PREFAZIONE A FABIO SANTAGATA, SPIRITUANESIMO: LA VIA CRISTIANA PER IL NIRVANA |
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Écrit par Amministratore | |
02-06-2025 | |
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1. Questo saggio di Fabio Santagata sullo “Spirituanesimo” emerge oggi, ai nostri occhi, come un vero e proprio segno dei tempi. Già la parola “Spirituanesimo” rivela, con la carica del suo neologismo, l’intenzione profonda che l’ispira. Si tratta di una parola ardita, ambiziosa e coinvolgente, che intende con forza dare a pensare. Si cerca di delineare, infatti, l’appello a un cristianesimo verticale e a una dimensione verticale del cristianesimo. ...
Chi scrive questo saggio è, di professione, un docente di matematica. Un matematico che parla di spiritualità; e già questo è un forte segno d’epoca, che, pur avendo antichi e illustri natali, oggi esprime, nel nuovo contesto, un ancor più potente significato. Esistono più modi di intendere la matematica. C’è una matematica che si occupa delle quantità in tutte le sue forme, badando a non accedere a nessun livello mistico, misterico o spirituale. C’è una matematica che, connettendosi intimamente alla fisica, ne esplora i molteplici alfabeti, badando a restar ferma al criterio di una sperimentabile “esteriorità”. C’è una matematica che, attraverso le sue ascendenze platoniche e pitagoriche, esplora l’Olimpo delle forme ideali pure. C’è una matematica che, come quella di ascendenza indiana (o più latamente orientale), cerca connessioni con un mondo teosofico. Ma certamente, almeno nell’itinerario del Novecento, esiste anche una matematica che, soprattutto ad opera del quantismo, ha cercato di cogliere le intime e cangiati connessioni fra mondo sub-nucleare e mondo infinitesimale (si pensi, solo per un esempio, allo spazio matematico di David Hilbert). Né va dimenticata, intanto, quella matematica che, incrociandosi con la logica e diventando logica matematica, ha messo in luce l’esistenza di insuperabili difficoltà sistemiche in termini di coerenza e di completezza (si pensi, in una prima fase, alla questione delle antinomie sollevata nel 1902 da Bertrand Russell nei confronti di Gottlob Frege e, in una seconda fase, ancora più matura, alle teorie dell’incompletezza, elaborate ed enunciate nel 1930-31 da Kurt Gödel). Ma c’è, a ulteriore proseguimento del percorso, oggi sempre di più, una matematica che cerca, per così dire, di uscire da sé stessa per realizzare più intrinsecamente sé stessa, scoprendo ciò che è – contemporaneamente – matematica, meta-matematica e linguaggio di meditazione. In un orizzonte complessivo, questo libro di Fabio Santagata è un segno dei tempi. Esso, da un lato, interroga la matematica; dall’altro lato, interroga il cristianesimo; e, dall’altro lato ancora, sottopone il cristianesimo a una serrata esplorazione per estrarne la dimensione essenzialmente verticale, esoterica, intensamente e vertiginosamente spirituale. Non si tratta di una mera enunciazione metodologica, però. L’autore, infatti, investiga in modo concretamente analitico tutti gli aspetti, i ministeri e i sacramenti del cristianesimo allo scopo di enuclearne la dimensione puramente spirituale. Il pensiero viene estratto ed astratto restando sempre sul terreno dell’esperienza concreta, lasciando al linguaggio semplice l’apostolato della sua diffusività. Si tratta di una vera e propria caccia, condotta con passione e rigore, pur in una sincera e autentica confessione di modestia, consistente nel non voler sembrare né un dotto filosofo, né un attrezzato scienziato.
2. Il testo di Santagata, costruito con lucida logica e con estetico senso della simmetria, impiega un linguaggio semplice, capace di essere, al tempo stesso, informato, penetrante e puntuale. Egli scioglie in un lessico ben accessibile la complessità dei problemi da cui si sente attraversato. Individueremmo, qui, in questo lavoro, quattro linee direttrici. La prima: tener conto delle acquisizioni della matematica, senza la pretesa di essere un matematico. La seconda: tener conto delle acquisizioni della filosofia e della teologia, senza la pretesa di essere un filosofo o un teologo. La terza: attraversare i capisaldi della dottrina cristiana alla luce di una spiritualità orientale e di una dimensione esoterica che in nulla intendano scalfire e/o scalfiscano l’ortodossia della dottrina cristiana. La quarta: attraversare tutti i carismi dei sacramenti cristiani, collocandoli nella dimensione di una verticale esotericità. Si percepisce, perciò, in questo complesso lavoro, un intento semplice e ambizioso, la cui finalità è tutta consumata nella sua anti-retorica semplicità. Due sono le linee, pertanto, su cui cammina il testo: 1) una distinzione/contrapposizione fra dimensione esoterica e dimensione essoterica, in cui la prima, esprimente il riservato e il profondo, è chiamata a prevalere nettamente sulla seconda, esprimente ciò che è aperto a tutti e apprensibile da tutti; 2) una distinzione/contrapposizione tra dimensione verticale e dimensione orizzontale, in cui la prima è chiamata a sostituire la seconda. In questo puntuale lavoro di nuova composizione chimica dei fattori in gioco si assiste ad alcune accensioni illuminanti, chiamate a dare nuova potenza all’essenza dei valori cristiani, assunti peraltro nella loro non scalfita specificità. È come lucidare un gioiello, ben noto, facendone sprigionare nuovi – e forse dimenticati e sepolti – bagliori. A questo sforzo complessivo contribuiscono, anche nascostamente, acquisizioni della matematica, della fisica, della filosofia, della teologia, degli insegnamenti occidentali e di quelli orientali. “Spirituanesimo”, appunto. Il nome, nel suo essere una nascosta crasi fra “spiritualità” e “cristianesimo”, intende costituire una via, una provocazione e un’apertura di luce. Si tratta di un itinerario da apprezzare nella sua forte valenza positiva e, soprattutto, costruttiva. Non ci nascondiamo, però, due limiti, o forse due interrogazioni che questo testo di Santagata, al tempo stesso, incontra e solleva. È certamente importante, ancor più nel mondo d’oggi, trovare – o forse ritrovare – sulla base delle nuove acquisizioni scientifiche l’energia spirituale nascosta nei riti del cristianesimo. Ma c’è da domandarsi se la dimensione verticale (il basso chiamato all’alto) possa andare a sostituire completamente il problema etico del male, nel momento in cui si configura come problema del rapporto con l’altro/con gli altri. Come è fin troppo noto dalla prima lettera di Giovanni Apostolo (Gv. 1-4,20), non può pensarsi la dimensione verticale in modo dissociato dalla dimensione orizzontale: «Chi dice “Io amo Dio” e odia il fratello, egli è un bugiardo. Chi non ama il fratello, che vede, non può amare Dio, che non vede». Di una tale affermazione esiste una efficacissima espressione in un pensiero di Charles Péguy sul bigottismo e sui bigotti: «Amano Dio, perché non amano nessuno». Una delle vere essenze dello spirituale è il carnale. Il secondo limite – cioè la seconda interrogazione – è strettamente connesso col primo limite, che è anche la prima interrogazione. Esiste nel mondo, e non può essere negato, il dramma – su cui tanto sant’Agostino ha riflettuto – del «mysterium iniquitatis», cioè della cattiveria gratuita, compiuta allo scopo di arrecare ad altri dolore, anche in assenza di un proprio specifico interesse. È il piacere di generare dolore. Davanti a questo mistero mai sradicato dal mondo, l’invocazione della pura dimensione verticale/esoterica diventa incapace di sguardo. D’altra parte, questo lavoro di Santagata ha anche il merito di provocare e sollevare, col suo cimento virtuoso, le presenti interrogazioni. Vorremmo, però, sottolineare una particolare prospettiva che a noi sembra lo studio di Fabio Santagata apra, anche se forse con non piena consapevolezza. Nacque, come è noto, nella pratica artistica e matematica degli antichi l’intuizione della “sezione aurea”. Vive, in realtà, nell’idea di “sezione aurea” una speciale pratica costruttiva e rappresentativa: quella per cui, data una qualsiasi “totalità”, essa è scomponibile in due parti disuguali, tali che la parte disuguale maggiore è media proporzionale fra la totalità stessa a cui appartiene e la parte disuguale minore, mentre, d’altra parte, la somma della parte disuguale maggiore e della parte disuguale minore ricostituiscono l’unità-totalità di partenza. Si tratta – nel costruire (artisticamente) e nel rappresentare (geometricamente) un oggetto – di realizzare la cifra dell’armonia all’interno di una totalità. È presente, come è noto, nelle statue greche, nelle architetture greche, nei teatri greci, nella matematica pitagorica e perfino nelle forme più generali dell’universo. Ci permettiamo di fare, a questo punto, una forse ardita considerazione. Questo libro sembra, nello svolgimento dei suoi argomenti, impiegare un metodo che chiameremmo caratterizzato proprio dall’idea della “sezione aurea”. Una sezione aurea intesa in un modo particolarissimo, però: quello di una parte che concentra, a modo suo, il “tutto” di cui fa parte e che, al tempo stesso, contiene una ulteriore parte, anch’essa concentrata in guisa tale che la parte disuguale maggiore entri nel “tutto” tante volte quanto la parte disuguale minore entra in quella maggiore. Attraverso un tale metodo non dichiarato, avviene una specialissima articolazione di parti, tale che la forma matematica contiene in sé la parte dottrinale, e questa la parte filosofica, e questa la parte teologica, e questa la parte della vivente pratica comune, e così via, sia in senso discendente che in senso ascendente. Allo scopo di esemplificare un tale modo di concepire e costruire, diremmo che nel testo di Fabio Santagata potrebbe individuarsi un’articolazione di questo tipo: data come “totalità” la “verità della vita”, all’interno di una tale totalità può concepirsi come medio proporzionale un discorso dottrinale (o filosofico, o teologico, o matematico, o esoterico) e come membro estremo della proporzione il discorso che al medio proporzionale manca per ricostituire l’unità. In questa prospettiva, ogni discorso di verità sulla vita può esprimersi in più modalità, per giunta convertibili l’una nell’altra: modalità dottrinale, modalità teologica, modalità filosofica, modalità matematica, modalità esoterica, modalità esistenziale, e così via. Ciò significa che nel testo di Santagata è prefigurato e nascosto un particolare tipo di metodo, che sintetizzeremmo come segue: la pratica dottrinale è media proporzionale fra la totalità della vita e ciò che alla pratica dottrinale manca; la pratica teologica è media proporzionale fra la totalità della vita e ciò che alla pratica teologica manca; la pratica filosofica è media proporzionale fra la totalità della vita e ciò che alla pratica filosofica manca; la pratica matematica è media proporzionale fra la totalità della vita e ciò che alla pratica matematica manca; la pratica esoterica è media proporzionale fra la totalità della vita e ciò che alla pratica esoterica manca, e così via. Ma una tale prospettiva, a una seconda potenza, significa che la pratica dottrinale, la pratica teologica, la pratica filosofica, la pratica matematica, la pratica esoterica occupano il medesimo spazio di media proporzionalità all’interno dell’unica pratica della vita; e ciò significa – ancora – che sulla pratica dottrinale può elevarsi una pratica meta-dottrinale, e cioè teologica; che sulla pratica teologica può elevarsi una pratica meta-teologica, e cioè filosofica; che sulla pratica filosofica può elevarsi una pratica meta-filosofica, e cioè matematica; che sulla pratica matematica può elevarsi una pratica meta-matematica, e cioè meditazione esistenziale e sensibilità esoterica; e ciò significa – infine – che nella pratica della meditazione esistenziale e della sensibilità esoterica è intrinsecamente innestata la pratica esistenziale, quella delle singole persone nella vita di tutti i giorni. Ma ciò, in definitiva, significa che fra tutte le pratiche individuate esiste un perenne circuito di reciproca implicazione. Una tale prospettiva è, nel testo di Fabio Santagata, metodologicamente aperta, ed è questo, a nostro avviso, uno dei suoi nascosti tesori. In ultima analisi, questo testo si presenta come un fecondo incrocio di paradossi. Esso, in effetti, nasconde la sua ambizione nella sua umiltà: coniugare la fisica con la filosofia, la matematica con la teologia, le forme rituali con l’anti-formalismo, l’ortodossia con l’arditezza, il tradizionale con l’esoterico, la carne col mistero, l’Oriente con l’Occidente, la dottrina religiosa con la vita di tutti i giorni, Florenskij con l’uomo comune. Un tentativo certamente problematico e aperto. E scusate se è poco.
15 settembre 2024
Giuseppe Limone
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