Attualità di San Giovanni d’Avila, Dottore della Chiesa |
Il 7 ottobre 2012 san Giovanni d’Avila detto anche maestro Avila è stato proclamato da Benedetto XVI dottore della Chiesa universale e l’editore Gribaudi di Milano ha pubblicato un mio libretto “ San Giovanni d’Avila apostolo dell’Andalusia formatore di santi”. Analizziamo brevemente le opere del grande mistico spagnolo del secolo d’oro. Il Trattato dell’amore di Dio era in origine molto probabilmente un sermone del Maestro Avila poi adattato da alcuni discepoli in modo particolare da Fra Luigi di Granada. Giovanni d’Avila era morto nel 1569 ed il breve Trattato fu pubblicato dal Padre Giovanni Dìaz nel 1596. il Trattato è una sintesi del mistero dell’Incarnazione, che prende l’inizio dalla dimensione interiore di Cristo. In questa opera compaiono i temi classici del Maestro: Eucarestia, Giustificazione, Redenzione, Corpo Mistico, Beneficio di Cristo, Amore di Dio, Matrimonio con Cristo, Follia della Croce… Un tema caratteristico in questa opera sono gli sguardi di Cristo sacerdote che ... ... guarda al Padre per compiere la sua volontà, che guarda gli uomini per redimerli ed infine guarda a sé stesso per sacrificarsi per amore. L’opera Audi, filia è certamente lo scritto più famoso e più caratteristico. Sembra che Giovanni lo avesse inizialmente abbozzato negli anni 1531-1533 quando era ingiustamente imprigionato nel carcere dell’Inquisizione. La redazione di tale opera fu realizzata in modo molto graduale e in diversi contesti. Il nucleo originario dello scritto si basa sul commento al salmo 45 (44): “Ascolta o figlia”, riferito al Cantico dei Cantici 3,11; uscite “e guardate”. Nell’edizione pubblicata nel 1574 è lo stesso Maestro che illustra la suddivisione di questo Trattato dedicato al cammino di perfezione, a cui sono chiamati tutti i fedeli cristiani. Giovanni prima descrive il linguaggio e gli inganni del mondo, la carne e il demonio, indicandone la cura spirituale. Poi presenta una vasta paronimica della dogmatica cattolica. Mette in guardia da alcuni inganni dei sentimenti spirituali. Accentua l’importanza del conoscere veramente sé stessi, per passare poi alla meditazione sulla passione del Signore. In tal modo arriva a parlare dell’amore misericordioso di Dio. Da ciò nasce spontaneo l’amore verso il prossimo. Il cammino tracciato da Giovanni si concretizza alla fine, nell’invito ad uscire dalla propria volontà e dai propri schemi di pensiero e di giudizio per arrivare alla bellezza spirituale, persa a causa del peccato e ritrovata attraverso i meriti di Cristo e pure attraverso una vita penitenziale. La voce dello Sposo richiede che l’anima si allontani da altre voci che non portano alla perfezione. Il libro fu molto apprezzato dal re Filippo II ed il sovrano trovava sostegno nelle sue malattie e nei suoi dolori dalla lettura di Audi, filia. Il cardinale Astorga, arcivescovo di Toledo, diceva che questo libro di San Giovanni d’Avila aveva convertito più anime delle lettere in esso contenute. Durante la preghiera dell’Angelus, nello stesso giorno della canonizzazione, il 31 maggio 1970, il Papa Paolo VI esortò i convenuti a conoscere proprio il libro Audi, filia. Sono esattamente due i “Memoriali” che san Giovanni d’Avila scrive per il Concilio di Trento. Il primo Memoriale porta anche il titolo di “Riforma dello Stato Ecclesiastico” ed è quello che l’arcivescovo di Granada, Guerrero, portò a Trento nel 1551. i contenuti del primo Memoriale riguardano la Riforma dei seminari, la selezione dei candidati al sacerdozio, l’attenzione alla formazione permanente del clero, la questione dei matrimoni clandestini, la santità dei sacerdoti, i servizi delle confraternite… In esso Giovanni d’Avila proponeva la formazione di specialisti nella Sacra Scrittura – una specie di istituto biblico – e proponeva un Tribunale Internazionale per impedire le guerre fra gli stati. Secondo Memoriale si intitola “Cause e Rimedi dell’Eresie” e fu scritto su richiesta di Don Pedro Guerrero nel 1561, esattamente dieci anni dopo la stesura del primo Memoriale. La Riforma auspicata da Giovanni comprende tutti i gradi delle autorità: Gerarchia e clero, re e autorità civili, vita consacrata e fedeli in genere. Alla fine spiega nei particolari la riforma dei monasteri. Gli storici della Chiesa hanno sottolineato l’influsso della dottrina aviliana dei Memoriali a Trento soprattutto sui Decreti , sui seminari, la residenza dei vescovi, la figura del vescovo, i matrimoni clandestini… I Sermoni di Giovanni d’Avila furono in parte già pubblicati nel 1596 dal padre Giovanni Dìaz, essi comprendono tutto l’anno liturgico: Avvento, Natale, Epifania, Quaresima, Pasqua ( passione e resurrezione), Ascensione, Pentecoste, Corpus Domini. Il ciclo del santo orale comprende soprattutto le feste mariane e di alcuni santi. Un suo genere di predicazione consisteva anche nel commento di testi della Scrittura: La lettera ai Galati, e la prima lettera di Giovanni. In questi sermoni c’è un continuo riferimento alla persona di Gesù, alla sua vita concreta, secondo le narrazioni evangeliche ed in essi affiorano sempre i temi della Redenzione di Cristo, la giustificazione per la fede e le opere, il cammino di perfezione. Le Conferenze di san Giovanni d’Avila giunte a noi sono sedici. Normalmente sono suddivise in due parti: quattordici Conferenze dirette ai sacerdoti e due Conferenze dirette alle religiose. Le prime due, sulla santità del sacerdote, trattano una notevole varietà di argomenti dedicati alla vita clericale. Alcune Conferenze, la terza e la quarta, sono dirette ai religiosi e ai novizi della Compagnia di Gesù. La terza Conferenza è dedicata completamente all’orazione: percorso e gradi di preghiera e di perfezione. La quinta Conferenza contiene istruzioni per i confessori ed i penitenti, ed è indirizzata ai sacerdoti diocesani di Granada. Le due Conferenze dirette alle religiose furono tenute rispettivamente, nel Monastero di Santa Chiara di Montilla, la quindicesima, e nel Monastero della Croce a Zafra, la sedicesima. Riguardo poi all’Epistolario sono circa 260 le Lettere giunte fino a noi. Le prime Lettere che è stato possibile datare sono del 1538 quando egli si trovava a Granada. Tuttavia la maggior parte di queste Lettere appartengono all’ultimo periodo della sua vita, soprattutto a quello del suo soggiorno a Montilla, quando era già malato. Sulle Lettere a parte la sua firma veniva apposto il suo sigillo eucaristico: un Ostia sopra un calice e ai lati le lettere I e S (Ieus Salvator). La redazione delle Lettere in genere è fatta di getto, in risposta ad interrogativi concreti, ma spesso offre una base biblica e teologica molto profonda, oltre ad offrire un’esperienza straordinaria di direttore spirituale. Il Maestro invita il suo interlocutore a vedere sempre il suo problema dal punto di vista della fede, alla luce del Vangelo, e inserisce la soluzione in una prospettiva cristiana per superare i problemi individuali. Il suo obbiettivo è sempre quello di portare le persone ad impegnarsi ad una vita di santità. Le inevitabili sofferenze e le prove dure della vita diventano una condivisione della stessa croce di Cristo. Il Maestro nelle Lettere non dimentica di fare cenno al tempo liturgico del momento in cui scrive. Alcune delle sue Lettere sono diventate esempi classici di temi di spiritualità, come quelle dirette a santa Teresa. Le Lettere ai sacerdoti sono molto numerose e in esse spesso usa paragoni spiritosi mostrando una certa nota di umorismo e offrendo sempre consigli pratici per la vita quotidiana. La prima edizione delle’Epistolario risale al 1578, nove anni dopo la sua morte. Insieme all’Audi, filia , l’Epistolario è la sua opera più tradotta. Tuttavia la sua classificazione è resa ardua soprattutto per la mancanza delle date o dei destinatari precisi. Infine il Trattato sul sacerdozio fu fatto conoscere tardi, e fu edito nel 1950. sappiamo che Giovanni d’Avila inviò al padre Gesuita Francisco Gomez nel 1563 alcuni appunti per delle Conferenze che questi doveva tenere al clero di Cordova. Il Trattato sul sacerdozio è pensato più per la lettura che per la predicazione, in esso il Maestro spiega estesamente le idee, accumula testi della Sacra Scrittura e dei Padri e cita sempre il latino. Giovanni in questa opera fa innanzitutto una esposizione del sacerdozio nel suo duplice aspetto di ministero e di santificazione. In questa duplice prospettiva verso il Padre e verso gli uomini – preghiera e sacrificio – si trova l’essenza del sacerdozio. Il Maestro sottolinea l’importanza della castità e del celibato sacerdotale che si deve vivere con gioia imitando la Madonna, con spirito di sacrificio, di umiltà e purezza di cuore. Dopo aver fatto un appello al rinnovamento sacerdotale dedica una seconda parte, più pratica ai sacerdoti, ai confessori e ai predicatori. Mentre si rivolge a questi il testo si interrompe bruscamente, senza dubbio perché interrotto nel codice della biblioteca del Collegio Massimo di Ona in Messico dove si trovava e dove dovettero portarlo i Gesuiti spagnoli del XVI secolo. Poco prima parlando dei confessori, considera che “se i prelati non avessero l’obbligo di formare buoni ministri, del quale si parlerà avanti…”: ciò indica che il Trattato sul sacerdozio sarebbe continuato almeno con un comma speciale dedicato ai prelati. Comunque ad una mentalità che stima e valorizza il sacerdote solo per ciò che fa, il Maestro suggerisce la necessità di guardare nuovamente a ciò che si è. Alla tentazione della carriera, sempre presente nell’ambiente ecclesiastico, Giovanni contrappone la bellezza di una vita casta, povera ed umile, capace di gioire per il semplice fatto di esser stata chiamata da Cristo a condividere la sua sorte, e di potersi gloriare di annunciare il Vangelo gratuitamente. Giovanni d’Avila è un sacerdote di oltre 500 anni fa ma che è un grande modello per i preti di oggi. Era un grande conoscitore della Bibbia, dei Padri della Chiesa, dei teologi scolastici e degli autori del suo tempo. Studiò e diede diffusione alla dottrina del Concilio di Trento con l’obbiettivo di ostacolare il cammino delle opinioni dei riformatori protestanti di cui era accorrente e che spesso cita nelle sue opere per fare apologia della fede cattolica. La sua biblioteca era molto ben fornita, e dedicava allo studio, sempre indirizzato alla predicazione alla direzione spirituale, varie ore al giorno. I presbiteri e i seminaristi del ventunesimo secolo troveranno in San Giovanni d’Avila un modello del vero apostolo, un esempio vivo della carità pastorale vissuta quotidianamente nell’esercizio del sacro ministero. Egli come criterio di discernimento nei candidati al sacerdozio indica lo spirito di povertà e dei preti dice che sono i padri dei poveri. Richiama l’attenzione dei governanti perché evitino spese superflue ed inutili e diano occupazione a tutti preoccupandosi in modo particolare dei poveri. Al Concilio di Trento , tramite l’arcivescovo Guerrero, chiese che si rinnovassero le Confraternite nella loro dimensione sociale e che in ogni paese ne esistesse almeno una che si occupasse concretamente dei poveri preferibilmente creando un ospedale. Le scuole da lui fondate erano normalmente destinate ai bambini poveri. Ma egli non era assolutamente un’assistente sociale, la sua attività sacerdotale multiforme era sempre accompagnata dalla preghiera. Di solito pregava due ore la mattina e due ore il pomeriggio. Giovanni definisce l’orazione come una voce segreta e interiore con cui l’anima si mette in comunicazione con Dio ed esorta tutti i ministri a fare esperienza della preghiera ammonendo che coloro che non si preoccupano di avere un atteggiamento permanente di preghiera, sono come coloro che con una sola mano nuotano, con una sola mano litigano e con un solo piede camminano. Il suo chiodo fisso per la vera riforma della chiesa consisteva nella selezione e nella buona formazione dei pastori che dovevano cercare di servire Cristo e di edificare la Chiesa e non di accumulare rendite o cariche di prestigio. Dalla lettura dei testi di San Giovanni d’Avila verrà certamente una grande spinta per la vera riforma della Chiesa attuale. Don Marcello Stanzione (Ha scritto e pubblicato clicca qui) |