Giusto difendere una degna "ars celebrandi" |
“Credo che sia giusto valorizzare e non svilire l’ars celebrandi. La liturgia appartiene solo a Dio e alla Chiesa, il sacerdote non è il protagonista e non ha il diritto di fare quello che gli garba sull’altare”. Lo afferma don Giuseppe Busani, affermato e serio liturgista, responsabile della Pastorale Liturgica per la Diocesi di Piacenza - Bobbio. Don Busani, qualche giorno fa, in una interessante intervista all’Osservatore Romano, il prefetto Grinze informava della volontà papale di studiare la collocazione del gesto della pace all’offertorio invece che prima della frazione del pane. Concorda? “Sarà per i vari impegni, ma non ho letto l’intervista. In ogni caso, il tema, se non erro, fu già affrontato al recente Sinodo dei Vescovi sull’Eucarestia”. A che cosa si deve, secondo lei, questo desiderio di spostare il momento della pace? “Intanto ad una ragione teologica. Poi al fatto che spesso quel gesto è stato enfatizzato, facendo ... ... quasi passare in secondo piano il successivo, la frazione del pane. Voglio dire che prolungati e talvolta esuberanti saluti tra fedeli, hanno determinato qualche effervescenza che sia pur involontariamente ha coperto l’aspetto della frazione del pane”. Che cosa va evitato nel gesto della pace? “Bene chiarire che non è un happening, tanto meno una occasione per andare a salutare amici e parenti. La pece è un dono e per questo la traduzione del messale che a me pare più corretta e reale non è scambiatevi un segno di pace, ma scambiatevi il dono della pace”. Per quale ragione nel rito romano antico non viene scambiata la pace? “Perché in quel rito si contesta, per ragioni che ora non esamino, l’aspetto orizzontale della liturgia”. Nella stessa intervista citata, il cardinal Arinze parlava di qualche confusione derivata sul piano liturgico dopo il Concilio Vaticano II, anche se non per colpa del Concilio. Lei condivide? “Effettivamente gli abusi o gli errori ci sono stati”. Quali i più eclatanti? “Ora non è il caso di fare una classifica, ma per esempio, prendo l’omelia. In certe messe noto eccessiva verbosità, troppe parole in luogo dei silenzi, insomma una tendenza a razionalizzare ciò che per natura è dono e mistero. Insomma, una overdose di verbosità fa male alla messa”. L’omelia da dove essere data? “Dall’ambone o dalla sede”. Il noto liturgista ricorda l’esortazione apostolica Sacramentum Caritatis... “Apprezzo molto quel documento del Papa Benedetto XVI dove si ribadiva il carattere della messa come dono e mistero. In quanto alla liturgia, ritengo che debba essere bella e sobria, e che l’ars celebrandi non vada sottovalutata,ma apprezzata”. Veniamo ai canti che si ascoltano durante le messe, spesso lasciano a desiderare: “Dunque occorre cantare il rito e non fare del rito una canzone. Penso che sia bene curare con maggior attenzione testi e musiche, questo è vero”. La posizione dell’altare, le piace centrale? “Onestamente credo che la sede del sacerdote debba essere laterale,mai centrale per non dare la sensazione o l’impressione di un trono che copre Dio. Collocando la sede al centro, come si nota in alcune sedi posticce, si da l’impressione anche visiva che il sacerdote sia più importante di Dio, si cade nella clericolatria. Insomma, il protagonista della Messa non è il prete che attua in persona di Cristo, ma Dio. La liturgia, che è una insieme di segni, ci impone di ricordare che celebriamo Dio, mai noi stessi,dunque evitiamo in nome di una corretta ars celebrandi,ogni forma di protagonismo e di invenzione”. di Bruno Volpe |