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I Papi e fatima - Il segreto di Maria
PAPA LEONE XIV: UN PONTEFICE SOTTO IL PATROCINIO DI SAN MICHELE? Di don Marcello Stanzione PDF Stampa E-mail
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venerdì 27 giugno 2025

PAPA LEONE XIV: UN PONTEFICE SOTTO IL PATROCINIO DI SAN MICHELE?Il giorno 8 maggio 2025 il cardinale americano Prevost, già priore generale degli agostiniani, è stato eletto papa e ha preso il nome di Leone XIV. Il novello papa nel suo primo discorso ha ricordato che quel giorno si festeggiava la Madonna del Rosario di Pompei. Il papa ha però dimenticato di sottolineare pure che l’8 maggio in tantissimi luoghi si festeggiavano anche le apparizioni dell’arcangelo Michele al monte Gargano in Puglia. Il Beato Bartolo Longo, che sarà canonizzato dallo stesso Leone XIV in data da stabilire, ebbe un sincero e filiale amore verso la Vergine Maria, venerata in Pompei con il titolo del SS. Rosario, e nutrì una vera ed autentica devozione verso l’Arcangelo Michele che dichiarò essere “il naturale protettore” della Valle di Pompei e delle opere pompeiane. ...

 

Il beato Longo volle che 2 volte l’anno si facesse la supplica in modo solenne alla Vergine del Rosario di Pompei: la prima domenica di ottobre che è il mese del rosario e l’8 maggio che è la festa dell’apparizione dell’arcangelo san Michele al Monte Gargano nelle Puglie, regione di cui il Longo era originario. E’ lo stesso Bartolo Longo che, nel 1907, in una lettera indirizzata al P. Alberti Lepidi, maestro del sacro Palazzo Apostolico in Roma, ci dà la spiegazione della sua devozione all’Arcangelo Michele (cf. anche il cap. VIII del libro di B. Longo Storia del Santuario di Pompei, Edizione del 1954). Riportiamo il testo di Bartolo Longo del 1907:

“Perché scegliemmo S. Michele a Difensore e Custode del Santuario di Pompei?

Sin senza ragione sin dal cominciamento del Tempio tra tutti i beati Comprensori del cielo, noi prescegliemmo S. Michele Arcangelo a singolare Custode e Difensore delle opere di Dio nella Valle Pompeiana. E scegliemmo il giorno 8 di maggio, dedicato a San Michele, per porre la prima pietra del Santuario di Maria in Valle di Pompei. Si legge nelle Scritture che Iddio ha annunziato per mezzo di questo eccelso Spirito il suo augusto Nome, quando sul Sinai per bocca di Michele dettò la legge e disse: Io sono il Signore Dio tuo. Ed inoltre Dio ha comunicato a questo Principe la sua suprema autorità, a lui affidando la difesa delle città, dei regni e dei popoli. Michele per fermo protesse il popolo ebreo e quando viveva felice nella patria, e quando si pose in cammino verso la terra promessa. Apparve vestito in abito bianco, armato di corazza d’oro, con lancia in mano, per capitare l’esercito di Giuda Maccabeo. Venne Egli deputato da Dio a distruggere le schiere di Sennacheribbo, a liberare il popolo ebreo dalla schiavitù babilonese, ad occultare il sepolcro di Mosè, acciocché il popolo ebreo non rendesse un culto d’idolatria al corpo di quel famoso ispirato Condottiero. Apparve Egli a Giosuè sul Giordano e gli disse: “Io sono il Principe dell’esercito del Signore: Sum princeps exercitud Domini; e vengo in tuo soccorso: sarò ai tuoi fianchi, né ti lascerò. Gerico e le altre città, benché forti, saranno una parte delle tue conquiste; e molti re, che vedrai ai piedi tuoi, faranno il più bel trionfo delle tue vittorie”. Michele fu il difensore della Chiesa contro tutti gli assalti del demonio. Si fece vedere all’Imperatore Costantino, e gli disse: - Io sono il Principe delle milizie celesti ed il Protettore dei Cristiani: io ti ho soccorso contro i tiranni nemici della Chiesa: prosegui a sostenere le ragioni di Cristo, ed io ti sosterrò le tue. Apparve a Carlo Magno, come afferma il Baronio, in una famosa guerra contro i Sassoni. Egli fece riportare a Ramire, re delle Spagne, una strepitosa vittoria sopra i Mori, uccidendone ben settantamila, e prendendo prigioniero il re Abenaja. Onde la Chiesa, dopo mille e mille altri prodigi ottenuti, chiama S. Michele Protettore e Dinfesore dei cristiani. Eum custodem et patronum Dei veneratùr Ecclesia. Ultimamente, il Sommo Pontefice Leone XII a San Michele affidava la custodia di tutta la Chiesa, e a tutti i sacerdoti imponeva di recitare, dopo il Sacrificio divino, quella preghiera bellissima: S.Michele Arcangelo, difendici nella battaglia, contro la nequizia e le insidie del diavolo sii soccorso. E tu, Principe della milizia celeste, con divina possanza ricaccia nell’inferno Satana e gli altri maligni, che a perdizione delle anime si aggirano pel mondo. Se dunque S. Michele è il custode di tutta la Chiesa e il difensore di tutte le grandi Opere divine, non era conveniente che a Lui fosse affidata la difesa di questa grande Opera di Dio nell’epoca moderna, che è il Santuario di Pompei?

L’apparizione di S. Michele sul Gauro (Faito) e l’era di misericordia mariana a Valle di Pompei

Ma un’altra ragione, diremo, storica e provvidenziale ci spinse a introdurre il culto del possente Arcangelo nella Basilica Pompeiana, la memoria cioè di una celebre apparizione. Non è insolita l’apparizione di S. Michele sulla terra. Si è degnato per lo più di apparire sulle alte vette dei monti. Sceglie i monti, quasi per mostrarsi librato fra la terra e il cielo, sfolgorando con lo sguardo fulmineo ogni esercito nemico. Or di rincontro al Santuario di Pompei si eleva, sopra di Castellammare di Stabia, il monte Gauro, il quale, rannodandosi cogli estremi della catena degli Appennini, segna l’ultima chiusura di questa Valle del Vesuvio. La sua cima termina in una vetta acuta, e questa vetta è ripartita in tre punte, a somiglianza delle prime tre dita della nostra mano. Era il secolo settimo della Chiesa. A Vescovo di Castellammare era un Santo, S. Catello, il quale usava sovente di notte raccogliersi sui dirupi di quel monte insieme coll’Abate di Sorrento, S. Antonino, a pregare. Una notte, mentre era immerso nell’orazione, in una gran luce gli apparve l’Arcangelo S. Michele e, con voce maestosa insieme e soave, gl’impose che edificasse un tempio in suo onore là dove avrebbe dato segnale con una fiamma. E la fiamma apparve subito sulla più alta delle tre punte che sormontano il Gauro. Il Santo Vescovo immantinente, col cuore ardente dell’entusiasmo dei Santi, si accinse all’opera. La compì dopo molte contrarietà sostenute, e ingiurie e calunnie, onde soffrì anche il carcere. (Vedi Lezioni dell’Uffizio di S. Catello nel di delle sua festa, 19 di Gennaio).

Qual era il fine dell’apparizione del grandioso Arcangelo sul Faito?

Vi è tutta ragione di credere che il Signore abbia fatto apparire il suo fedele Ministro per preparare tanti secoli innanzi il regno di Maria in questi luoghi, abbandonati nei tempi antichi all’impero del Demonio e della colpa. Il portentoso Arcangelo venne a scacciare Satana dalla terra dei pagani, sulla quale doveva sorgere un giorno, e propriamente ai dì nostri, una novella era di grazia, una luce nuova di misericordia. Per tale ragione sin dal 1876 proponemmo al santo Vescovo di Nola, Monsignor Formisano, che la prima pietra per le fondamenta di questo nuovo tempio di Maria si ponesse proprio il giorno 8 maggio, perché quel giorno ricordava l’apparizione in queste contrade dell’eccelso Arcangelo S. Michele. Pel volgere incessante di trentun anno, sempre nel giorno 8 di maggio, abbiamo invocato con fede il primo Angelo del Cielo, perché si unisse con noi per festeggiare la comune Regina. Ed in ciascun anno, in quel giorno 8 di maggio, noi ricordiamo due solenni epifanie. Il maggior Principe del cielo, che ha nome meraviglioso, si manifestava alla terra, scegliendo a spettacolo dei suoi prodigi la vetta di un monte. La più grande Regina che mai abbia avuto e cielo e terra, si manifestava anch’Essa ai gementi figliuoli di Eva, scegliendo a centro dei suoi portenti un’umile Valle, la Valle di una sepolta città pagana. Seguerà adunque per noi quel giorni due solenni trionfi: Il trionfo del più maestoso Angelo del Cielo, di quel Principe grande, come lo chiama Daniele, prima della creazione dell’uomo, con l’invitta spada della sua fede, della sua umiltà e della sua mansuetudine, difende, l’onore dell’Altissimo e dell’Immacolata Donna che doveva nel tempo essere la Madre del verbo di Dio fatto uomo. Ed insieme il trionfo di Colei che è la Regina della Misericordia, e che nell’epoca moderna doveva nella Valle di Pompei riportare su Satana nuove e stupende vittorie”.

Papa Leone XIV nel suo nome si ispira a due grandissimi pontefici di nome Leone entrambi devotissimi di san Michele.

Il papa Leone I fu acclamato Magno cioè il grande per aver saputo affermare con energia il primato della sede petrina proprio in un momento molto complesso e difficile per le sorti del Cattolicesimo. Gli valsero tale riconoscimento anche le capacità diplomatiche con cui riuscì a placare le tensioni all’interno della Chiesa e la fermezza con cui fronteggiò condottieri sanguinari e temibili come Attila, re degli unni, dal papa convinto a ritirarsi dall’Italia e a tornare in Pannonia, e poi Genserico, capo dei Vandali da cui almeno riuscì ad ottenere che non ci sarebbero state stragi di cittadini inermi, che le basiliche sarebbero state risparmiate dal saccheggio e che la Città eterna non sarebbe stata incendiata.  Secondo il Liber pontificalis era di origine toscana, probabilmente di Volterra. Iniziò la carriera ecclesiastica a Roma al tempo di papa Celestino I, raggiungendo una posizione eminente in seno al clero romano; fu arcidiacono sotto Sisto III. Mentre si trovava in Gallia alla guida di una legazione romana che doveva risolvere il conflitto fra il patrizio Ezio e il prefetto del pretorio Albino fu eletto papa dal clero, dalla nobiltà e dal popolo.  Il V secolo segna il momento più critico dell’Impero Romano che entra in una fase di piena decadenza, sgretolandosi sotto i colpi dell’invasore barbaro. Gli ultimi imperatori, deboli e inetti, delegano l’amministrazione a prefetti, ministri e funzionari corrotti, consegnando di fatto il potere nelle loro mani. L’esercito romano è ormai formato quasi esclusivamente da mercenari, poco motivati e non più forgiati dalla dura disciplina militare dei secoli precedenti. Il lungo pontificato di papa Leone I durò 21 anni, dal 29 settembre del 440 al 10 novembre del 461, giorno della sua morte. In questo periodo si avvicendarono ben quattro Imperatori: Avito, Valentiniano III, Petronio Massimo e Maggiorano. L’idea fondamentale che Leone portò avanti, e che gli valse il titolo di Magno, fu quella della costruzione della centralità di Roma e dell’Episcopato Universale. Oltre alla crisi politica derivante dall’immensa macchina imperiale ormai in disfacimento, imperversavano le controversie teologiche sulle due nature, umana e divina del Cristo. Ecco che quindi il papa Leone I dovette far fronte ad una doppia minaccia, quella politica ad Occidente, e quella teologica ad Oriente. Custode e difensore della cristianità uscita dal Concilio di Calcedonia, le sue più strenue battaglie le combatté contro l’eresia, in particolare contro il Priscillanismo, ancora vivo in Spagna, contro il monofisismo propugnato dal monaco eresiarca Eutiche nel corso del Concilio di Efeso e contro quella che passa come la madre di tutte le eresie: il Manicheismo.  Nel 452 Attila espugna Aquileia, devasta il Veneto e si accampa sulla sponda orientale del Fiume Mincio. Il Mincio è un affluente di sinistra del Po. Esce dal lago di Garda e raggiunge la città di Mantova dove si allarga formando tre piccoli laghi. Se Attila attraversa il Mincio, tutta la pianura padana è sua. Ma Attila non ha fretta. La notizia dell’invasione degli Unni arriva sino a Roma. L’imperatore Valentiniano è a Costantinopoli. Le legioni romane sono in fase di smantellamento. Nessuno può difendere l’Italia e la città eterna. Vescovo di Roma è dal 440, papa Leone. Un papa santo e forte, che verrà ricordato nella storia con il titolo di Grande o Magno. Leone decide di affrontare Attila. Per tre giorni il papa prega e digiuna e poi consacra Roma a San Michele Arcangelo. Poi chiama i diaconi che lo aiutano nel governo della diocesi di Roma e dice loro: “Chi vuole seguirmi mi segua”. Sette diaconi si uniscono a lui per accompagnarlo. Papa Leone si porta, cavalcando a tappe forzate, fino alla sponda destra del Mincio. Dall’altra parte del fiume bivaccano decine di migliaia di Unni. Leone si accampa sotto una tenda e guarda i falò dell’altra parte del fiume. Sente le voci dei barbari arrivare fino a lui. Sono mezzi ubriachi. Dice papa Leone al diacono Luciano: “Domani mattina vestiti con i paramenti sacri, attraverseremo il fiume e andremo a parlare con questo Attila. Spero mi vorrà ascoltare”. Dice il diacono Luciano: “Padre. Quest’uomo sicuramente ti ucciderà. Dover passa lui non cresce più neppure un filo d’erba. Sicuramente ci trafiggerà il cuore con il suo pugnale. Poi appenderà le nostre teste, come trofei all’entrate della sua tenda”. “Confidiamo in Dio – dice papa Leone sorridendo -. Certamente Attila non è più forte del nostro Dio che la Bibbia chiama Signore degli eserciti. Ora preghiamo”. La mattina seguente papa Leone e i sette diaconi attraversano il fiume e si presentano di fronte all’accampamento di Attila. Scendono da cavallo. Papa Leone e i diaconi indossano i solenni paramenti liturgici. Subito il gruppetto è circondato dai guerrieri, ma anche da donne e bambini. Gli unni non hanno mai visto uomini vestiti in quello strano modo. Gli Unni indossano pelli di animali. Portano lunghi capelli, e a volte raccolti in trecce. Parlano con suoni gutturali, gridano come se debbano sempre farsi sentire a un miglio di distanza. Le donne e i bambini si avvicinano e cominciano a tirargli le vesti e la barba. Papa leone rimane immobile come una statua. Il grande condottiero Attila sta dormendo. Il suo aiutante di campo, un certo, Uruk, lo va a svegliare. Gli grida: “Alzati, o re! Ci sono qui alcuni strani uomini. Sembra che vogliano parlarti!”. Attila che dorme sempre vestito e con il pugnale sotto la pelle di orso che gli serve da giaciglio, si lava ed esce dalla tenda. Si stira e si stropiccia gli occhi. Sbadiglia, afferra l’arco e la faretra colma di frecce che stanno appesi davanti alla sua tenda e si avvicina a papa Leone e ai diaconi. Subito i guerrieri, le donne e i bambini gli lasciano il passo. Attila è alto, massiccio e tutto muscoli. I capelli nerissimi gli scendono sopra le spalle. Gli occhi a mandorla sembrano trafiggere la persona su cui sono fissati. Attila dice a Uruk: “Chiama il nostro interprete. Costoro parlano latino. Sentiamo cosa vogliono. Non si deve negare che hanno avuto coraggio ad arrivare fino a qui. Per adesso rispettiamoli. Abbiamo tutto il tempo per divertirci poi con loro. I cavalli che hanno mi sembrano buoni. I loro abiti sono scomodi”. Per mezzo dell’interprete, Attila chiede a Leone: “Chi sei e cosa voi?” Parla chiaro e svelto. Mi hai svegliato dal sonno e già questo è un motivo per ficcarti una freccia nel cuore”. Papa Leone, per niente intimorito, dice: “Parlerò chiaro. In nome del mio Dio, ti prego. Torna indietro. Abbandona l’Italia e lascia liberi i prigionieri che hai preso in questi ultimi giorni”. Gli Unni, dopo aver sentito la traduzione delle parole di papa Leone, scoppiano in una risata. Cominciano a gridare, a saltare dalla gioia. Pensano che subito Attila ordinerà loro di avventarsi su quegli sprovveduti. Tirano fuori dalle cinture i pugnali. Ma Attila dice ai suoi: “Oggi stesso lasciamo l’accampamento, Ci ritiriamo”. Papa Leone e i diaconi montano a cavallo e si allontano. Dice Uruk ad Attila, flagello di Dio: “Perché ti sei comportato da vile? Bastava una tua parola per massacrare quei signori!”. “Ho agito così nel mio e vostro interesse. Dietro a quell’uomo ho visto un fortissimo alto guerriero che, con la spada sguainata, si è rivolto a me con queste parole: “ Se non ubbidirai a questo sacerdote, perirai tu e tutto il tuo esercito”. E l’incredibile si produce: Attila si lascia sedurre dal bottino in oro che gli offre il papa ed accetta di risparmiare Roma.

In ringraziamento una chiesa è innalzata all’Arcangelo sulla Via Salaria, all’uscita di Roma, sotto il nome di San Michele e dei Santi Angeli (Non resta più nulla oggi della basilica di San Michele sulla Via Salaria, salvo la festa della sua dedicazione, il 29 settembre, che è divenuta, poi, la festa universale, cioè per tutta la Chiesa Cattolica di San Michele). Non è che un inizio di un culto all’Arcangelo che i romani lungo i secoli sperimenteranno in un modo sempre più forte.

 L’8 maggio 2025 prima della benedizione del novello papa Leone IV c’è stata una breve litania dei santi in latino con l’invocazione a san Michele. Una importante funzione di Michele arcangelo è quella di Protet­tore della Chiesa e di guerriero celeste contro i demoni. La lotta di Michele contro gli angeli ribelli è descritta nel libro dell'Apocalisse e a questo riguardo San Tommaso d'Aquino ha scritto: "San Michele è l'alito dello Spirito del Redentore, che, alla fine del mondo, combatterà e distruggerà l'Anticristo come fece con Lucifero all'inizio". Molte persone, oggi molto anziane, ricordano che prima della riforma liturgica del Conci­lio Vaticano II, il celebrante e i fedeli si mettevano in ginocchio alla fine di ogni messa per recitare una preghiera alla Madonna ed una al Principe degli Angeli scritta dal papa Leone XIII che diceva: "San Michele Arcangelo, difendici nella battaglia, contro le malvagità e le insidie del demonio sii nostro aiuto. Ti preghiamo supplici: che il Signore lo comandi! E tu, principe delle milizie celesti, con la potenza che ti viene da Dio, ricaccia nell'inferno Satana e gli altri spiriti maligni che si aggirano per- il mondo a perdizione delle anime". Uno dei segretari di Leone XIII, il padre Domenico Pecheninno, scrisse sull'ori­gine di tale preghiera a San Michele: "Non ricordo l'anno preciso. Un mattino il grande pontefice Leone XIII aveva celebrato la Santa Messa e stava assistendone a un'altra di ringraziamento, come al solito. Ad un tratto lo si vide drizzare energicamente il capo, poi fissare intensamente qualche cosa, al di sopra del capo del celebrante. Guardava fisso, senza batter palpebre, ma con un senso di terrore e di meraviglia, cam­biando colori e lineamenti. Qualcosa di strano, di grande, avveniva in lui. Finalmente, come rinvenendo in sé, dando un leggero ma energico tocco di mano, si alza. Lo si vede avviarsi verso il suo studio privato. I familiari lo seguono con premura e ansiosi gli dicono sommessamente: Santo Padre, non si sente bene? Ha bisogno di qualcosa? Risponde: Niente, niente. Dopo una mezz'ora fa chiamare il segretario della Congregazione dei Riti e, porgendogli un foglio, gli ingiunge di farlo stampare e di farlo avere a tutti gli Ordinari del mondo. Che cosa conteneva? La preghiera che recitiamo al termine della invocazione al Principe delle milizie celesti, implorando Dio che ricacci Satana all'Inferno. Il cardinale Nasalli Rocca a tal riguardo testimoniò: Leone XIII scrisse egli stesso quella preghiera. La frase "i demoni che si aggira­no per il mondo a perdizione delle anime" ha una spiegazione storica, a noi più volte riferita dal suo segretario particolare, mons. Rinaldo Angeli. Leone ebbe veramente la visione degli spiriti infernali che si addensavano sulla città eterna, e da quella esperienza venne la preghiera che volle far recitare in tutta la Chiesa. Non solo, ma scrisse di sua mano uno speciale Esorcismo contenuto nel Rituale Romano. Questi esorcismi egli raccomandava ai vescovi e ai sacerdoti di recitarli spesso nelle loro diocesi e par­rocchie. Egli lo recitava spessissimo durante il giorno".

È triste dover constatare che proprio oggi, nel primo trentennio terzo Millennio, in un tempo in cui è più che mai urgente fare appello all'Arcangelo Michele in difesa della Chiesa contro i nemici diabolici all'interno o all'esterno di essa, vi è un notevole decadimento della devozione a San Michele a livello dell’alta gerarchia della Chiesa mentre il popolo “sano” veramente cattolico è sempre devoto sia dell’Arcangelo che della Madonna.

 Nel 1987 Giovanni Paolo II in visita al Santuario di San Michele Arcangelo sul monte Gargano ebbe a dire: "Questa lotta contro il demonio, che contraddistingue la figura dell'Ar­cangelo Michele, è attuale anche oggi, perché il demonio è tuttora vivo e operante nel mondo. In questa lotta, l'Arcangelo Michele è a fianco della Chiesa per difenderla contro le tentazioni del secolo, per aiutare i credenti a resistere al demonio che come leone ruggente va in giro cercando chi divorare".

Nel 1994 il Papa polacco ebbe a dire riguardo alla famosa preghiera a San Michele: "Anche se oggi questa preghiera non viene più recitata al termine della celebrazione eucaristica, invito tutti a non dimenticarla, ma a recitarla per ottenere di essere aiutati nella battaglia contro le forze delle tenebre e contro lo spirito di questa mondo". Ci auguriamo che papa Leone XIV possa rimettere di nuovo obbligatoriamente la recita dell’invocazione di Leone XIII (a cui egli dice di ispirarsi) al Principe delle milizie angeliche. Se lo facesse sarebbe un enorme bene per la Chiesa e anche per la sua persona.

 

 

 
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