LA BEATA SUOR MARIA CROCIFISSA SATELLICO E IL DEMONIO |
Elisabetta Maria Satellico nasce a Venezia il 9 gennaio 1706, vive con i genitori nella casa dello zio materno, un pio sacerdote che si occupa della sua educazione. Manifesta presto la predisposizione alla preghiera e il desiderio di entrare tra le monache Clarisse. A 14 anni, entra nel monastero di Ostra Vetere, nelle Marche, ma solo cinque anni più tardi le viene permesso di vestire l’abito religioso claustrale, cambiando il nome di battesimo in quello da suora di Maria Crocifissa. Fa la professione religiosa il 19 maggio 1726 e si dedica alla preghiera vivendo anche fenomeni mistici. Viene eletta badessa del monastero e solo la decisione del vescovo la costringe a rinunciare alla guida delle Clarisse quando viene rieletta una seconda volta. Assume allora la carica di vicaria che esercita sino alla morte che la coglie, a 39 anni, l’8 novembre 1745, consumata dalla tisi. E’ stata proclamata beata da Giovanni Paolo II il 10 ottobre 1993. Suor Maria Crocifissa Satellico, la cui vita fu descritta dal celebre P. Giovan Battista Scaramelli della Compagnia di Gesù. Gli strapazzi che fecero soffrire i demoni a questa Serva di Dio per più di dieci anni, furono strani, inauditi e pressoché incredibili. Ne riferiamo solo alcuni, come sono descritti dal suddetto autore nei cap. 22 e 23 del suo testo: ... ... “Stando in orazione sentiva spingersi con tanta violenza, che se non avesse colle mani riparataòla caduta, sarebbe ita a colpire colla fronte la terra e fracassarsi il capo. Alle volte orando avanti il S. mo Sagramento sentivasi sollevare tutto il peso e innalzare in aria, e poi abbandonata cadeva di botto in terra, percuotendo colle ginocchia il pavimento con tal dolore, che parevale che le si spezzassero le ossa. Non contento di questo il maligno spirito la traeva per la parte di dietro, e balzandola , in aria la faceva cadere supina, rimanendo sommamente addolorata nella schiena, nelle braccia specialmente nel capo. Quindi le premeva con gran forza la testa, e l’agitava sul suolo a modo di chi la volesse stritolare. Appena erasi rialzata da terra tornava a fare lo stesso fino a cinque e sei volte in brevissimo tempo, sicché rimaneva tanto pesta e tanto lassa, che a grande stento poteva reggersi in piedi. Né tali cose le accadevano poche volte o di rado, ma frequentemente, quanto bastasse ad appagare il furore di quei carnefici infenrali. Trovandosi ella ginocchioni ora le ritorcevano tutta la vita dalla parte di dietro a modo d’arco, sino a toccar col capo le calcagna, ora le agitavano con tanta rapidità la testa, che parevale che il collo le si avesse a staccare dal busto per l’eccessivo dolore. Talora la sospendevano in aria coi piedi verso il soffitto e col capo all’ingiù, e la tenevano in quel modo pensile in aria con suo gran tormento pel concorso del sangue e degli umori al capo. Le stiravano con tanta violenza le braccia sino a far prova di staccaglierle dalle spalle, le facevano percuotere la testa per le muraglie sì fortemente, che ne rimbombava tutta la stanza, non permettendo però Dio che le rimanesse pesta, come richieda la qualità di tali percosse. La gittavano in terra e l’opprimevano con peso sì esorbitante, che le sembrava d’avere in dosso tutto il mondo. Alcune volte sentivasi all’improvviso stringere potentemente la faccia come tra due mani ferrate, e tra quelle dure strettoie rimaneva offesa nella fronte, nelle guancie, negli occhi e in tutte le parti del volto. Talvolta le stropicciavano la faccia sul terreno ruvido ed aspro, talché le restava lacerata tutta la pelle e compariva gonfia, livida e mostruosa; curata dall’enfiagione e dalle scorticature tornavano quegli spiriti crudeli a rinnovare lo stesso strazio. Quasi di continuo si sentiva schiacciare come tra due macigni ora un piede, ora un braccio, ora tutta la vita, con quanto suo spasimo può ciascuno immaginarselo. “A dire il vero però i dolori più acerbi non furono quelli che l’affliggevano esteriormente nelle membra del corpo; ma sì quelli con cui i demonii interiormente la cruciavano, né ad altri erano palesi che a Dio e ai suoi carnefici tormentatori. Questi furono tanti e sì gravi per lo spazio di quei dieci anni, che sembravano incredibili. Conciossiaché insinuandosi gli spiriti maligni in tutte le parti interiori del corpo, facevano ciò che non potevano operare i carnefici più spietati coi Martiri; tormentandola in tutti i muscoli, in tutte le fibre, in tutti i nervi, in tutte le ossa. Sentiva stringersi le interiora, come tra due mani, tirar tutti i nervi, slogar le giunture delle ossa, e l’ossa stesse stringere gagliardamente come tra due gran pietre. Il minimo, diceva ella, dei dolori che svegliano i demonii, supera il massimo dei tormenti che possono dare gli uomini, perché gli uomini coi loro strumenti da tormentare non possono ricercare ogni fibra più recondita, come possono fare i demonii colla loro attività e colla conoscenza che hanno dove sta il senso del dolore più vivo. Solo, diceva chi prova può bastantemente capire, cosa voglia dire essere straziato dai demonii. “Talvolta la riducevano i maligni ad una vera e propria agonia. Impallidiva nel volto, gelava nelle membra, la testa le cadeva abbandonata sul petto, restava cogli occhi stranulati, colla bocca aperta, e divenuta come esangue e moribonda cadeva stramazzoni in terra. Ma , non è possibile ridire tutti gli strazii sofferti da questa serva di Dio da demonii tormentatori, mentre per la loro moltitudine e acerbità sembrano inenarrabili. Alle volte sentivasi trafiggere il capo., e parevale veramente, che quelle acute punte giungessero a penetrarle il cervello .Altre volte sentivasi da acutissimo ferro ora trapassare le mani, ora i piedi, ora il petto. Molte volte sentivasi trinciare le viscere, e le sembrava che le venissero da affilati rasoi ridotte in minutissimi pezzi. Dopo tali crudeli infernali carneficine è inutile riferire molti altri strapazzi di fiere battiture, di guanciate, di stringerle la gola, con minacce di volerla soffogare, di calpestarla coi piedi, di gittarla per le scalee altri simili cose inferiori alle già dette”. Don Marcello Stanzione (Ha scritto e pubblicato clicca qui) |