LA LODE DEGLI ANGELI: GLORIA IN EXCELSIS DEO Di dom Raffaele Pappadia |
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sabato 02 dicembre 2017 | |
Il Gloria è un antichissimo Inno , il cui testo, con molte varianti, è già attestato dalle Costruzioni Apostoliche, che risalgono all’anno 380 ( VII, 48) e, dal Codice Alessandrino del N.T. ( copiato nella prima metà del secolo V). Per la sua antichità viene gelosamente conservato, e secondo una tradizione invalsa vuole denotare il carattere festivo della celebrazione. La storia della sua formazione anche letteraria ( Cf. J. MAGNE, “ Carmina Christo” III, Le “ Glorie in excelsis”, in Ephemerides Liturgicae 100 ( 1986), 368-390) è abbastanza complessa. ... La versione latina in relazione alla Messa è quella attestata dall’Antifonario di Bangor ( 690 circa), che si stabilizza nel sec. IX. Il Gloria detto anche “ grande dossologia” non viene cantato in Quaresima, tempo penitenziale; oggi tace anche in Avvento, un tempo liturgico che pur non essendo penitenziale, fa digiuno di questo inno per riscoprirlo a Natale. Fu proprio in consonanza con Natale ( Lc 2,14) che entrò nella Messa papale, secondo l’interpretazione tardo medioevale. Altre fonti tra il V-VI secolo, più convincenti, ipotizzano la provenienza del Gloria dall’Ufficio mattutino, suo luogo originario, entrato nella Messa romana attraverso la Veglia Pasquale. Progressivamente fu esteso anche alla messa dei vescovi ( Ordo Romanus II,9; e IV, 102) e successivamente a quella dei presbiteri ( Ordo XV, 124). Ma secondo l’Ordo II,9 “ a presbitero non dicitur nisi Pascha”. Senza dubbio, il canto del Gloria nella Messa è una particolarità della Liturgia romana; in Oriente e a Milano, fino al Concilio di Trento, il Gloria rimase un canto dell’Ufficio. Beda nella sua Omelia I, 6 afferma che il Gloria veniva definito un canto da ecclesiastici, che lo intonavano con formule quasi salmodiche ed acclamatorie in alternanza. All’inizio del secondo millennio, si parla dell’uso del Gloria nella Messa in autori come Bernone di Reichenau, il quale ci tramanda che la Schola tendeva ad assumerlo come suo canto proprio, senza però escludere totalmente l’Assemblea. Come in tutti i canti, anche nel Gloria, non mancarono i tropi, talvolta anche abbandonati, riportiamo un esempio molto bello e significativo: Glòria in excèlsis Deo Le fonti gregoriane conservano almeno cinquantasei brani, solo quattro furono trascritti in notazione quadrata; nel Barocco si affermò l’uso del canto alternatim con l’organo; nei secoli XVII – XVIII si crearono persino dei mottetti, menzioniamo i Gloria in stile concertato del Settecento veneziano. Attualmente il repertorio gregoriano riporta quindici brani ( più alcuni ad libitum, per un totale di 19) delle moltissime melodie dei codici antichi. La maggior parte di essi fu creata tra il sec. X e il XV. Nella nuova musicazione del Gloria tradotto in lingua nazionale, sarebbe bene discostarsi dal “ taglio” tradizionale dei versetti , per dare maggior risalto alla composita struttura letteraria dell’inno. Dopo l’annuncio angelico, che fa da incipit, c’è una sezione laudativa che termina con dossologia binaria. Segue una parte cristologica, di carattere supplice, con triplice risposta litanica. Poi riprende la lode, culminante in dossologia ternaria. Nella scelta dei canti, sarebbe bene evitare quelle forme che assimilano l’inno ad un responsorio, ciò avviene quando si cerca di coinvolgere l’Assemblea con un ritornello. L’Ordinamento generale del Messale Romano al n. 30 dice che il Gloria è l’unico canto dell’Ordinario della Messa che la Schola cantorum “ può” eseguire tutto da sola, proprio per salvaguardare il suo carattere innico, e per tramandare le antiche e belle composizioni di grande valore. La partecipazione attiva dell’Assemblea liturgica non si realizza solo facendo “ cantare tutto a tutti” o “ trasformando” questi inno in un responsorio. V. Donella ( V. DONELLA, in : Taglia e incolla – Storie di Kitch, Bollettino Ceciliano 2 (1998), 34). a proposito del famoso Gloria di Lourdes, che è un responsorio, affermava: “ quel banalissimo Gloria, che ci perseguita e che alla banalità della musica aggiunge l’offesa della forma. Ma da quando un inno si canta in forma responsoriale? un conto è la forma responsoriale e altro conto è la forma innica: non bisogna confondere le cose, per non cadere in un equivoco “ purché si canti”. A questa citazione, aggiungiamo personalmente uso ed al loro originario e genuino stile; invitando a far riflettere su una partecipazione attiva anche interiore e contemplativa; perché è con le belle forme e con le musiche edificanti, che l’animo si nutre e si rigenera lodando il suo Dio. |
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Ultimo aggiornamento ( sabato 02 dicembre 2017 ) |