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Rainer Maria Rilke: il cantore degli Angeli PDF Drucken E-Mail
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Rainer Maria Rilke: il cantore degli AngeliRilke è è conosciuto come il poeta per antonomasia, come un uomo fatto solo per comporre in versi o in prosa e che non era possibile immaginare –né poteva immaginarsi – in una qualsiasi altra, seppure affine attività”. Il poeta dopo aver abbandonata la natia Praga, ha consumato la sua esistenza(1875-1926) viaggiando attraverso tutta l’Europa specialmente in Russia, in Spagna,  a Parigi, a Duino dove nel 1911 inizierà a comporre le Elegie Duinesi, probabilmente l’apice della sua produzione poetica in cerca di continui motivi di ispirazione. Viaggia molto in Italia fermandosi a Firenze, Viareggio, Venezia, Capri, Roma, la Sicilia. Solo negli ultimi anni, che trascorrerà nel castello di Muzot, in svizzera, avrà modo di concludere finalmente il ciclo delle Elegie Duinesi e di comporre i Sonetti ad Orfeo. E’ interessante sottolineare che nel suo complesso percorso poetico- spirituale la figura centrale rimane quella dell’angelo. Il 29 settembre ...

... del 1900 il ventiquattrenne poeta Rilke così annota sui suoi diari: “ Sarà presto inverno. Angeli grandi e luminosi che non sfiorano la neve, ma alti come il cielo, si inchineranno ai pastori in ascolto, canteranno dell’infante di Betlemme.

Molti angeli, seguaci di quello che, armonioso, innanzi a Maria, le annunciò la nascita, cantando e accarezzandola con la voce. Molti angeli, tanti nunzi, saranno nei cieli e si faranno luce e splendore in essi. E sotto ai loro piedi, ci saranno alberi e uomini. Uomini chini e grandi alberi scuri. La voce degli angeli non giungerà agli uomini piegati sotto un carico pesante. La voce li circonderà come vento e strapperà i vestiti sopra i loro cuori. Li farà barcollare, li getterà a terra, li solleverà. E li muoverà come non si sono mai mossi, li agiterà come le onde del mare, li riempirà come gli abissi. Li trascinerà con se, li porterà via dalla casa e dalla patria, li abbandonerà su isole, li farà fiorire e dare frutti su isole lontane. E terrorizzati dalla morte, li attirerà su navi beccheggianti e in capanne su cui imperversano tempeste. Li salverà proprio sul punto della morte quotidiana e li proteggerà dalla fine, affinché ci siano occhi per guardare il bambino d’oro nato dalla Vergine. E guiderà gli occhi a vedere. Porterà il loro volto innanzi a un altro volto.

Guiderà le loro mani a una nobile povertà e i loro piedi su paglia morbida e luminosa. E li accoglierà dopo il cammino con balsami e cristalli di rocca. Allontanerà la polvere dai loro abiti affinché tornino splendenti. Cheterà il loro turbamento, e prenderà il bastone ancora caldo dalle loro mani per farne un albero da frutto e un albero ombroso sopra la culla del mondo”.  II filosofo statunitense David Miler ha scritto che probabilmente la sparizione degli angeli per molti decenni dalla teologia ufficiale contemporanea può essere un segnale della sparizione dell'immaginazio¬ne dallo studio della religione. Acutamente Miler fa osservare che se ciò manca talvolta nella teologia accademica, gli Angeli e le loro immagini non sono affatto assenti dalla poesia, che potrebbe essere uno dei luoghi di una teologia mistica del nostro ventunesimo secolo. Una cosa è certa: numerosi famosi poeti del passato e del presente hanno dedicato un ampio spazio agli angeli.

Chrètien de Troyes, (attivo fra il 1160 e il 1190) autore del “Perceval” è considerato come il maggiore poeta medievale prima di Dante. Nella famosa opera del ciclo bretone, il protagonista è un fanciullo nobile d'animo, predestinato alla conquista del Sacro Graal, vagando per i boschi incontra dei cavalieri, che prima scambia per diavoli, ma poi si rende conto che sono degli Angeli ed invoca su di sé la protezione divina: "Ah! Mio Signore, abbiate pietà. Gli Angeli ho visto, e nella mia cecità / ho commesso il grave errore / di scambiarli per nemici di Nostro Signore. / Non erano demoni, no, quegli eletti / né eran fallaci di mia madre i detti / quando diceva che gli Angeli sono il Vostro prezioso dono secondo solo al divino splendore / di Gesù Cristo Nostro Signore. Dante Alighieri (1265-1321) non è un poeta qualsiasi riguardo all'angelologia. Non è un caso che tra tutti i poeti di ogni Nazione e di ogni tempo, il Magistero della Chiesa abbia consacrato, alla sua memoria, una intera Enciclica (Benedetto XV, "In praclara summorum" del 30 agosto 1917, per cele¬brare il genio che concepì la "Commedia"). Gli Angeli di Dante, creati in stato di perfezione vengono in soccorso agli uomini sulla terra e concorrono alla loro beatitudine in cielo. Nel Purgatorio Dantesco, che è i1 regno dei sentimenti miti e degli affetti gentili, gli Angeli, ciascuno intento al suo ufficio, sano visioni musicali, anticipazione della beatitudine perfetta.

Tali Spiriti celesti sono discreti, silenziosi, eleganti, e, se parlano, la loro voce è lieta. Nel Paradiso Dantesco è descritta la creazione degli Angeli, Dia 1i creò per puro amore. Dante dice che Dio creò gli Angeli spontaneamente per renderli lieti della sua letizia: "Non per avere a sé di bene acquisto, i ch'esser non può, ma perché suo splendore / potesse, risplendendo, dir `subsisto', / in ena ettemità di tempo fiore, / fuor dogni altro comprender, come i piacque, s'aperse in nuovi amor 1'etterno amore." (Paradiso, 29, 13-18) e qualche verso dopo Dante così descrive gli Angeli: "Queste sustanze, poi che far gioconde / de la faccia dì Dio, non volsero viso l da essa, da cui nulla si nasconde" (Paradiso, 29, 76-78). Famosa è la descrizione dantesca dell'avvicendarsi degli Angeli: "In forma dunque di candida rasa l mi si mostrava la milizia santa, / che nel suo sangue Cristo fece sposa; / ma l'altra, che volando vede e canta / la gloria di Colui che la innamora / e la bontà che la fece cotanta, e si come schiera d'ape, che s'inforal una fiata e una si ritorna / la dove suo labbro s'insapora, / nel gran fior discendeva che s'adorna / di tante foglie, e quindi risaliva / là dove `í suo amor sempre soggiorna / le facce tutte avean di fiamma viva, l e l'ali d'oro, e l'altro bianco, / che nulla neve a quel termíne arriva. / Quando scendea nel fior, di banco in banco / porgeavan de la pace e de l'ardore / ch'elli acquistavan ventilando il fianco, / né l'interporsi tra `1 disopra e `1 fiore / di tante plenitudine volante l impediva la vista e lo splendore; / chè la luce divina è penetrante / per l'universo secondo ch'è degno, / si che nulla le puote essere ostante. / Questo sicuro e gaudioso regna; / frequente in gente antica ed in novella, / viso e amore avea tutto ad un segno". In conclusione per quanto riguarda la poetica di Dante, nelle ultime due cantiche della Commedia, gli Angeli risultano essere i messaggeri del volere divino.

Queste creature celesti, che hanno in Dio il loro supremo e definitivo bene, sono sollecite della diffusione della sua bontà sulla terra e sono in qualche maniera, solidali con la vita dell'universo e degli uomini. Goethe (1749¬18,32), il più grande poeta tedesco, alla conclusione della seconda parte del Faust presenta gli Angeli come coloro che salvano l'umanità dalle tenebre e si innalzano con essa alle regioni luminose. "Salvato dal male è questo nobile / anello del mondo spirituale, / chi sempre faticò a cercare. / noi possiamo redimerlo. / E se dall'alto anche l'Amore / per lui è intervenuto, la schiera beata gli va incontro / con caldo benvenuto." William Blake (1757-1827), poeta, pittore e incisore inglese, in "Poesie e frammenti del taccuino del 1793" ci consegna una sua visione dello spirito celeste: "Udii cantare un Angelo / Mentre si risvegliava il giorno / Misericordia, Pace e Pietà / Sono il sollievo del mondo." Gli Angeli compaiono anche nella produzione di Piercy Bysshe Shelley (1792-1822), considerato dalla critica il prototipo del romanticismo inglese. Shelley, che a 19 anni fu espulso dall'università di Oxford per aver pubblicato un opuscolo su "La necessità dell'ateismo", fu un personaggio eccentrico e stravagante: nella sua poetica molte immagini della natura (fiumi, vento, pioggia, nuvole, montagne, stelle) più che manifestare una concreta esistenza separata appaiono come proiezioni dì una commozione interiore. In “Ode al vento dell'ovest’ (1819) gli Angeli sono, per Shelley, coloro che determinano il passaggio dei venti, l'alternarsi delle stagioni, la causa dei fulmini e dei lampi. Nella poesia sopra citata i1 vate così si esprime: "Oh Spirito selvaggio, / tu che dovunque t'agiti, e distruggi e proteggi: / ascolta, ascolta! / Tu nella cui corren¬te, nel tumulto / dei cieli a precipizio, le nuvole disperse / sono spinte qua e là come foglie appassite / scosse dai rami intricati del Cielo e dell'Oceano, / Angeli della pioggia e del fulmine, e si sporgono / la, sull'azzurra superficie delle tue onde d'aria / come la fulgida chioma che s'innalza / sopra la testa d'una fiera Menade, Dal limite / fioco dell'orizzonte fina alle estreme altezze dello zenit, / capigliatura della tempesta imminente". Con il poeta tedesco Friederich Holderlin (1770-1843), che pur essendo abilitato all'ufficio di pastore, non lo volle mai esercitare, gli Angeli appaiano di una grandezza inquietante e sempre riferiti alla storia del paese, della città, della terra nativa, come angeli della patria.

Nella poetica di Holderhin gli Angeli sono eroi divinizzati della storia e ad essa sono intimamente legati come numi tutelari della propria nazione. Il poeta francese Charles Baudelaire (1821-1967) è, per convenzione criti¬ca, ormai pressoché unanime, all'origine di ciò che prevalentemente intendiamo per poesia moderna. La poetica dì Baudelaire è caratterizzata da una grande capacità di cogliere i più segreti moti dell'anima, per la sua adesione ad ogni forma di vita (compresi, il vizio, la malattia e la morte) ed infine per la potente naturalezza con cui ha reso oggetto di poesia le nuove dimensioni sociali aperte dalla rivoluzione borghe¬se ed industriale, come ad esempio l'urbanesimo. Nella poesia intitolata "Reversibilità", tratta dalla fa¬mosissima raccolta "I fiori del male", il poeta, nella solitudine della notte, così si rivolge allo Spirito celeste: "Angelo pieno di gaiezza, dimmi: t conosci tu l'angoscia ed i singhiozzi, / i rimorsi, gli affanni, l'onta, i dubbi / terrori di quelle orride nottate / che comprimono il cuore come carta / spiegazzata? Conosci tu l'angoscia, / Angelo pieno di gaiezza? Angelo / di bontà pieno, tu conosci l'odio, / í pugni stretti dentro l'ombra, il pianta / di fiele, quando suona all'infernale / raccolta la Vendetta e si fa, duce-/ delle nostre virtù? Angelo pieno / di bontà, tu conosci l'odio? / Angelo / pien di salute conosci le Febbri / che se ne vanno lungo gli alti muri, / come esiliati, dell'ospizio scialbo, / con il piede malfermo e con tremanti labbra, cercando il raro sole? Angelo / pien di salute, conosci le Febbri? / Angelo pieno di bellezza, dimmi: / conosci tu le rughe, la paura / di venir vecchi e quel tormento orribile f di leggere negli occhi ove per tanta, / avidi, i nostri bevvero l'orrore / segreto della devozione? Angelo / pien di bellezza, conosci le rughe? / Angelo pieno di felicità, l di gioia e di luci, Davide morente / avrebbe chiesto guari¬gione e forza / agli effluvi del tuo corpo incantato; / ma a te non chiedo, Angelo, nient'altro / che le tue preci, Angelo che pieno / sei di felicità, di gioia e luci!". Rainer Maria Rilke (1875-1926) è considerato il massimo lirico tedesco del primo novecento, il teologo Hans Urs von Baithassar ha definito la sua poeti¬ca: "Il solo grande testo di moderno incontro con angeli o demoni" e il filosofo Massimo Cacciari  l'ha definita: "La più ampia, forse, angelologia che il novecento conosca".

L'angelologia di Rilke si situa in un contesto figurativo in cui la decadenza della figura angelica è al massimo livello per quanto riguarda la sua valenza biblica.çççç Molti artisti coetanei del Rilke, riducono l'angelo ad una figura semplicemente ornamentale come nelle decorazioni liberty. II filosofo Gadamer sottolinea che il poeta Rilke reagisce vigorosamente contro una tale degenerazione angelologica e s'avvale dei contenuti biblici anche se, solo come materiale da realizzare per una asserzione totalmente personale. In Rilke vi è un sincretismo angelologico che si serve di immagini bibliche come di estetismo post moderno come di angelologia islamica. Nelle poesie dedicate a Lou Albert-Lasard nel 1914, Rilke si serve di spunti presi dal classici¬smo: gli dei del passato diventano angeli, cioè esseri sospesi tra la terra e il cielo. Così scrive Rilke. "Attraverso i nostri cuori, che teniamo aperti, / passa il dio, con le ali ai piedi".

E più oltre: "Vedi, l'ho saputo, che esistono f quelli, che mai appresero il camminare / comune dagli uomini. / Ma l'ascensione nei cieli / all'improvviso sbocciati ! fu loro d'inizio. II volo... / Non chiedere / per quanto tempo sentiro¬no: per quanto tempo / si videro ancora. Perché cieli invisibili l cieli indicibili stanno / al di sopra del paesaggio interiore". Nei 1907 nella poesia intitolata "L'angelo della Meridiana" che fa parte della raccolta "Nuove poesie" incontriamo il dolore del poeta Rainer Maria Rilke di poter salo descrivere un angelo quando effigiato nel marmo di una cattedrale, il suo sorriso non basta a rassicurarsi sulla condizio¬ne tragica dell'umanità: "Tra i nembi che si scagliano furibondi / contro le mura della cattedrale / quasi a negarne i meditati sensi, / ci si avverte repente più leggeri, / attratti su dal tuo divin sorriso. / Angelo bello, sensitiva forma, / ch'hai cento bocche ed una bocca sola. / Non scorgi tu come le nostre ore / scivolan via dal tuo quadrante colmo, / ove girano i numeri del Tempo / incisi tutti quanti in un sol peso / greve e concreto, quasi che, sbocciando, / tutte 1'ore, per noi, fossero ricche / di una ricchezza sola? / Angelo, tu ¬di pietra che ne sai / del nostro umano vivere nel mondo? / E non sorreggi, forse, il tuo quadrante; con più beata sfavillar del volto, immerso nella tenebra notturna?". Le "Elegie Duinesi F, concluse nel 1923, rappresentano il culmine della maturità poetica di Rilke, interrotta dalla morte per leucemia in un sanato¬rio in Svizzera, dopo terribili sofferenze. Il poeta delle Elegie Duinesi sentiva che l'atto poetico è coin¬volgimento con un "Angelo terribile",, la cui via è di lasciare andare le cose in modo che possano essere afferrate a un livello di senso più profondo. II lasciare andare dell'angelo implica per il poeta il rinunciare ad afferrare le cose da una prospettiva egoistica (Io, me, mio); implica il decantare le cose con le parole.

A tale riguardo così scrive il Rilke: "Qui siamo noi per dire: casa, / casa, / ponte, fontana, porta, ulivo, brocca, finestra, / e poi: colonna, torre?... ma per dire; / ricorda, dire le cose esse stesse, mai neppur s'immaginarono. / Queste cose, che vivono sul piede di partenza / capiscono quando le decantiamo: fuggenti, esse cercano / un'ancora in noi i più fuggenti. / Vogliono che 1e mutiamo, nell'invisibile nostro cuore, / in-noi infinitamente!-in noi". Al traduttore polacco delle sue poesie Rilke così scrive: "L'Angelo nelle Elegie è 1a creatura in cui appare già completa quella trasformazione del visibile nell'invisibile che stiamo operando con la poesia... L'Angelo nelle Elegie è l'essere che garantisce il riconoscimento di un più alto grado di realtà nell'invisibile. Dunque terribile per noi, perché noi, suoi amanti e trasformatori, dipendiamo ancora dal visibile". Anche un poeta maledetto come Oscar Panizza (1853-1921), morto pazzo in un manicomio, pur essendo un oppositore della fede cristiana, non riuscii a sottrarsi al fascino dell'Angelo. Nel 1899, Panizza scrisse infatti "La locanda della Trinità", dove così descrive l'angelico messaggero della Madonna: "Nel sonno, Maria ha sentito passare come una / tempesta sulla casa. Una delle imposte- s'è aperta, / e improvvisamente lei vide una grande forma / bianca dalla chioma luminosa in piedi dinnanzi a lei. / Questa forma si protese su di lei e le bisbigliò qualche cosa all'orecchio". La poetessa italiana Ada Negri (1870-1945) esordì con poesie di forma tradizionale e di ispirazione umani¬taria, socialista o femminista, infine nella maturità, compose liriche che esprimono una concezione cri¬stiana della vita.

La Negri nella "fase anarchica" della sua poetica, compose la poesia "Miraggio"', facente parte della raccolta "I canti dell'isola" dei 1924, in essa la poetessa evoca l'angelo del suo io più profon¬do, quello che nel sonno le invia inquietanti messaggi. "Non crea che vani fantasmi sospesi nel vuoto, / le rupi sireniche, / e sotto il piede non terra, non pietra, ma aerea / sostanza di nube. / Bianchi vapori, polvere d'astri, ondeggiarono / intorno alla luna; formando e sfacendo ali e tuniche d'angeli, sideree scale; / reggie di sogno: d'esse, nel pallido incanto, io regina, voi re". Di altro genere è 1a poesia "Donata dorme", facente parie della raccolta "Vespertina" del 1931 che fa parte della "fase cattolica" di Ada Negri. In questa poesia l'autrice coglie sul viso della bambina che dorme l'impronta della sua origine divina. Questa simbolica ascesi tra la madre e contempla e la figlia che viene contemplata avviene per mezzo dell'immagine dell'Angelo: "Neppur odo il suo respiro. / Come lunga l'ombra / delle ciglie sul viso! / Come immoto / il viso bianca, una camelia bianca. / Abbandonata sulla coltre, nelle / maniche ai polsi chiuse, le sottili braccia, / sotto la coltre il corpicino / segnato è appena; e più non par che viva. / Schiudesse almeno un poco il labbro; all'alito d'un sogno! Si volgesse sopra il fianco / con un sospiro! La sentissi mia / anche nel sonno, come quando ai collo / mi balza e sul mio petto è tutta un tendersi vibratile di nervi, è tutta un frangersi / di risa, come d'onda sulla sponda! Ma no. V'è nel suo sonno un senso d'ali / remiganti lontano.

Ella è partita. / Per dove? Oh certo l'Angelo custode / che su lei veglia, nella buia notte / l'anima sua riporta agl'innocenti I non nati ancora, ancor sospesi in cielo, / e a quei ritorno assisto¬no le stelle". Termino questa carrellata sul tema angelico nella poesia con Eugenio Montale. Certamente, Montale è un poeta, se non laico, certamente aconfessionale, che tuttavia bandisce l'ottimismo storico di stampo illuministico. Per lui, in un mondo il cui emblema è il detrito e la scoria, la salvezza non può aversi se non per intervento della Grazia. La grande poesia di Montale nasce dalla ricerca delle presenze che rivelano e liberano il mondo nascosta. Nella poesia intitolata "Qua e là" presente nella raccolta "Satura" del 1971, Montale esprime sugli angeli un chiaro giudizio: egli sa che questi spiriti celesti esistono e che per volere divino potrebbero rendersi anche visibili, ma decide. di rinunciare a tale possibi¬lità anche se gli fosse offerta, perché per Montale non si può e non si deve violare il mistero trascendente che li circonda: "Che mastice tiene insieme / questi quattro- sassi. / Penso agli Angeli / sparsi qua e là / inosservati l non pennuti non formati / neppure occhiuti / anzi ignari / della loro parvenza / e della nostra / anche se sono / un contrappeso più forte f del punto di Archimede / e se nessuno li vede / è perché occorrono altri occhi / che non ho / e non desidero/...”. Lo scrittore James Hillman nel famoso libro, Il Codice dell’anima scrive: “ Occorre avere occhio per l’invisibile, chiuderne un poco uno ed aprire l’altro su l’altrove: è impossibile vedere l’angelo se prima non abbiamo l’idea dell’angelo”., e continua affermando: “I nostri corridoi sono così angusti e bassi che gli Invisibili devono contorcersi in forme mostruose per passare al di qua”. In qualche modo l’opera poetica di Rilke potrebbe essere considerata come un tentativo di mantenere aperti i corridoi che mettono in contatto gli umani con gli Invisibili.

di Don Marcello Stanzione

 
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