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La bottega delle spezie di santa Ildegarda
UN LIBRO SULLE SPEZIE UTILIZZATE DA SANTA ILDEGARDA DI BINGENDA Della dottoressa Stefania Faccenda PDF Stampa E-mail
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lunedì 16 giugno 2025

UN LIBRO SULLE SPEZIE UTILIZZATE DA SANTA ILDEGARDA DI BINGENDASono molto onorata di prendere parte alla presentazione al libro edito dall’editrice Gribaudi di Milano e intitolato “La bottega delle spezie di santa Ildegarda”. Questo testo importante sull’utilizzo storico delle spezie scritto da don Marcello Stanzione, che è il parroco della chiesa che la mia famiglia frequenta da lungo tempo, così come dalla collega farmacista dottoressa Elisa Giorgio. La stima e l'affetto che mi legano a don Marcello Stanzione nascono dalla grandezza del suo animo, sempre pronto ad ascoltare tutti con dedizione e ad aiutare chiunque abbia bisogno, anche solo con una parola di conforto. ...

 

Dalla condivisione di questo interesse per la cura del corpo e dello spirito, con particolare riferimento alle terapie di Santa Ildegarda, nasce uno scambio di informazioni e di conoscenza, poste al servizio di chiunque ne abbia necessità. Penso che sia utile ai lettori di questo libro sulle spezie utilizzate da santa Ildegarda, avere una conoscenza sommaria della storia della farmaceutica, ricordando sempre che Ildegarda era fondamentalmente una farmacista, allora si definiva con il termine speziale, per le consorelle benedettine del monastero di cui era abbadessa. 

 

Il farmacista: origini storiche della professione

In età remota la figura del farmacista è tutt’uno con quella del medico, del sacerdote, dello stregone.

Ritenendo, per molto tempo che molte malattie sono causate da spiriti maligni che invadono la testa, si ricorre, addirittura, all’apertura del cranio per estrarne la materia ritenuta infettata.

Risale al 2700 a.C. il più antico testo di farmacologia conosciuto: una tavoletta in caratteri cuneiformi della città di Ur in Mesopotamia, rinvenuta nei primi decenni del XX secolo e decifrata solo nel 1953, contenente una dozzina di ricette del medico-farmacista Lulu, con preziose indicazioni circa gli ingredienti e le procedure per la preparazione di pomate, decotti

e lozioni. In questo testo, incredibilmente, la materia farmacologica è trattata con metodo “scientifico”, ovvero senza cedimento alcuno ai diffusissimi riti di magia e stregoneria che, del resto, prima, durante e dopo, fino ai tempi attuali, hanno sostituito o, nel migliore dei casi, affiancato le pratiche mediche e farmaceutiche.

Nella Bibbia con la parola farmakeia si definiscono tutte le arti con cui Babilonia sedusse il mondo. A quel tempo φαρμακεία (pharmakeia) era un termine che indicava quelle che potremmo chiamare “pozioni magiche”, vale a dire sostanze dagli effetti più diversi: allucinogeni, sostanze che causano l’aborto, “filtri magici” e veleni somministrati con intenzioni omicide. Tale termine, quindi, non include tutte le sostanze medicinali, ma solo quelle preparate per indurre effetti malefici, reali o supposti, che alterano le normali funzioni psicofisiche e che escono dall’ambito di ciò che è morale rispetto alla “Legge divina”.  È semplice immaginare che si alluda anche ai filtri amorosi ed agli afrodisiaci. Verificandosi, però, nel tempo anche effetti deleteri con queste terapie, al concetto iniziale subentra quello di tossico o veleno.

La medicina magico-sacerdotale ha avuto, del resto, per un lungo periodo, un ruolo predominante nelle dinamiche culturali di molteplici etnie, attraversando di fatto tutte le civiltà antiche, da quella assiro-babilonese a quella fenicia, dalla cretese alla micenea, dalla cinese all’indiana, dall’egizia alla Grecia pre-classica. Sarà con Ippocrate, nell’Atene del Secolo V a.C., che la pratica medico-farmaceutica si emanciperà da questa sorta di teurgia scientifica, per puntare a un tipo di conoscenza basata sull’osservazione e sull’esperienza. Con la famosa “dottrina dei quattro umori” (flegma, sangue, bile nera e bile gialla), il medico di Coo svilupperà una teoria portata a dominare la medicina dogmatica fino a Galeno che, a sua volta, la rielaborerà, consacrandola fino al Rinascimento quale punto di riferimento inconfutabile.

Per quanto i Sumeri, i Medi, gli Assiri e i Babilonesi siano con la loro civiltà fonte di evoluzione e conoscenza per tutto il Medioriente è alla civiltà egizia che si preferisce fare riferimento, in quanto nasce in un contesto sociale culturale per molti aspetti più storico che sarà propedeutico per le civiltà del bacino del Mediterraneo è più propriamente per quella che oggi definiamo occidentale.

Erodoto nelle sue storie ci parla del popolo egizio come il più sano del Mediterraneo in quanto, oltre ad una igiene personale molto curata che più volte sconfinava nella cosmesi, venivano osservati i periodi di digiuno durante i quali venivano assunti blandi lassativi, la polpa dei datteri di tamarindo o infusi di Sena.

Gli antichi egizi praticavano la medicina con metodi altamente professionali. Essi avevano una conoscenza avanzata dell'anatomia e della chirurgia. Inoltre, essi hanno curato molte malattie tra cui disturbi dentali, ginecologici, gastrointestinali e urinari. Potrebbero diagnosticare il diabete e il cancro. Le terapie utilizzate si estendevano da diverse piante per includere diversi prodotti animali e minerali. Alcune di queste piante sono ancora utilizzate ai giorni nostri. Fortunatamente, hanno documentato i dettagli della loro vita scolpendo su pietra, argilla o papiri. Sebbene molti di questi documenti siano andati perduti o distrutti, i documenti sopravvissuti rappresentano un'enorme fonte di conoscenza in diversi aspetti scientifici, inclusa la medicina.

Questa diffusa cultura che nasce nel periodo dell’antico Egitto, rivolta all’igiene e alla prevenzione, caratterizzò sempre gli Egizi ma è nel 1700 a.C. che la nazione subisce un decadimento, come spesso accade ai popoli e in questo successivo periodo che il faraone ora deificato è al vertice della casta sacerdotale, la quale si ritiene depositaria del sapere che gestisce i propri intenti. La scienza quindi ora non è più libera ma in quanto rivelazione, ossia espressione del Dio, deve essere amministrata e dispensata da sacerdoti e per questo motivo è da ritenersi accessibile a pochi.

È verso la fine del 1800 della nostra era che vengono scoperti i papiri riconosciuti con il nome dei loro scopritori: Edwin Smith e Giorgio von Ebers oltre che Giuseppe Passalacqua.

Il primo papiro del 2000 a.C. pur riportando medicamenti composti, alcune droghe calmanti il dolore e norme dietetiche si sofferma maggiormente su aspetti clinici e chirurgici. Colpisce come per la cura delle ferite infette venisse raccomandato il miele impastato con il pane ammuffito, quasi come fosse un antibiotico. Il secondo papiro appare come un vero trattato di farmacologia, tanto da essere definito la prima farmacopea conosciuta nel senso anche etimologico della parola. “farmaco- fare” e descrive quindi l’arte di preparare il Farmaco. Il papiro inizia con le seguenti parole:“…qui incomincia il libro delle preparazioni dei medicamenti adatti a tutte le parti del corpo di un ammalato. E lo stesso Dio dell’universo in preparazioni dei medicamenti adatti a tutte le parti del corpo di un ammalato. E lo stesso Dio dell'universo Ra che presa compassione per le sofferenze dell’umanità mi hai spirato con le parole di Thoth, L’uso dei più portentosi rimedi, Dio farà vivere chi lo ama e poiché io sono timorato di Dio io vivrò…”

Il concetto di disciplina medica è evidente e ce ne dà conferma il fatto che sono riportate 700 formule magiche forse per preparare il paziente o per utilizzarli come coadiuvanti nella reazione terapeutica del farmaco. Di estrema importanza è il papiro ritrovato dall’egittologo Passalacqua che con le sue 170 formulazioni amplia il concetto di terapia dell’epoca. Tutti i papiri di quest’epoca sono scritti in ieratico, la scrittura preferita della casta sacerdotale e più adatta ad essere riportata su un papiro.

Dopo il I millennio a.C. verrà adottato il demotico, forma più evoluta e più semplice quindi maggiormente comprensibile per il popolo. Venivano utilizzati oli e unguenti per la cura del corpo, terre o ciprie nei colori e nei balsami profumati. Con funzioni igieniche e cosmetiche la lettura della disciplina medica dei rimedi e delle droghe utilizzate non deve sorprendere o creare stupore. Per quanto la maggior parte delle piante officinali non sia stata identificata, sappiamo che venivano utilizzate il Papaver Somniferum e il suo lattice, la canapa indiana, il rosolaccio dei campi (Papaver Rhoeas), la mandragora, dai quali si potevano ottenere rimedi analgesici e ipnoinducenti raccomandati dallo stesso dio Thoth. L’arte farmaceutica era quindi intesa come l’arte di preparare le medicine, sebbene fossero gli stessi medici che soprintendevano alla preparazione del farmaco, questi certamente erano assistiti da specializzati che inoltre curavano la conservazione delle droghe in locali appropriati e in appositi contenitori.

Sicuramente i farmacisti dell’epoca conoscevano le pratiche farmaceutiche almeno più semplici come polverizzare, setacciare, somministrare droghe, usare solventi come vino olio e acqua, torchiare, filtrare ed anche una forma primordiale di distillazione.

Il mondo descritto da Omero ci fa conoscere, attraverso avvenimenti diventati mitologici, una pratica medica in cui la componente teurgica è essenziale e dove i principi medici. Con Asklepios, uomo o dio, la Medicina diviene più razionale e sociale e tanto era vasta la sua Arte Medica che volle riportare in vita un morto. Essendo questo pericolosamente contro natura, Giove lo fulminò, allora Apollo raccolse suo figlio e lo assunse deificato nell’Olimpo.

Asklepios, pur in epoca storica, fu associato o identificato al Dio egizio Imothep, figura semi-mitica dell’Egitto.

È opportuno precisare che questi ospedali-santuari non erano solo ieratici, dediti a una semplice medicina teurgica, bensì vi si praticavano interventi chirurgici e appropriate terapie con applicazioni o somministrazioni di preparati semplici o composti. Vari autori come Artemidoro, Alieno, Ippocrate e Plinio, ma soprattutto la lettura delle esposizioni epigrafiche, scritte su tavole di argilla, dove venivano descritti gli interventi chirurgici, le pratiche igieniche o la terapia vera e propria, ce ne danno conferma. Ci viene tramandato l’uso, come detto, del miele, del vino, dell’aceto come solventi e disinfettanti; delle gemme di pino balsamiche e disinfettanti delle vie urinarie; della mandragora per i suoi alcaloidi: iosciamina, atropina, ipnoinducenti e con azione anche anestetica locale; e ancora l’aglio disinfettante, revulsivo e regolatore di patologie dismetaboliche; l’anice, il finocchio, l’origano, per le loro proprietà stimolanti le funzioni digestive, ma anche nei casi di catarri cronici; l’agnocasto, per i disturbi del ciclo mestruale causati da insufficienza del corpo luteo; il lattice di fico; la cicuta; la salvia.

Questa concezione di natura come entità divina da dover conoscere ha educato anche il semplice cittadino della Polis greca a ricercare un metodo adatto ad aumentare la Conoscenza, influenzò la Medicina e la Farmacia, che da espressione della divinità si trasformarono in Scienza, frutto di una fine Ricerca praticata con metodo sempre più razionale e che evolverà in una disciplina regolata da un codice deontologico che più tardi sarà perfezionato e stigmatizzato da Ippocrate.

L’aspetto da notare è che il cittadino greco nella sua crescita sociale e culturale, pur esclusivamente all’interno della sua Polis, ambisce ad un insieme di Valori, espressioni estetiche e servizi, che caratterizzano l’evoluzione della sua Comunità. La Sanità della città è considerata ora un diritto e l’educazione che viene trasmessa ai giovani, ispirata al concetto di “vigore e grazia”, tende a garantire quel benessere psicofisico, al fine di elevare la qualità della vita. È in questo più sviluppato contesto sociale che il Medico lascia il tempio asclepiadeo per essere presente nella sua scuola di formazione, al fine di portare la sua capacità professionale là dove ce ne sia bisogno. È un medico ma allo stesso tempo un sacerdote, ma anche farmacista, in quanto viaggia con quei farmaci preparati in precedenza e che più si utilizzano nella terapia.

Solo successivamente, in una Comunità ormai divenuta più ricca ed evoluta, più colta e quindi maggiormente esigente, il medico nella sua stanza inizia a ricevere il paziente per le cure e assieme al suo assistente, che possiamo definire “protofarmacista”, prepara farmaci semplici o composti per i quali la tecnica farmaceutica richiede un maggior tempo ed attenzione per la preparazione. Nascerà quindi la figura professionale che pian piano si approprierà di capacità tecniche sempre più specifiche e peculiari, ma anche di cultura scientifica propria, particolarmente nell’ambito della Fitoterapia essendo suo compito “erborizzare”, selezionare le erbe officinali, ricavarne la droga e custodirla nel più attento dei modi, per preparare successivamente le prescritte forme farmaceutiche: succhi, decotti, enoliti, oli e unguenti. Evolve quindi in un farmacognosta, cioè un conoscitore delle droghe officinali, delle loro qualità terapeutiche e della trasformazione in farmaci.

Si evolve quindi la figura del Farmacista dal cui etimo greco (“avvelenatore-guaritore”), mago, colui che sacrifica al dio.

La farmacia araba (Saydalah), ad esempio, come professione con un'entità separata dalla medicina fu riconosciuta nel IX secolo. Questo secolo vide non solo la fondazione e l'aumento del numero di farmacie private a Baghdad e dintorni, ma anche in altre città musulmane. Molti dei farmacisti che le gestivano erano abili nell'arte dello speziale e conoscevano bene la preparazione, la conservazione e lo stoccaggio dei farmaci. Anche gli ospedali patrocinati dallo Stato avevano i loro dispensari annessi a laboratori di produzione dove si preparavano sciroppi, elettuari, unguenti e altri preparati farmaceutici su scala relativamente grande.

Al-Razi fu il primo nell'Islam a scrivere un libro di medicina domestica, intitolato Man la Yahduruhu Teb, destinato al grande pubblico. Lo dedicò ai poveri, ai viaggiatori e ai cittadini comuni che potevano consultarlo per curare i disturbi più comuni quando il medico non era disponibile. Questo libro, naturalmente, è di particolare interesse per la storia della farmacia, poiché i libri sullo stesso tema hanno continuato a comparire e sono stati accettati dai lettori fino al secolo attuale. Nei suoi 36 capitoli, al-Razi descrive diete e farmaci che si possono trovare praticamente ovunque, nelle spezierie, al mercato, nelle cucine ben attrezzate e negli accampamenti militari. Pertanto, qualsiasi persona intelligente e matura può seguire le sue istruzioni e preparare le ricette giuste per ottenere buoni risultati. Alcune delle malattie trattate sono il mal di testa, il raffreddore, la tosse, la malinconia e le malattie degli occhi, delle orecchie e dello stomaco.

Come spesso accade, tanta ricchezza ed effervescenza aumentano le attese della Comunità, la quale ora desidera crescere sempre di più, aumentare il proprio livello culturale, migliorare la qualità della vita: si aprono più Scuole e Platone apre la sua Accademia. L’alimentazione dei cittadini migliora tanto che Ippocrate perplesso e scandalizzato osserverà che: “… c’è gente che mangia anche due volte al giorno …” il cittadino, prendendosi maggiormente cura di sé stesso, sente che la Salute è un suo diritto. Nella Medicina sino agli inizi del V sec. a.C. le guarigioni venivano considerate miracolose ed avvenivano per lo più in maniera naturale.

Oggi, noi protagonisti di una medicina che viene definita “tecnocratica”, il pensiero di Ippocrate rimane in quei medici che prima ancora di riconoscere la malattia, vogliono conoscere il malato per meglio giungere alla diagnosi e alla terapia.

LA FARMACOPEA IPPOCRATICA

Ippocrate di Kos (460-377 a. C.) è universalmente riconosciuto come il padre della medicina clinica, che si basa sull'osservazione di segni clinici e conclusioni razionali, e non su credenze religiose o magiche. Influenzato dalla teoria pitagorica secondo cui la natura è composta da quattro elementi (acqua, terra, vento e fuoco), Ippocrate riteneva che il corpo fosse costituito da quattro fluidi o "umori" (bile nera, bile gialla, flemma e sangue) e che lo squilibrio di questi si manifesta come malattia. Il ruolo del medico era quello di ristabilire l'equilibrio facilitando l'opera di guarigione della "natura benevola". Le basi cliniche ed etiche della pratica medica, molti termini clinici e il famoso giuramento hanno le loro origini nell'era di Ippocrate. Il giuramento racchiude i doveri pitagorici di giustizia, riservatezza, rispetto per gli insegnanti e solidarietà con i coetanei.

Ippocrate non fu un innovatore della tradizionale pratica asclepiadea, bensì un rivoluzionario. Egli eliminò l’idea di un medico considerato come artefice e legislatore dell’universo per il malato e portatore della parola degli dei, ma ne istituì la figura di uno più responsabile della sua diagnosi e della terapia, basato sui suoi studi e sulla sua passione. Sulla base degli insegnamenti di Socrate trasmise la partecipazione attiva del malato per comprendere meglio il suo stato di salute e comprendere la causa della sua malattia.

Ippocrate e i suoi seguaci disponevano di una propria Farmacopea, considerata come un elenco di droghe vegetali, oltre che rimedi di origine biologica e minerale. Di questi ne conosciamo il nome, ma non tutti riusciamo ad identificarli anche perché, essendo molte specie andate in estinzione con il passare degli anni, se ne è perso il ricordo della loro attività farmacologica. La scuola ippocratica riteneva che ogni farmaco, inteso come preparato curativo somministrato al malato, avesse una sua naturale azione verso un particolare tessuto o organo piuttosto che per un altro. La terapia principale divenne quindi personalizzata in base al paziente e alla malattia da curare, con il fine ultimo di eliminare l’agente causante la stessa. Gli aghi o la resina dei pini, ad esempio, con la loro azione balsamica, dopo avere prima somministrato nella fase iniziale della patologia (ad esempio tosse, bronchite) un infuso di petali di Papaver rhoeas, ipnoinducente e sedativo della tosse con azione bulbare, venivano prescritti anch’essi in infuso o per suffumigi, al fine di promuovere, in quanto balsamici, una azione risolutiva ed espettorante.

Le piante officinali e le rispettive droghe venivano colte in tempo balsamico venivano finemente preparate dai rhizotomoi, erboristi dell’epoca, e successivamente date al medico al che preparava, anche contemporaneamente, nel suo laboratorio il farmaco prescritto. Molti rhizotomoi preparavano di propria iniziativa prodotti di utilizzo universale o per patologie minori più ricorrenti. Alcuni di questi continuarono ad erborizzare, altri divennero assistenti del medico acquisendo così una specializzazione che li qualificherà “Farmacisti”, garanti del farmaco usato e della corretta tecnica di preparazione dello stesso.

La leggendaria e misteriosa origine di molti farmaci trova le sue radici nell’aspirazione dell’uomo di prolungare la vita, di esaltare o restituire la potenza giovanile. L’incessante ricerca di medicamenti, in grado di contrastare l’azione dei veleni e delle malattie, portò, sin dai tempi più antichi, alla formulazione di preparati “secreti” a base di piante medicamentose e, più tardi, all’impiego di sostanze inorganiche. Alcuni di essi acquisirono fama di mirabili rimedi dotati di magiche virtù e capaci di risolvere ogni tipo di affezione.

Così le preparazioni di Bezoar animale e minerale, quelle di polvere di un corno di Rinoceronte e, successivamente, da quella di cervo più facilmente reperibile, insieme ad altre centinaia di preparati furono i rimedi a cui gli spezieri si dedicarono.

Ogni malattia poteva essere curata con l’appropriato medicamento, ad esempio i Satirion erano preparati stimolatori d’amore. Sfruttando così la superstizione e la credulità e l’attenzione a storie di fantastiche guarigioni, iniziarono gli spacci di ricette misteriose e preparazioni stravaganti che crearono concorrenza ai veri e creativi spezieri. Per porre fine a ciò gli addetti all’arte della spezieria invitarono i Collegi dei Medici nel XV secolo a comporre i primi ricettari di Stato.

In essi tutte le nozioni utili a unificare la miriade di indicazioni circolanti sulla preparazione dei medicamenti erano diligentemente riportate e costituivano il riferimento per medici e spezieri.

L’invito fu accolto, per la prima volta, dall’inclita città di Firenze con la pubblicazione del Ricettario fiorentino, opera seguita e stampata dal famosissimo Collegio dei Medici e dei Consoli dell’Università degli Speziali della città il XXI Gennaio del 1498.

Il ricettario fiorentino divenne, in breve tempo, una specie di primo Codex medicamentarius nel quale le regole, cui attenersi per la preparazione dei farmaci nelle Officine Farmaceutiche, le ricette dei medicamenti da tenere in Farmacia per la tutela della salute pubblica e le guide ai medici e ai farmacisti, erano garantite dall’autorità.

Dopo la prima edizione del 1498, il ricettario fu pubblicato con regolarità e ogni edizione presentò adeguamenti nelle ricette e indicazioni. Nel periodo rinascimentale, la medicina si fondava principalmente sul “sistema Ippocratico-Galenico” dell’età classica con alcune integrazioni scaturite dagli apporti medioevali trasmessi attraverso la cultura islamica. Secondo tale sistema la malattia era determinata, per cause macro e microcosmiche, dalla discrasia dei quattro umori (sangue, muco o flemma, bile gialla, bile nera) presenti nell’organismo umano in equilibrata miscela nello stato di salute. Per il mantenimento o il recupero dello stato di salute, era pertanto, necessario attenersi o ricorrere a determinate regole di vita da osservare giornalmente secondo uno stile in cui gli alimenti assumevano un ruolo fondamentale esercitando, essi stessi, non solo le funzioni nutritive, ma anche quelle terapeutiche. Nello stato di malattia era necessario eliminare gli umori alterati e ciò era raggiungibile con l’impiego di medicamenti diaforetici, purganti, carminativi, diuretici e revulsivi facilmente ottenuti da piante medicinali. La materia medica di Dioscoride rimase a lungo la fonte primaria per lo studio e le preparazioni di tali medicamenti che, all’incirca nel XII secolo, trovò ampio sviluppo ed applicazione presso i conventi e gli eremi dove i monaci crearono gli Orti dei Semplici e compilarono gli erbari, tipiche raccolte di piante secche.

Le “letture dei semplici” o lecturae simplicium, si propongono di classificare illustrare l’origine, la raccolta, la preparazione, i metodi di conservazione e l’attività dei medicamenti naturali. Poiché in tale periodo la maggior parte dei medicamenti appartiene al regno vegetale, la lettura dei semplici è sostanzialmente, anche se non esclusivamente, botanica. Semplici sono quindi le preparazioni ottenute utilizzando erbe medicinali. La figura del lettore dei semplici può essere considerata, ovviamente con le limitazioni del caso, la progenitrice dei farmacologi, di farmacognosti, dei tecnici e dei chimici farmaceutici. All’inizio del XIII secolo sorgono in Italia le prime università, si verifica un distacco dai principi assoluti dell’epoca e vengono a manifestarsi principi medici laici più liberi. Nel corso del XIII e del XIV secolo dalla “materia medica tossicologica” nasce la “galenica” che successivamente sarà chiamata “tecnica farmaceutica” e che assume il compito di mettere appunto il modo di preparare le varie formulazioni medicamentose, perché siano adatte ad essere somministrate nella forma più opportuna. È in questo periodo che, secondo alcuni, nasce in Italia la figura del Farmacista chiamato anche Speziale fino al 1100 e non distinta da quella del medico, che accentrava ed esercitava entrambe le professioni.

L’EVOLUZIONE DELLA FARMACOPEA

Con la seconda metà del XVI secolo iniziarono ad apparire alcune formule per la preparazione dei medicamenti a base di sostanze inorganiche. I primi preparati, che il medico Teofrasto Bombast von Hohenheim, latinizzato Paracelso, aveva da poco inventato, erano basati sui sali dei metalli. Quanto era stato assicurato dai testi sacri dell’arte della composizione dei medicamenti, come quelli di Mesue e dei due Nicolò (l’Alessandrino e il Salernitano) e dei più famosi medici arabi come Avicenna, fu a poco a poco abbandonato.

L’arte Medica e della Spezieria cambiarono con l’avvento della chimica spagirica prologo alla rivoluzione delle preparazioni farmaceutiche. Il medico napoletano Giuseppe Donzelli fu precorritore del successo dei medicamenti inorganici, i quali divennero sempre più usati di quelli galenici. I preparati a base di metalli furono creduti medicalmente capaci di curare un numero infinito di mali e le preparazioni servirono per ridonare vitalità e giovinezza. Un metallo largamente impiegato dalla spezieria spagirica fu l’Antimonio. Dopo l’Antimonio, l’Arsenico fu l’altro metallo più utilizzato in farmacia. Il suo impiego era dedicato alla pulizia delle ulcere e delle ferite.

Benché sia un’attività storica, la galenica oggi è tutt’altro che superata, ma si afferma come soluzione valida ed efficace in tante situazioni. Essa può rispondere a esigenze di vario tipo: attraverso i preparati galenici, infatti, allestiti con competenza e a norma di legge, si riesce anche a far fronte a eventuali emergenze, come avvenuto nei primi mesi di pandemia in cui mancavano i gel disinfettanti, che in breve tempo le farmacie riuscirono a produrre e a mettere a disposizione dei cittadini e come avviene ancora in caso di carenza e/o indisponibilità dei medicinali. Auguro a questo libro di don Marcello Stanzione e della dottoressa Elisa Giorgio sulle spezie utilizzate da santa Ildegarda nella sua terapeutica farmacologica tutto il successo che merita.

 

 

Stefania  FACCENDA  è  nata ad Eboli  il 20 Dicembre 1988 , laureata in Farmacia e Farmacia industriale presso l’Università degli studi di Salerno, si è occupata nel suo lavoro di tesi della formazione della figura professionale del farmacista alla luce dei cambiamenti epocali che sta vivendo tale professionista nell’ambito della tutela della salute pubblica. Seguendo il modello americano  T-shaped professional , ha analizzato l’importanza per il professionista sanitario, dell’acquisizione di competenze trasversali che forniscono al farmacista una marcia in più nel pieno svolgimento della professione. 

 

 

 
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