Politica come vocazione laicale. La ‘lezione inattuale’ di Giuseppe Lazzati |
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lunedì 19 giugno 2017 | |
Fonte: farodiroma.it “Mi raccomando costruite l’uomo sono tra le ultime parole sussurrate, in attesa della morte, dal prof. Giuseppe Lazzati. Tali parole sono il manifesto programmatico della sua intensa e tribolata esistenza di laico cristiano impegnato nel mondo e nella Chiesa”. Con queste parole Marcello Stanzione, noto...
... angelologo e parroco dell’Abbazia di S. Maria La Nova a Campagna (SA) introduce la sua biografia del professore e politico milanese: Giuseppe Lazzati. Vita e pensiero di un laico cattolico ‘serio’ (pp. 104, Edizioni Segno, €9). Nato a Milano nel 1901, il giovane Lazzati si laureò in letteratura cristiana con una tesi su Teofilo d’Alessandria. La pubblicazione del suo studio segnò l’inizio di una brillante carriera accademica. Docente di letteratura cristiana antica all’Università Cattolica divenne infatti prima preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, poi Rettore della medesima università negli anni difficili delle contestazioni studentesche. “Deputato nella Democrazia Cristiana, apparteneva alla corrente programmatica e riformista che faceva capo all’on. Dossetti e che molto influenzò la stesura della carta costituzionale”, visse anche dal 1943 al 1945 un periodo di prigionia nei lager nazisti per aver rifiutato di aderire alla ‘proposta fascista’. La sua fede viva traspare in tutta la sua forza in quest’ultima drammatica esperienza ed è stata fonte di sicura speranza e di luce per sé e gli altri internati. Infatti Lazzati “si premurò per assicurare in quelle condizioni di pericolo la santa messa, organizzò il rosario meditato, il Gruppo del Vangelo, tanto che in pochissimi giorni la figura del biondo professore era nota in tutto il vasto campo e il suo nome in bocca a tutti e le sue parole a sera attesissime”. A soli diciannove anni, durante un corso di esercizi spirituali, affermò: “Voglio diventare santo. Cercherò anzitutto di possedere le verità della fede con tutta l’anima, di farle succo del mio sangue, perché ad esse ogni mio attimo si conformi. Che cosa è in fondo il cristianesimo? È Cristo in noi”. Approfondendo tale anelito del cuore, egli intraprese presto la strada della consacrazione laicale tra i “Missionari della Regalità di Cristo” di padre Agostino Gemelli. Lazzati non fu semplicemente un politico, ma è stato soprattutto “un filosofo e un ideologo della politica” , ossia “un mediatore lineare tra fede e storia, attraverso la ricerca della giusta dosatura del loro rapporto e della loro reciproca autonomia”. Egli aveva chiara la propria vocazione di cattolico impegnato in politica per edificare la città dell’uomo in conformità alla città di Dio: “Chi ispira il suo impegno all’amore, vincendo l’avidità e l’egoismo, opera nella linea della crescita vera dell’uomo; chi invece s’ispira alla ricerca del potere per il potere e dell’affermazione egoistica del proprio io, lavora a costruire una città dell’uomo contro l’uomo stesso”. Tuttavia egli riconosceva altresì che “talvolta i cristiani sono stati accusati di attendere alle cose del cielo e di non impegnarsi nelle cose delle terra; se è vero, tutto ciò è assai grave perché li colpisce in un punto nel quale dovrebbero essere modelli perché loro compito primario è di esercitare la loro intelligenza, volontà e abilità per ridurre a servizio dell’uomo tutte le realtà che sono nel mondo; se il cristiano non fa ciò non realizza neanche in misura piena la sua umanità”. Per favorire la crescita di una società civile retta occorre infatti ribadire il primato della dimensione morale e “operare, da cristiani, la costruzione della città dell’uomo, a misura d’uomo”, nella consapevolezza che “il laico cristiano si santifica santificando la realtà del mondo”. È questa in sintesi la lezione di Giuseppe Lazzati, purtroppo ignorata e disattesa anche da tanti politici che pure si professano cattolici. Fabio Piemonte |