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I Papi e fatima - Il segreto di Maria
PAPA GREGORIO I MAGNO E SAN MICHELE Di don Marcello Stanzione PDF Stampa E-mail
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venerdì 27 giugno 2025

PAPA GREGORIO I MAGNO E SAN MICHELEPrima di diventare il grande e santo papa Gregorio I, il futuro pontefice era l’unico figlio di un senatore romano e l’erede di una sontuosa proprietà sul monte Celio, a Roma, vicino al tempio ed ai giardini dell’imperatore Claudio. Fintanto che suo padre Gordianus visse, Gregorio, al fine di non contristarlo nella sua vecchiaia, non gli confessò che aspirava allo stato religioso, proseguì i suoi studi di diritto, intraprese una carriera politica e divenne, giovane ancora, prefetto di Roma, alta distinzione più che onorifica in quanto investita di un’autorità regale. Alla morte di suo padre, nel 575, Gregorio abbandonò tutte queste vanità mondane che non aveva mai cercate. Trasformò la sua casa del Celio in un monastero benedettino, posto sotto il titolo di Sant’Andrea, e vi si ritirò al fine di vivervi come semplice monaco (E’ oggi noto come la chiesa San Gregorio Magno). ...

 

Gregorio aveva l’abitudine, ogni giorno, di ricevere dodici poveri della città che egli nutriva, servendoli lui stesso nel triclinium della sua dimora, su di una vasta tavola in pietra. Ora, un mezzogiorno, Gregorio constatò che anziché dodici miseri essi erano tredici nel presentarsi. Non avendo il cuore di rifiutare l’elemosina ad un bisognoso, egli lo fece entrare con gli altri, lo installò, e se ne andò a vedere nelle cucine come saziare questo ospite supplementare. Ma, come ritornò, il tredicesimo mendicante, spogliando i suoi stracci e la sua aria miserevole, si manifestò in tutta la sua gloria : era un Angelo (La Tavola del triclinium esiste ancora oggi nella cappella Santa Barbara dove un affresco illustra questa apparizione angelica). Gregorio ebbe così la prova della giustezza delle parole di San Paolo, quando afferma che certi fratelli avevano creduto di soccorrere dei viaggiatori o dei mendicanti e che, in realtà, essi avevano offerto ospitalità a degli Spiriti beati...

Bisogna meravigliarsi allora se, divenuto papa, egli collegò una cura particolare alle questioni di angelologia e se il suo pontificato si aprì con la famosa apparizione di San Michele nel Mausoleo di Adriano? Nel febbraio del 590, Roma passa di disgrazia in disgrazia. Tutto ha avuto inizio con una piena del Tevere, una piena così irruente e forte che ha trasportato numerosi monumenti antichi, fin là risparmiati dai Barbari. I granai pubblici sono crollati, annientando le riserve di grano e facendo temere la fame. Interi quartieri della Città sono sott’acqua. Ancor più grave, l’inondazione ha sorpreso molti animali, che sono periti annegati. Il fiume deposita sulla riva delle carogne in putrefazione: pecore, capre, vacche, ma, soprattutto, serpenti, ed anche una specie di lucertola gigante o di coccodrillo uscito non si sa da dove e la cui vita ha gettato un santo fragore nel popolino provato e superstizioso. La calata delle acque coincide con i primi calori primaverili e tutte queste carcasse restano ad imputridire al sole nell’invaso. Quello che fatalmente deve arrivare giunge: queste immondizie putrefatte scatenano un’epidemia. Le vittime si contano ben presto a centinaia, ad iniziare dal papa stesso, Pelagio II. I Romani, disperati, si voltano allora verso uno dei più vicini collaboratori del defunto pontefice, l’abate di Sant’Andrea del Celio, Gregorio. Essi lo supplicano di accettare la sede di San Pietro, cosa che a Gregorio, uomo di grandi capacità ma di immensa modestia, ripugna fortemente. Quello che interessa di più Roma, in quell’istante, è che l’abate di Sant’Andrea ha la reputazione ben salda di essere un santo, un visionario ed un taumaturgo in contatto permanente col Cielo: l’uomo della situazione in questo periodo di crisi che traduce certamente la collera celeste. Gregorio, sperando ancora di sfuggire alla tiara, chiede che la sua elezione sia ratificata dal Basileus Maurizio; Costantinopoli è lontana, è del tempo guadagnato. Ma egli non può restare sordo alle suppliche ed alle angosce della popolazione. Così decide un digiuno espiatorio, un triduo di preghiere, ed una grande processione di riparazione alla quale sono invitati tutti i Romani validi, come pure gli ammalati poiché ottanta fedeli durante la processione, già colpiti dal flagello, crolleranno in piena strada...

Gregorio cammina in testa al corteo, che s’ingrossa man mano che passa di quartiere in quartiere e si dirige verso la basilica della Madonna della Neve (Oggi Santa Maria Maggiore). Il futuro Papa brandisce al di sopra delle teste una delle reliquie più venerate di Roma: una immagine della Vergine  di cui la tradizione dice che sia stata dipinta da San Luca (E’ la ragione per la quale il Medio Evo onorava l’Evangelista come patrono dei pittori). La folla, dolente e raccolta, avanza cantando attraverso le strade sporche, evitando i cadaveri pestiferi abbandonati sulla soglia delle case deserte. Ora, la processione costeggia il fiume, causa di ogni male, e quasi a secco, da dove sale uno scoraggiante odore di invaso e di carcasse di bestie crepate. Sulla riva di fronte, tra il Vaticano, dove Costantino fece innalzare una basilica al posto del Circo di Nerone, luogo del martirio di San Pietro, ed il popoloso quartiere di Trastevere, si drizza un monumento antico, intatto: il Mausoleo dell’imperatore Adriano. Certo, i bassorilievi ed i marmi sono spariti, ma l’essenziale dell’edificio, un’alta torre massiccia, sfida il tempo. Nel calore che sale con il giorno, la processione avanza. I canti si fanno più deboli mentre la fatica aumenta. Ed ecco che delle voci si fanno sentire sulla riva opposta, come se un’altra processione, più fornita e più disposta, venisse incontro a Gregorio ed ai suoi fedeli spossati. Esse cantavano il “Regina Caeli”. Vanamente, la folla scruta la riva, inondata di sole: non c’è traccia di presenza umana li fronte. L’Antifona pasquale della Vergine non è lunga e, come le voci misteriose giungono all’ultimo verso, Ora pro nobis Deum, il mausoleo sembra infiammarsi. Un chiarore fiammeggiante aureola l’alto della torre; al centro di questo chiarore sta un giovane rivestito d’una armatura guerresca. Nella sua mano destra, egli tiene un gladio snudato. E, lentamente, egli lo ripone nel fodero, prima di sorridere e di scomparire. Gregorio non esita sull’identità di questo visitatore celeste; è San Michele, venuto a significare che Dio perdona al Suo popolo, grazie all’intercessione della Vergine. La storicità degli eventi è incontestabile, un testimone oculare li ha attestati alcune settimane solamente dopo il loro svolgimento. In effetti, in quell’inizio dell’anno 590, il vescovo di Tours, Gregorio, desideroso di acquisire nuove reliquie per la sua cattedrale, ha inviato a Roma uno dei suoi diaconi. Il clero di Tours ha visto tutto, tutto rapportato nel dettaglio al suo prelato che tiene una cronaca, tanto dell’attualità quanto del passato recente (San Gregorio di Tours, Storia dei Franchi, Libro X). Tutto, meno l’apparizione dell’Arcangelo, che pure avrebbe colmato di gioia Gregorio, appassionato amante dei miracoli...

 L’Arcangelo aveva riposto la sua spada scintillante nel fodero, a voler significare che il corruccio celeste era stato calmato dalle suppliche, e che Roma stava per essere liberata dall’orribile epidemia. In effetti, da quel momento la peste non fece più nessuna vittima.

Questa apparizione dell’Arcangelo colmò il cuore del Pontefice e del suo popolo d’un santo rispetto e di una pia riconoscenza. Cadendo in ginocchio, ed alzando gli occhi al cielo, San Gregorio ispirato gridò: Prega per noi Iddio alleluia! Pregate per noi, alleluia! ripeté la folla con tanto fervore quanto con entusiasmo. La processione finì con un cantico di azioni di grazie.

Non bisogna dunque guardare l’apparizione come leggendaria. Gregorio, abate di Sant’Andrea al Celio, che stava per diventare il grande papa Gregorio I, era un santo ed un mistico. La sua buona fede rimane insospettabile. Egli era aduso alle visioni angeliche ed era uno specialista in angelologia. Lui, se non anche il resto della folla, fu certo di avere visto l’Arcangelo, come lo affermò molto presto in un Breve pontificio; vi riconosceva il carattere miracoloso dell’apparizione, che corrispondeva alla fine immediata dell’epidemia. In segno di riconoscenza, Gregorio Magno aveva fatto innalzare nel Mausoleo di Adriano, ribattezzato Castel Sant’Angelo, una replica esatta della Basilica sotterranea del Monte Gargano e, sulla sommità della torre, la gigantesca statua di San Michele.

 

 
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