente da circa 1700 anni. Altra cosa è l’uso della lingua liturgica fissa, praticato non solo dalla Chiesa Cattolica Romana (il latino per circa duemila anni) e dalla Chiesa d’Oriente (greco, per duemila anni, e slavonio, da più di mille anni), ma da qualunque altro contesto religioso o sapienziale che abbia un minimo di serietà propria: chieda agli Ebrei o ai Musulmani, o ai Confuciani o agli Indù, o a chi vuole. Sempre e ovunque la lingua liturgica fissa ha rappresentato sia l’unità del contesto, sia la certezza della trasmissione dell’integrità del culto, sia pure la garanzia contro i travisamenti possibili legati all’uso di lingue parlate e necessariamente mutevoli. In più occorre notare che in particolare per il Cattolicesimo la unicità e la fissità della lingua liturgica è sinonimo proprio di cattolicità e cioè di universalità. Lasci stare poi le stranezze tutte moderne circa San Girolamo, l’aramaico e il vero “pensiero di Colui…”. In verità solo i moderni, e i moderni preti ed esegeti, potevano argomentare sciocchezze del genere; pur se si deve riconoscere che tali argomentazioni spesso si limitano a circolare sui giornaletti, anche sedicenti cattolici, che inseguono la moda, anch’essa moderna, della volgarizzazione ad ogni costo. Quanto alla “dottrina sufficiente” che la Chiesa avrebbe “dato” “da tempo” in materia, Le confessiamo le nostra ignoranza. Non si può certo sapere tutto ! Noi, purtroppo siamo rimasti fermi alla Costituzione sulla liturgia del Concilio Vaticano II, la Sacrosanctum Concilium, dove si riafferma la necessità dell’uso del latino anche per i fedeli (Art. 36 § 1: L’uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini [cioè nel Rito Romano]; Art. 54: …si abbia cura però che i fedeli sappiano recitare a cantare insieme, anche in lingua latina, le parti dell’Ordinario della Messa che spettano ad essi; Art 116: La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana: perciò nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale). Detto questo, Le chiediamo: siamo noi che abbiamo fisime ingiustificate o qualcun altro in questi 40 anni ha raccontato ai fedeli un cumulo di bugie ? Preti, vescovi e papi compresi ? Non si scandalizzi, ma si è mai chiesta come mai gli stessi Padri Conciliari che non intesero abolire il latino, poi, tornati alle loro diocesi, da vescovi, l’hanno abolito ? Certo che tutto porta la firma del Papa, ma lo stesso Papa che firmò la Sacrosanctum Concilium, firmò poi la nuova Messa in volgare ! Non crede che ci sia qualcosa che non va ? O pensa davvero che noi si sia un po’ pazzi in seno ad una compagine ecclesiale di sani di mente ? Senza contare che, cosa ancora più grave, lo stesso dicasi per la S. Messa Tridentina. Non v’è un solo rigo del Concilio che parla del suo accantonamento, né della “creazione” di una “Nuova Messa”: eppure è da 40 anni che i papi, i cardinali, i vescovi, i preti officiano la “Nuova Messa” in nome del Concilio Vaticano II. C’è qualcosa che non va o siamo noi i pazzi nella Chiesa ? Veniamo adesso agli abusi. Piaga della Chiesa, certo, ma ancor peggio piaga per la salvezza delle ànime dei fedeli. Veda, signora, in fondo la Chiesa non è minimamente toccata da cose come queste, anzi, vi è anche abituata. La Chiesa è santa al di là delle miserie degli uomini di chiesa. In duemila anni, abusi ce ne sono stati a non finire, ma non era mai accaduto che, come oggi, questi interessassero l’intero ecumene cattolico, a tutti i livelli, per tutti i Sacramenti, per di più con tanto di avallo della Santa Sede, sia esso espresso o tacito. Qui si tratta di Sacramenti invalidi e inefficaci, che non veicolano più la Grazia e conducono i fedeli alla perdizione. Nessuno può permettersi di pensare che la Misericordia di Dio non sia in grado di sopperire agli errori dell’uomo, né che gli errori degli uomini possano minimamente interferire con la Misericordia e il Disegno di Dio. Ma questo non significa che un Sacramento invalido possa diventare valido per diretto intervento dello Spirito Santo. Se così fosse Nostro Signore non avrebbe istituito un bel niente, avrebbe pensato a tutto Lui, duemila anni fa, oggi e per sempre. Non c’era bisogno degli Apostoli, di San Pietro, di San Paolo, della Chiesa. Forse ha ragione Lei, certa deriva, che a chiamarla col suo vero nome deve dirsi apostasia ed eresia, non è colpa del Vaticano II, ma questo significa che, a maggior ragione, è colpa degli uomini di chiesa, e non dei sagrestani, ma dei preti, dei liturgisti, dei teologi, dei vescovi e dei papi, i quali, non solo avrebbero tradito il Vaticano II, ma per anni hanno fatto di tutto per farci credere che tutte le novità, le creatività, le invenzioni, le iniziative, insomma le apostasie, le eresie e le diavolerie, erano tutte “figlie legittime” del Vaticano II. Chi tocca il Vaticano II… muore ! … Se è un fedele tradizionale. Se invece è un fedele moderno… va ad insegnare in qualche Università Pontificia. Tutto ciò non fa bene alla Chiesa, non fa bene alla Fede, non fa bene soprattutto alla salvezza delle ànime. E tutti coloro che non hanno potuto accedere alla Grazia o che hanno ricevuto un cattivo insegnamento, sia con la parola sia con l’esempio, cosa sarà delle loro ànime ? È questo il vero dramma ! Che vadano alla perdizione eterna dieci, cento, mille, centomila chierici, di ogni ordine e grado, è davvero un problema loro, ma che per colpa loro ci vadano anche milioni di fedeli, questo è un problema che ci riguarda tutti: perché ognuno di noi potrebbe essere uno di quei milioni. Un’ultima cosa. Se in questi 40 anni non ci fossero stati nella Chiesa coloro che tenacemente hanno denunciato abusi, storture, derive, anche riferendosi alle responsabilità derivate dagli equivoci documenti del Concilio, chi si ricorderebbe oggi della Messa Tridentina, della dottrina tradizionale, della liturgia millenaria della Chiesa ? Non abbiamo alcuna pretesa di essere senza macchia, saremmo invero stolti, ma non ci si può chiamare in causa per la crisi che attanaglia la Chiesa da quarant’anni, tralasciando così, anche senza volerlo, di chiamare in causa i veri responsabili dello sfacelo. Cordiali e fraterni saluti in nomine Domini ! IMUV - Tratto da Unavox.it |