SAN GIUSEPPE NEL NUOVO TESTAMENTO Di don Marcello Stanzione |
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domenica 18 marzo 2018 | |
Per avere una conoscenza biblica dello sposo di Maria e del padre di Gesù sono essenziali i primi due capitoli del Vangelo di Matteo e il secondo capitolo del Vangelo di Luca. Non si tratta di una descrizione della sua vita. Qualche aspetto della sua figura, come padre di famiglia, si incontra anche nel Vangelo di Gio-vanni, dove il discepolo Filippo afferma di aver visto «Gesù, il figlio di Giuseppe di Nazareth» (Gv 7,4 ,5). Luca riporta poi le parole degli ascoltatori del discorso di Gesù nella sinagoga, i quali si chiedevano se Gesù non era forse il «figlio di Giuseppe» (4, 22). In più, all'e¬vangelista sembra utile connettere il suo nome con il quadro genealogico di Gesù (3, 23). Ecco tutte le notizie storiche e sicure che abbiamo su Giuseppe e sulla sua esistenza terrena nel Nuovo Testamento. ...
GIUSEPPE NEL VANGELO DI MATTEO Ciò nonostante, «i primi due capitoli di Matteo sono di un'importanza fondamentale per chiunque si interessi di san Giuseppe», come si mette in luce negli studi esegetici attuali. Non sono lunghi testi quelli con cui iniziano i due Vangeli. Sono legati all'infanzia di Gesù, ma non manca la nomina del suo padre putativo e sposo di Maria. Alcuni autori dicono che l'evangelista si sia appog¬giato alle profezie dell'Antico Testamento per rac¬contare la nascita di Gesù a Betlemme e la sua infanzia a Nazareth. Per questo va riportato anche l'elenco degli antenati di Gesù, cominciando da Abramo e sot¬tolineando la sua discendenza da Davide, con la nomina dei re e dei grandi personaggi ebrei, fino ad arrivare a Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù. Generato da Giacobbe, Egli è l'ultimo personaggio della lunga genealogia (Mt 1,16). Già nelle traduzioni greco-latine del Vangelo egli viene considerato VIRUM MARIAE, cioè come uomo che vive assieme con Maria, come se fosse suo marito. E si attesta che Gesù attraverso di lui, cioè con la legge che lo rese suo padre putativo, è di origine davidica. Per Matteo è importante vedere come in Cristo, per il suo essere figlio di Davide, si realizzano le speranze del¬l'Antico Testamento sulla venuta del Messia. Giuseppe, come suo padre legale, non considerato come padre naturale, è per questo un vero dono di Dio, e dobbiamo accettare questo con profonda fede e venerazione come importante personaggio nell'opera di Dio. Dopo la genealogia l'evangelista non parla del¬l'infanzia di Giuseppe e nemmeno dei primi anni del suo lavoro. Comincia subito con il suo problema di poter sposarsi con Maria o no. Deve decidere davanti a Dio il suo destino e quello di Maria. Che cosa è capi¬tato a lei? Da dove viene il figlio che attende? Si tratta veramente di un mistero divino? La giovane donna non ripudia nulla. Come andare avanti? Avendola scelta come sposa, Giuseppe intende solo di licenziarla in segreto (Mt 1,19), cioè di abbandonarla in silenzio. Un momento drammatico. Ma Dio, che in lui vede l'«uomo giusto», gli viene incontro. Come capitava in momenti difficili, raccontati nell'Antico Testamento, gli appare in sogno un angelo del Signore, mentre stava pensando a queste cose. «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo» (Mt 1, 20) Con queste parole l'angelo gli porta il messaggio divino su Gesù che viene per la salvezza del inondo. Sono parole che come quelle del profèta Isaia intro¬ducono Giuseppe nei grandi eventi della storia divina. Pur trovandosi nel sogno, egli deve ascoltarle con fede e accettarle conte persona appartenente alla stirpe di Davide, come uomo giusto e pio che crede in Dio e vuole vivere con carità verso il prossimo. L'angelo gli dice infatti che Dio esige da lui di educare il figlio che Maria partorirà: «Tu lo chiamerai Gesù; egli infatti sal¬verà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1,2 1). Appena svegliatosi, ogni incertezza e dubbio scompaiono in Giuseppe. Volendo essere veramente buono e «giusto», un autentico «figlio di Davide», egli decide di fare la volontà di Dio e di prendere con sé Maria, come sua sposa, e il bambino che lei aspetta, come suo figlio, chiamandolo «Gesù». Vive assieme con lei, ma senza «conoscerla» come sua moglie (Mt 1,25) Matteo non racconta i particolari della nascita di Gesù. Indica soltanto Betlelnme, un villaggio a sud di Gerusalemme distante 10 chilometri, e la data: «al tempo del re Erode». Descrive subito la visita di alcuni Magi venuti dall'Oriente per rendere omaggio al Messia, riprendendo in un certo modo i racconti sull'infanzia di Mosè. Non si ferma a precisare chi erano questi visi¬tatori, uomini di scienza e forse astrologi. La sua descri¬zione passa quasi subito alla drammatica fuga in Egitto per evitare il crudele volere di Erode di uccidere il bam¬bino, dichiarato «re di Giudea». Gesù deve fuggire, e di nuovo l'angelo appare a Giuseppe nel sogno: Alzati; prendi con le il bambino e sua madre, e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo (Mt 2,13). Giuseppe esegue immediatamente l'ordine dell'angelo. Sa bene come dover affrontare un lungo e disagiato viaggio. Però poteva sperare d'incontrarsi con altri connazio¬nali che gli avrebbero offèrto una generosa accoglienza. Dopo due anni passati in Egitto arriva la notizia della morte di Erode. Corre promesso, l'angelo gli appare di nuovo in sogno. L'invito a ritornare in patria esprime certamente la volontà di Dio. Prima aveva avuto dubbi se un ritorno nel paese d'Israele sarebbe stato sicuro. Sapeva che il nuovo re della Giudea era Archelao, un figlio di Erode, un uomo crudele e san¬guinario, come suo padre. Perciò aveva avuto paura di andarvi. Archelao si sarebbe probabilmente ricor-dato di Gesù, visitato dai Magi e della decisione di Erode a togliergli la vita Tutti questi dubbi scom¬parvero con le parole dell'angelo. Si ritirò nelle regioni della Galilea, una zona al nord di Gerusalemme, meno pericolosa di quella del regno di Archelao, e decise di stabilirsi a Nazareth. La scelta esprime l'adempi¬mento di ciò che era stato detto dai profeti: Gesù «sarà chiamato Nazareno» (Mt 2.22). GIUSEPPE NEL VANGELO DI LUCA Matteo non dice altro di Giuseppe. Luca, che scrive il suo Vangelo quasi nel medesimo periodo, intende presentare subito il grande mistero dell'Incarnazione con il viaggio di Giuseppe e Maria a Betlemme, neces¬sario a motivo del censimento ordinato dall'Impera¬tore Cesare Augusto per tutti gli ebrei. Non era facile partire, perché Maria si trovava già vicina al parto. Ma Giuseppe sperava di trovare un albergo per lei, dove sarebbe nato il bambino. Peraltro, non avevano detto i profeti che il Messia deve nascere a Betlemme? Giuseppe non riesce a trovare un buon posto. Troppa gente era venuta per il censimento. Cera sol¬tanto una modesta casetta con una mangiatoia, aperta per ritirarsi in essa con Maria. E il bambino nasce feli¬cemente, adorato e lodato dall'esercito degli angeli celesti e dai pastori. Una bellissima descrizione di un sacerdote, don Giovanni Ascedu, annota che «in quella regione c'e¬rano alcuni pastori che vegliavano di notte, facendo la guardia al loro gregge. Questi pastori erano di solito dei nomadi che si spostavano frequentemente da un posto all'altro in cerca di pascoli per i loro greggi. Erano pastori che vivevano isolati nel loro ambiente e dovevano industriarsi per sopravvivere, anche «arrangiandosi» alla meno peggio. Davanti a loro si presentò un angelo del Signore e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, perché intuirono di trovarsi di fronte a qualche fenomeno soprannaturale. L'angelo subito li rassicurò: «Non temete. Vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia» (Lc 2, 10-12). Questo contenuto del messaggio dell'angelo an¬nuncia una grande gioia. La gioia che è uno dei segni dei tempi del Nuovo Testamento, dei tempi messia¬nici, questa gioia non è solo per i pastori, ma per tutto il popolo, perché il bambino che è nato, viene a sal¬vare tutti; nella città di Davide è nato un salvatore, che è Cristo Signore. Questo salvatore è il Messia, che è il Signore, Dio, che si è fatto uomo (questo è il punto centrale del messaggio); l'angelo comunica ai pastori con quale segno potranno riconoscere il Messia: «Tro¬verete un bambino, avvolto in fasce, che giace in una man¬giatoia». Maria l'aveva avvolto in fasce, Giuseppe aveva preparato la mangiatoia. E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama» (Lc 2, 14). Nell'alto dei cieli, dove abita Dio con i suoi angeli, si canta gloria. Il Messia Signore viene nel mondo per dare a Dio la gloria che l'umanità gli ha negato com-mettendo il peccato. Gesù alla fine della vita, rivol¬gendosi al Padre, dirà: «Ho glorificato il tuo nome». Sulla terra pace per gli uomini che Dio ama. Dio ama tutti gli uomini e offre loro il dono della pace. Ma non è la pace di cui parlano gli uomini, è la pace che dona Dio, che ancora prima di essere pace fra gli uomini, è pace con Dio. Appena gli angeli si furono allontanati per ritor¬nare in cielo, i pastori dicevano fra loro: «Andiamo a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere» (Lc 2, 15). Andarono e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino che giaceva nella man¬giatoia. E dopo averlo visto, riferirono già che di quel bambino era stato detto loro: che era il Salvatore, che era il Messia Signore. L'angelo lo aveva già detto a Giuseppe, quando gli comunicò che Gesù era il nome da imporre al bambino che sarebbe nato da Maria, «perché salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1, 21). Anche a Maria fu detto dall'angelo che Gesù era il nome del bambino. Tutti quelli che udirono, si stu¬pirono delle cose che i pastori dicevano. Maria in par¬ticolare, da parte sua, conservava tutte queste cose meditandole nel suo cuore. Giuseppe era l'uomo che, più da vicino di ogni altro, partecipava all'evento di quella notte meravigliosa e santa. Era felice che la sua sposa fosse stata prescelta da Dio quale Madre del Messia. Era fèlice d'aver potuto assistere da padre alla nascita del Salvatore del mondo da Maria sua sposa. Giuseppe era profondamente con¬sapevole e commosso che Dio avesse scelto proprio lui per essere il custode della verginità e dell'onore di Maria e della vita del Messia bambino. A nessun uomo Dio aveva mai concesso un simile privilegio. I pastori poi se ne tornarono presso i loro greggi, glorificando Dio per tutto quello che avevano visto e udito». Dopo la nascita di Gesù, Luca attesta che otto giorni più tardi, fatta la prescritta circoncisione, Giu¬seppe torna a casa, con Maria e suo figlio. Quando venne il tempo della purificazione, secondo la legge di Mosè, partì con loro a Gerusalemme per offrire al Signore... il primogenito (Lc 2,22-23). Rimane impressionato delle parole di Simeone: Il padre e la madre si stupivano delle cose che si dicevano di lui; cioè del bambino (Lc 2, 33), Giuseppe però si sentì chiamato d'essere suo «padre», chiamato e dedito alla sua educazione. Non sono molte le cose che Luca ha detto di Giu¬seppe. Lo presenta anzitutto inserito nel racconto del¬l'Incarnazione. Accenna al suo compito di essere un buon padre per Gesù e sempre pronto ad accompa¬gnare Maria, come andare con lei a Gerusalemme, per il rito di purificazione e per la festa di Pasqua. Quando Gesù ebbe dodici anni; i genitori vi salirono di nuovo secondo l'usanza (Lc 2, 41-42). Terminata la festa, Giu¬seppe e Maria si unirono alla carovana per fare ritorno alla loro casa. Dopo una giornata di viaggio si accor¬sero che non c'era Gesù nella loro carovana. Così tor¬narono a Gerusalemme, per cercarlo. Vedendolo nel tempio, Maria gli disse: Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io angosciati, ti cercavamo (Lc 2, 48). Gesù era ormai diventato grande, un giovane uomo che non sentiva più il bisogno di avere genitori. Luca non continua a parlare di Giuseppe. Forse suppone che egli sia morto prima della crocifissione di Gesù. Solo una breve notizia si trova nell'elenco degli antenati di Gesù, scritto da Luca in rapporto del battesimo. Giuseppe lo nomina suo «figlio, come si cre¬deva», e per l'origine di Giuseppe indica il suo essere «figlio di Eli» (Lc 3, 23). Non dice figlio di Giacobbe, come fa Matteo, e non si sa come spiegare questa diversità. Anche nella sinagoga di Nazareth la gente, ammirando la predica di Gesù, si ricorda che egli viene chiamato figlio di Giuseppe, come avviene nella sina¬goga di Cafarnao. Gesù è considerato figlio di Giu¬seppe», e si aggiunge: «Di lui conosciamo il padre e la madre» (Gv 6, 42). Se Giuseppe è conosciuto dalla gente, si ha la prova dell'apprezzamento dei suoi lavori di falegname o carpentiere, un'attività svolta anche all'infuori della sua città e stimata come valido impegno nella società. GIUSEPPE, FALEGNAME O CARPENTIERE Nessun evangelista fa un racconto delle attività di Giuseppe. In Matteo (13, 5.5) egli viene nominato però come «carpentiere», dicendo che Gesù è «fabri filius», un termine ripreso dal greco téktón. La parola greca téktón è un titolo che in quell'epoca veniva usato in Palestina per operatori impegnati con le coordinate socio-economiche. Una buona traduzione di questo termine aiuta a definire la professione di Giuseppe. Non apparteneva a una famiglia povera, in senso stretto, non faceva i semplici lavori di un falegname ma «esercitava un mestiere con del materiale pesante che manteneva la durezza anche durante la lavorazione, per esempio: legno, pietra, corno». Il primo evangelista ad usare questo titolo, è stato Marco che voleva «definire Gesù un téktón in occasione di una visita a Nazareth, osser-vando che i concittadini ironicamente si chiedono: Non è costui il téktón, il figlio di Maria? (6,3). Matteo, che probabilmente si trovava a disagio con questo sar-casmo e con questo titolo, riprendeva il racconto di Marco, ma con una curiosa variante: Non è egli (Gesù) il figlio del téktón? (13,55). Come è evidente, qui è Giu¬seppe ad essere iscritto a questa professione. Che la cosa non fosse molto esaltante è confermato anche da Luca che, molto più asetticamente, trasforma così la domanda: «Costui non è il figlio di Giuseppe?» Nei tempi antichi, i Padri latini della Chiesa hanno però tradotto il termine greco di téktón con falegname, dimenticando forse che nella Palestina di allora il legno non serviva soltanto per approntare aratri e mobili vari. Veniva usato come vero e necessario materiale per costruire case e qualsiasi edificio. «Infatti, oltre ai serramenti in legno, i tetti a terrazza delle case palestinesi erano allestiti con travi connesse tra loro con rami, argilla, fango e terra pressante, tant'è vero che, dopo le piogge primaverili, potevano spuntare anche steli e un velo verde, come è ricordato nel salmo 129, 6-7». È interessante pensare alla possibilità che Giuseppe e suo figlio abbiano lavorato anche a Sefforis, un'ele¬gante città a soli 6 chilometri da Nazareth, allora scelta dal tetrarca Erode Antipa come prima capitale dove era entrato in contatto con la cultura urbana ellenistica. Ciò non viene mai nominato nei Vangeli. Ma sarebbe una spiegazione del fitto che Giuseppe aveva una buona formazione di téktón, essendo arri¬vato a un certo livello sociale nel compiere lavori nel piccolo paese incipiente che era allora la Galilea. Non si dedicava agli umili lavori del semplice falegname. Probabilmente faceva parte degli operai impiegati in costruzioni commerciali. Una tale impresa era ben pagata e per questo la sua famiglia non era povera in senso stretto. Non viveva «ridotta alla miseria degli schiavi o all'aleatorietà economica dei lavoranti a gior¬nata, e neppure era da ricondurre alla nostra borghesia piccola e media che sia. Ai tempi di Gesù in una simile situazione di ope¬raio «si trattava di un onore di vita, decoroso ma modesto», legato alle commissioni per l'incremento edilizio, non sempre eseguito senza tassazioni gravose. Per mantenere il benessere della famiglia, Giuseppe certamente cercò di aiutare Gesù nell'apprendere il tipo di lavoro, da lui eseguito in una certa dipendenza da ambienti eletti di falegnami e artigiani. Lo atte¬stano i «dati evangelici sulla sua vita e sulla sua pre¬dicazione», svolti nei centri galilaicani, dove si tro¬vava appunto una popolazione di questa classe che nelle sue visite riconosceva in Gesù un téktón, come suo padre Giuseppe. |