BENEDETTA FREY E ANGELI |
Penelope nacque a Roma il 6 marzo 1836 da Luigi e Margherita Maria Giannotti e fu battezzata nella parrocchia di S. Andrea delle Fratte il giorno seguente. Una fanciulla normale, divisa tra lo studio , il gioco, l’hobby per la musica e il canto. Alla formazione culturale associava quella religiosa facendo presagire segni di vocazione per la vita di clausura. Si consigliò con il suo padre spirituale, il camilliano Trambusti, che la indirizzò a Viterbo in monastero. Entrò l’11 giugno1856, prese il nome di Suor Maria Benedetta Giuseppina. Il 2 luglio 1858 si consacrò solennemente. Nel novembre del 18651 a 25 anni, fu colpita da paralisi a tutta la parte sinistra del corpo con incidenza sulla spina dorsale. Così il quadro clinico dagli atti del processo canonico: “Non poteva poggiare il capo sui guanciali a causa di acuti dolori, né poteva tenerlo eretto perché le ricadeva inerte sul petto con pericolo di soffocamento, perciò le si doveva sostenere la fronte con cordicelle e bende”. A tutto questo si aggiunsero le piaghe da decubito, le bronchiti e le polmoniti. Chiedeva a Dio la guarigione,m faceva novene; ma più pregava e più peggiorava. ... ... Diceva di lei don Giovanni Bosco: “Quella monaca malata di Viterbo si porti con pazienza la sua malattia perché sarà un gran bene per l’anima sua e un gran vantaggio per la comunità e per le anime”. Un giorno passando un religioso disse di lei: Croce lunga e Provvidenza. Così che doveva rimaner così, affermando con santa rassegnazione e fede: In tutto sia fatta la volontà santissima di Dio il quale tutto permette per il nostro bene spirituale. Aveva imparato ad essere serena anche se sofferente, amabile e forte anche se debole e spossata dai mali. La Frey non è particolare per essere la povera crocifissa, ma per la fede straordinaria con la quale affronta e offre questa chiamata di Dio a una vita di sofferenza. Lo stato di malattia non le toglie fecondità e maternità umana e spirituale. Suo padre spirituale è stato il passionista P. Bernardo Prelini e per breve tempo p. Germano Ruoppolo, direttore spirituale di Santa Gemma Galgani. Le lettere amava iniziarle scrivendo Dalla Croce. Scrive spesso Fiat, fiat tutto; Mia cara, l’anima nostra non trova pace se non nel suo centro che è Dio (24.7.1885). sento più vive le tribolazioni altrui che tutta la mia malattia ed immobilità di tanti anni, perciò vorrei aver più mali e patire su me stessa che vedere loro così tribolati (28.11. 1898). Esortava i destinatari a farsi santi: Non già il farsi sante consista a stare nell’eremo, lo star sempre in chiesa con la corona in mano; no, no, la vera santità consiste solamente con adempiere in tutto la volontà Santissima di Dio, l’obbligo del proprio stato (17.4. 1900). La fama delle sue virtù oltrepassava le mura del monastero: aveva i doni della consolazione, della profezia, della guarigione, della liberazione, del, discernimento. L’apostolato era diretto ai peccatori, ai miscredenti, alle famiglie in crisi e ai malati per consigliare, riconciliare, consolare. In camera per poter vedere il cielo riflesso, faceva uso di uno specchietto. La contessa Tarquini di Marta (VT) diceva: “ Era tanto serena e preoccupata nell’alleviare i dolori degli altri che sembrava non soffrisse dei propri dolori”. Papa Pio IX concesse la celebrazione della S. Messa nella sua stanza: l’altare fu sistemato di fronte al letto con sopra la statua di Gesù Bambino al quale era molto devota. Furono amministrati i sacramenti del Battesimo, della Cresima, Prime Comunioni, alcune Ordinazioni Sacerdotali. Il Papa a cui nutriva filiale obbedienza, sacerdoti, seminaristi,m tutti raccomandava a Gesù Bambino. Da lei si recarono personaggi illustri come il cardinal Marry del Val, Pietro La Fontaine viterbese e futuro patriarca di Venezia, don Nascimbeni , Bartolo Longo, Mons. Bressan (segretario di Pio X) e don Luigi Orione con il quale nascerà una profonda amicizia. Per il 50° anniversario della malattia, il 10 novembre 1911, il papa Pio X, con scritto autografo, fece pervenire alla monaca il suo ringraziamento, la sua stima e benedizione. Due anni dopo il 10 maggio 1913 poteva salire in cielo all’età di 77 anni dopo 52 anni di infermità immobilizzata nel letto. Riguardo alla sua devozione agli spiriti celesti, suor Benedetta , tra i suoi più cari amici contò sempre l’Angelo Custode. Della sua devozione all’Angelo Custode rimane argomento il fatto seguente: Alla signorina Bonci in procinto di partire, ella dice: “Vada tranquilla, ci sarà chi l’aiuterà” e le diede una medaglia dell’angelo Custode, come faceva non di rado, aggiungendo: “Ci rivedremo presto”. Alla stazione di Fabriano la signorina e la madre nel dover cambiar treno si trovarono sperdute. Erano le 4 del mattino. Sole sole e con tempo infido si affannano per il trasbordo dei loro effetti ben pesanti, quando vedono andar verso di loro un facchino, il quale volenteroso si accolla quei pesi portandoli al treno per Sassoferrato. Ma quando vanno per pagarlo, non vedono più nessuno! Sorprese pel fatto inusitato, non sanno cosa pensare. Arrivano felicemente ove erano dirette. Contro le aspirazioni della signorina, di trascorrere la vita nella serenità di Arcevia, eccola doverne partir a capo ad un solo anno, per causa dell’aria poco adatta al suo fisico e tornare a Grotte. Naturalmente ripassa da suor Benedetta e nel narrarle il fatto occorsole alla stazione di Fabriano, si sente dire: “Già lo sapevo: quello era l’Angelo Custode!”. In memoria del qual fatto costei morendo regalò quella medaglia allo sposo Giulio Zonghi il quale per tanti anni custodì quella medaglia nel suo portafogli. Particolare devozione la pia suora aveva per il principe degli angeli e chi l’ha conosciuta riporta che spesso recitava questa giaculatoria: “ San Michele Arcangelo, che foste il primo ad abbattere l’orgoglio, pregate per me…”. Nelle lettere che invia alle sue amiche e benefattrici spesso suor Benedetta invita a pregare con fiducia l’arcangelo Raffaele, ad esempio nella lettera del 4 aprile 1904 inviata alla amica Adele Nizzica, la monaca invita ad esortare la nipote ad essere molto devota di san Raffaele “ onde sia sistemata felicemente e con persona vera cattolica; perché allora sarà felice altrimenti no”. In un’altra lettera inviata alla sorella Virginia pure l’esorta a far invocare san Raffaele alla figlia Angelina e scrive: “ Cara sorella, dunque le dica che si raccomandi assai al santo Arcangelo Raffaele che se ha da essere in bene dell’anima sua faccia che le cose si stringono e vada tutto bene; altrimenti se avesse da essere in male dell’anima, ed anche le avessero da succedere delle croci maggiori da non potersi sopportare, il santo Arcangelo ci metta degli impedimenti!”. Don Marcello Stanzione (Ha scritto e pubblicato clicca qui) |