IL PARADISO DI CRISTO E GLI ANGELI Di GARCIA COLOMBAS OSB |
Scritto da Amministratore | |
venerdì 06 gennaio 2017 | |
“Era desiderio del Creatore fare tutto il necessario affinché l'uomo vivesse felice. L'uomo doveva vivere senza impegno: Dio faceva tutto, ordinava tutto. L'esistenza dell'uomo doveva essere fortunata, dando continue grazie a Dio, comunicando felicemente con Dio, facendo di Dio la sua sola felicità. Al Signore piaceva l'accordo con l'uomo, dato che il suo cuore lo aveva plasmato a suo piacere. Questo accordo era benefico per Dio e per l'uomo.[1] Tale era il fine della creazione. Dopo il peccato tutto cambiò. Però una sensazione di insoddisfazione ha persistito in fondo al cuore di Dio e nel profondo del cuore dell'uomo.”[2] per questo l'uomo cercò Dio, e Dio cercò l'uomo. ...
... LA RICERCA DEL PARADISO PERDUTO
L'uomo cercò Dio, o meglio, cercò di colmare questo vuoto infinito che aveva nell'anima, vuoto che solo Dio poteva colmare. Ma pochi erano i mortali che sapevano che unicamente in Dio si poteva trovare il rimedio all'inquietudine che li divorava e li tormentava. “Noi abbiamo fatto questo a te (Signore), il nostro cuore è inquieto, lascia che riposi in te.”[3] Formula felice, forgiata per uno spirito eccelso, che aveva finalmente incontrato in Dio quello che, assetato di piacere, di bellezza e di verità, cercava nelle creature. Quanto più l'umanità si allontanava dall'alba felice della sua storia, tanto più grande era la confusione in cui si vedeva avvolta. Chi potrà solo enumerare i principali cammini tracciati per i figli di Adamo, esiliati dal paradiso, per uscire dalle loro miserie, scappare dalla morte inesorabile e ritornare al giardino delle delizie? La felicità eterna, l'immortalità: è questo soprattutto che sospirano i poveri umani. Questo è il loro principale obiettivo, cercare di avvicinarsi alla divinità. L'immortalità costituisce, secondo Omero, la prima e principale caratteristica degli esseri divini. Oh, chi poteva ottenere l'immortalità degli dei, godere di una gioventù eterna e una vita fortunata sulla sommità dell'Olimpo, lontani dagli affanni terreni! Tanto veementi sono questi aneliti, che si arriva a immaginare che alcuni degli umani furono ricevuti nella grande famiglia divina. Belli e vani sogni; gli uomini non riescono ad evitare le grinfie della morte. Ignorandolo, i figli di Adamo cercano il paradiso perduto, o meglio ancora, il "secondo paradiso". Chi non ha provato questa misteriosa, indicibile nostalgia che a volte s'impossessa del cuore umano? Ci sembra in tali momenti di gettarci nell'innocenza dell'infanzia, quando contemplavamo con occhi immacolati la bellezza dell'universo. Talvolta in un'altra vita, una gioiosa vita precedente che si perde in nebulose lontane, è l'oggetto che si desidera ardentemente. Illusioni. Con frasi certe Newman ha scoperto la vera natura di questo sentimento vago e pungente: "(Gli uomini) pensano di cacciare il passato, ma sperano nell'avvenire. Non è che volevano ritornare di nuovo bambini, bensì esseri angeli e vedere Dio; volevano convertirsi in esseri immortali; coronati di amaranto, vestiti di bianche tuniche, con palme fra le mani, davanti al trono divino."[4] E’ la nostalgia della vita angelica. Gli uomini cercano il paradiso perduto, tutte le realtà e tutte le speranze certe che il paradiso conteneva. Nascono diverse religioni; si inventano mitologie; si creano misteri; si fondano scuole filosofiche. Su tutte queste vie di stati di grazia, si insinuava l'idea della beatitudine, felicità eterna. Così per esempio, senza uscire dai confini del mondo classico e dalle religioni dei misteri. Riservati agli iniziati, ai quali si obbligava a osservare il più rigoroso silenzio, i misteri sono molto variegati; non solo, risulta molto difficile distinguere in queste religioni alcuni tratti comuni, in primo luogo la pretesa di assicurare la salvezza ai suoi seguaci. Questo consisteva nel liberarsi dalla tirannia del destino e godere della felicità tanto in questo mondo quanto nel futuro. Con il passare degli anni venne a dominare nei misteri il concetto dell'immortalità felice, e "può dirsi che le religioni dei misteri sono religioni d’immortalità."[5] Ma che reale felicità procurarono ai suoi seguaci? Come le religioni più nobili, le scuole filosofiche più illustri segnalavano un obiettivo elevato alle aspirazioni dei suoi affiliati. Platone valutava la vera felicità dell'uomo nella sua assimilazione a Dio, nella sua divinazione; però che mezzi efficaci offriva Platone per arrivare a mete tanto sublimi? Non senza cambiare le modalità di questa divinazione dell'uomo, Aristotele adottò la concezione platonica; però nel negare l'immortalità personale, il sistema aristotelico rendeva praticamente inaccessibile agli umani la suprema felicità. Appare subito il neoplatonismo quale sintesi, realizzata su un piano superiore del terreno religioso, dei principali elementi della filosofia greca ed ellenistica e delle aspirazioni mistiche provenienti dall'Oriente; l'Uno, il Dio supremo, principio primo e il fine ultimo di tutte le cose, costituisce il fondo della visione neoplatonica dell'universo; il ritorno, l'ascensione dell'anima a Dio, è il principale dei suoi temi, però il neoplatonismo, fra gli elementi indubbiamente nobili e veritieri del suo sistema, presenta altre dottrine semplicemente sbagliate, come il naturalismo integrale, che pone con il raggiungere delle sole forze dell'uomo la sua unione definitiva con Dio, la quale suppone d'altra parte, nella mente dei neoplatonici, la scomparsa della coscienza individuale. Epiteto, il filosofo stoico, usa passaggi bellissimi che è impossibile leggere senza emozione: "Che posso fare io, vecchio e zoppo, tranne cantare a Dio? Se fossi usignolo svolgerei la funzione di usignolo, se fossi cigno la funzione di cigno. Sono un essere dotato di religione: devo cantare a Dio. Tale è il mio ufficio, e lo esercito. E’ un compito che non tralascerò di svolgere poiché dipende da me."[6] "Però queste linee non sono un fiore bellissimo della religione, come sembrano a prima vista; e una tristezza sottile ci assale se pensiamo che l'oggetto dei canti del vecchio filosofo non era altro che il fuoco, l’aria infiammata che gli stoici confondevano con Dio e quelli che credevano alla sua anima, non era altro che una manifestazione vaga ed effimera. Povera umanità, tanto deviata dal cammino del paradiso perduto! Invano le anime migliori si sforzavano per trovare un rimedio alla loro inquietudine religiosa; invano si affannavano per appagare la loro sete del divino e immortale. Giustino, il futuro apologista e martire di Cristo, cercava sinceramente Dio e, come tanti altri uomini, accomunati da un identico desiderio, si rivolse ai filosofi. La ragione di questo passo ce la dà proprio Giustino: i filosofi "trattano di Dio in tutti i loro discorsi, e le loro dispute versano sempre sull'unicità e sulla provvidenza"; "Investigare su Dio è lo scopo della filosofia"[7]. Consultò, successivamente, uno stoico, un peripatetico, un pitagorico e un platonico. Lo stoico non sapeva nulla di Dio e assicurava che tale scienza non era in alcun modo necessaria; il peripatetico chiedeva un salario prima di impartire le lezioni; il pitagorico esigeva che i suoi discepoli imparassero in primo luogo la musica, l'astronomia e la geometria. Solo il platonico convinse Giustino; e in tale maniera riuscì a persuaderlo e Giustino concepì inclusa la speranza di vedere Dio faccia a faccia, che "è il fine della filosofia di Platone"[8]. Deciso a fuggire dagli uomini, si ritirò in un posto solitario in riva al mare, dove poter meditare tranquillamente. Lì non vide Dio, secondo le promesse dei platonici, però si incontrò con l'uomo che lo condusse a Cristo.
LA CHIAVE DEL PARADISO
San Giustino riassume in questi termini quello che disse il cristiano a coloro ai quali raccontò la sua avventura: "Ci furono molto tempo fa degli uomini più vecchi che erano considerati filosofi, uomini beati e amici di Dio, i quali parlavano ispirati dallo spirito divino e divinamente ispirati predissero il futuro, quello che giustamente si sta compiendo adesso; si chiamano profeti. Sono quelli che vennero ad annunciare la verità agli uomini. I loro scritti si conservano tuttora, e chi li legge con fede, può tirar fuori un grande profitto sul principio e la fine delle cose e, in generale, su tutto quello che un filosofo deve sapere. Perché essi sono testimoni fedeli della verità al di sopra di tutte le dimostrazioni".[9] L’intelligenza umana è limitata e soggetta ad errori. Dio è inconoscibile; lo conosciamo veramente solo se si rivela a noi nella misura in cui vuole. La volontà umana è debole e impotente. Dio è inarrestabile. Il muro di separazione fra il cielo e la terra risulta insormontabile ai poveri mortali. I cherubini e la fiamma della spada folgorante, impedirono l’entrata in paradiso, dimora di Dio e degli angeli. Solo da parte di Dio poteva venire il rimedio alle pene umane. E Dio decise di uscire dal suo riposo e cercare l'uomo traviato. La macchinazione satanica che fece cadere l'uomo e introdusse il male nell'universo, si dirigeva principalmente contro Dio, e a Dio non era possibile darsi per vinto. Di questo il demonio non ha potuto mai gloriarsi, di aver distrutto l'opera del Creatore. Dio volle far provare all'uomo tutte le miserie della schiavitù cui volontariamente si era sottomesso; però prima di cacciarlo dal paradiso, gli annunciò che un giorno sarebbe stato liberato (Gen. 3, 15). Come e quando sarebbe avvenuta la liberazione, era un segreto del futuro. Solo una cosa fu chiara dal principio: il ristabilirsi dell'uomo primitivo non sarebbe avvenuto senza lotta, perché il nuovo amo non avrebbe lasciato portarsi via la sua presa senza opporre una grande, forte, disperata resistenza. Dio scelse un popolo dal quale sarebbe nato il liberatore del genere umano. I profeti mantennero viva fra il popolo - Israele- la speranza della redenzione. Agli scritti profetici era solito presentare un doppio movimento: ricordano le grandi opere di Dio nel passato, però le ricordano solo per accrescere la fede del popolo nelle grandi opere di Dio riservate per i tempi futuri. In questo consiste la tipologia. Una delle più belle e importanti figure della tipologia profetica è il Paradiso. Però, i profeti ricordano le beatitudini del Paradiso, non lo fanno come nelle descrizioni greche dell'età dell'oro, mossi dalla nostalgia di un passato ideale; il passato è evocato solamente per fondare la speranza nel futuro. Vediamo degli esempi. Nello stesso modo in cui Dio aveva posto l'uomo nel Paradiso terrestre, così Israele deve sperare che lo introduca in un nuovo Paradiso.[10] Questo nuovo Paradiso sono i tempi messianici. Come castigo del peccato, Dio maledì la terra che più avanti avrebbe dato "spine e patimenti" (Gen. 3, 17-18); nei tempi messianici la terra ritornerà a produrre una tale abbondanza di frutti che, "senza interruzione seguirà chi ara, chi sega, chi vendemmia e chi semina", e "i monti distilleranno mosto che scorrerà da tutti i colli".[11] Ribellandosi a Dio, Adamo perse il dominio sugli animali (Gen. 2, 20), nei giorni del Messia gli animali saranno di nuovo sottomessi all'uomo (Ez. 34, 28). Qui non possiamo enumerare tutti i luoghi paralleli della narrazione della Genesi e l'opera dei profeti. Questo colorito paradisiaco delle descrizioni profetiche dei tempi del Messia è particolarmente intenso nell'evocazione che troviamo in Ezechiele della nuova Gerusalemme, con le sponde del suo fiume popolate da tanti alberi da frutta di tutte le specie, le cui foglie non cadranno e i cui frutti non mancheranno; questi frutti matureranno tutti i mesi e saranno commestibili, e le foglie degli alberi, medicinali.[12] E’ chiaro che, secondo l'Antico Testamento, il primo Paradiso prefigurava quello che Dio aveva riservato per il suo popolo nei tempi messianici. La grande affermazione dell'Antico Testamento è che il nuovo Paradiso sarebbe apparso sulla terra con Gesù Cristo. Si fa quest'osservazione in modo impressionante nell'unico testo evangelico in cui appare il vocabolo “Paradiso”. È nel breve, misterioso e toccante dialogo fra il buon ladrone e Cristo crocifisso. “Signore, ricordati di me quando sarai nel tuo regno”, supplicò il buon ladrone. Al che il Signore rispose: “In verità ti dico, oggi stesso sarai con me in Paradiso” (Luca 23, 42-43). Il regno di Gesù Cristo è il Paradiso. E il paradiso inizia “oggi”, è presente, è qui con Gesù. Questo “oggi” costituisce il nocciolo del Vangelo. Gesù è il Messia annunciato da Dio, il liberatore promesso al principio della Genesi ai nostri primi padri. Con minor frequenza, però con certezza, il Messia compare nell’Antico Testamento.[13] Nei Vangeli sono rare le allusioni esplicite al primo uomo, ma non mancano passaggi nei quali Gesù è presentato o si presenta sotto la stessa figura. Esiste un parallelismo così notevole tra Gesù nel deserto disposto a iniziare il suo ministero messianico e Adamo nel Paradiso ai principi della storia umana, che non sembra probabile che sia passato inosservato agli evangelisti: ambedue, Adamo e Cristo, si affrontano con Satana; questi che nel Paradiso assume la forma di serpente ed esce vincitore; nel deserto si mostra senza nessuna maschera e risulta vinto; nel primo caso l'ordine dell'universo resta perturbato, mentre nel secondo quest'ordine è ristabilito, quello che San Marco (1, 13) sembra accentuare quando ci dice che Gesù “dimorava fra le fiere” (restaurazione del dominio di Adamo sugli animali) e che “gli angeli lo servivano” (restaurazione dell'amicizia del primo uomo con gli spiriti celesti). Quando il Signore chiama se stesso “il Figlio dell'uomo”, allude al ‘figlio dell'uomo giudeo’, e donde ne consegue che Cristo si presenta come il nuovo Adamo che viene a restaurare l'ordine paradisiaco.[14] Però è in San Paolo che la figura di Adamo acquista un luogo molto importante nella tipologia di Gesù Cristo. Adamo “era quello che doveva venire” (Rom. 5, 14). “Come in Adamo siamo morti tutti, così anche in Cristo siamo tutti vivificati (I Cor. 15, 22). L’opposizione tra il primo e l’ultimo Adamo si presenta in San Paolo come l’antitesi di due forme di esistenza: la vita umana abbandonata alla sua debolezza che gli uomini ereditarono dal primo Adamo, e la vita umana, vivificata dallo Spirito, che Cristo ci comunica. “In questo è scritto: Il primo Adamo fu fatto anima vivente, e l’ultimo Adamo spirito vivificante. Però non è primo lo spirituale ma l’animale; dopo lo spirituale. Il primo uomo fu della terra, terreno; il secondo uomo fu del cielo. Come è il terreno, tali sono i terreni; come è il celestiale, tali sono i celestiali”. (I Cor. 15, 45-48). Dopo la sua disobbedienza, Adamo potè trasmetterci solo la vita animale, che termina con la morte; l'ultimo Adamo, al contrario, ci trasmette la vita spirituale, che si prolunga per l'eternità. La tradizione patristica sviluppò questo parallelismo stabilito da San Paolo. Così, per esempio, commentando la tentazione di Gesù, scrive splendidamente Sant'Ambrogio: “Conviene portare alla memoria in che modo fu il primo Adamo buttato dal Paradiso al deserto, perché ti dia conto in che modo il secondo Adamo ritornò dal deserto al Paradiso. Adamo fu formato dalla terra vergine, Cristo dalla Vergine; il quale fu fatto a immagine di Dio, questa è l'immagine di Dio, fu preferito a tutti gli animali irrazionali, e a tutti gli esseri animati. Al deserto fu gettato Adamo; al deserto venne Cristo, poiché sapeva dove poteva trovare il condannato al quale fu perdonata la mancanza e che fu di nuovo condotto in Paradiso”.[15] Il primo Adamo fu espulso dal Paradiso nel deserto dopo che si chiuse il giardino dell’ Eden con il suo peccato; l'ultimo Adamo, Gesù Cristo, apre di nuovo il Paradiso e conduce là l'umanità che confida nel suo liberatore. Quale fu l’atto liberatore di Cristo corrispondente al peccato di Adamo? “Oggi sarai con me in Paradiso” pronunciò Cristo queste parole quando pendeva dalla croce. Fu il suo sacrificio cruento, la sua passione e morte in croce, l'atto del nuovo Adamo che riparò la caduta del primo e tutte le sue conseguenze. Questa fu la grande lotta che riscattò l'umanità dal potere di Satana, come promise Dio ai nostri primi padri; questa, la grande opera di Dio quando uscì dal suo riposo. “Il Paradiso, chiuso da più di 5000 anni, lo aprì per noi. In questo giorno, in questa paura, introdusse a Dio e il ladrone”.[16] “Il ladrone fu il primo che entrò con Cristo nel Paradiso”.[17] A ragione esclama trionfante San Geronimo: “La croce di Cristo è la chiave del Paradiso; la croce di Cristo ci aprì il Paradiso”.[18] Per la croce Gesù tornò ad aprirci la porta del Paradiso perduto. In essa ci sono tutte le speranze dell'umanità redenta. “Nelle tentazioni” dice San Efrem, “li consola con le promesse, poiché non vi è inganno nella parola del Redentore. Consegnò suo figlio per noi, affinché avessimo fiducia in Lui. Con noi è la sua carne, con noi è la sua verità. Venne e ci consegnò le chiavi del Paradiso, dove sono custoditi i tesori per noi”.[19] Le antiche leggende che mettono in relazione il Calvario con il primo uomo, non hanno un altro senso. Già Origene aveva sentito raccontare che il corpo di Adamo era stato sepolto nello stesso luogo dove Cristo fu crocifisso.[20] Le leggende nate attorno alla croce stabiliscono identica relazione fra il Golgota e l’Eden: il legno della croce proveniva dall'albero della vita che si alzava in mezzo al paradiso terrestre.[21]
IL PARADISO RICONQUISTATO
Gesù Cristo ci introdusse di nuovo nel Paradiso, ci restituì quanto aveva perso Adamo o i mezzi per recuperarlo. Però fece qualcos'altro. La grazia di Cristo superò la grazia del primo uomo. Da cui segue che la perfezione ultima dell'uomo redento è superiore allo stato paradisiaco delle origini. Le realtà soprannaturali che Cristo diffonde nelle anime, comunicano con queste energie più potenti di quelle di Adamo, in tal modo, non solo le permettono di riconquistare le prerogative dello stato originale, ma anche di raggiungerne altre molto più sublimi. Da lì risulta evidente che il Paradiso riconquistato non è assolutamente identico al Paradiso perduto. Cristo, nuovo Adamo, non ci riconduce allo stesso Paradiso del vecchio Adamo, ma c'introduce in un altro Paradiso molto più bello e eccellente, nel proprio Paradiso. Il Paradiso di Cristo è la Chiesa. Più che nella Scrittura, dove la Chiesa appare soprattutto quale nuova Eva al lato del nuovo Adamo,[22] la tipologia Chiesa-Paradiso è stata sviluppata dai santi padri. Nei loro testi il cristianesimo è presentato come la realizzazione delle vecchie profezie, tinte di colorito paradisiaco. Tertulliano, pensa che Adamo fu creato fuori dal Paradiso terrestre e subito introdotto là, vi è in questo atto della divina benevolenza una figura dell'uomo trasportato dal mondo scomparso nel peccato in seno alla Chiesa: “Iam tunc de mundo in Ecclesiam”.[23] La Chiesa è per San Cipriano il Paradiso piantato da Dio creatore;[24] i quattro Vangeli, i quattro fiumi che secondo la Genesi irrigavano i giardini dell'Eden.[25] Sant'Ambrogio vede Cristo ora nell'albero della vita,[26] ora nella fonte del Paradiso.[27] Cristo e il più prezioso che contiene il Paradiso della Chiesa. In essa si recupera il dono della vita paradisiaca, che è il tratto amichevole, intimo, con Dio: la Chiesa “ha il privilegio di essere familiare, possiede la familiarità delle cose celesti e chi le è estraneo, è estraneo anche alle cose celesti”.[28] La Chiesa è il nuovo paradiso di delizie in cui l'anima assapora una felicità immensa; così ci fanno intendere con linguaggio poetico le Odi di Salomone: “Un'acqua canterina, che veniva dalla fonte del Signore, si accostò alle mie labbra copiosamente. Io ho bevuto e mi sono ubriacato con l'acqua viva che non muore. Il Signore mi rinnovò con la sua investitura e mi rivestì della sua luce e dall'alto mi diede il riposo incorruttibile. Divenni qual terra che germoglia, fiorisce e dà frutto. Il Signore come il sole sulla faccia della terra, ha illuminato i miei occhi, il mio viso ha ricevuto la rugiada e il mio alito ha gioito con la brina gradevole del Signore. Questo mi ha trasportato nel suo Paradiso, dov’è la ricchezza e la soavità del Signore. Adorai il Signore a causa della sua Gloria e dissi: “Felici, o Signore, quelli che sono piantati sulla terra e quelli per i quali c'è posto nel tuo Paradiso! Il luogo del tuo Paradiso è grande; non vi è nulla che sia inutile bensì tutto pieno di frutti. Gloria a te per sempre, o Dio, delizia del Paradiso”.[29] L’acqua canterina delle Odi di Salomone è molto probabilmente l'acqua rigeneratrice del battesimo. Dal battesimo l'uomo ottiene l’accesso alle ricchezze paradisiache. Secondo i Padri, in effetti, non solo il battesimo ha la virtù di perdonare i peccati: costituisce una specie di rifondazione totale, una rigenerazione o nuova creazione dell’uomo a immagine di Dio.[30] Al configurarsi con Cristo, il battezzato è anche un nuovo Adamo e riceve la “somiglianza” divina che il primo Adamo ricevette con il soffio creatore e perse subito con il peccato.[31] Il luogo dove si realizza questa nuova creazione a immagine e somiglianza di Dio è il battistero. Per il catecumeno, l’entrata nel battistero significa la sua introduzione nel Paradiso di Cristo, è figura del Paradiso terrestre. Per questo la decorazione dei battisteri antichi s’ispira al simbolismo paradisiaco. Vediamo in essi riprodotta la dolce immagine del Buon Pastore, circondato da un gregge, in un paesaggio di fonti, alberi e fiori. Nel battistero di Dura Europos (s. III), ai piedi di Cristo, rappresentato con i tratti del Buon Pastore e circondato dal suo mistico gregge, appare la scena del peccato di Adamo ed Eva. Il contrasto è significativo. L’iscrizione dell'antico e scomparso battistero di Magonza, che ci ha conservato Venanzio Fortunato, spiega perfettamente questo parallelismo: “Brilla la sala, difficilmente accessibile, del sacro battesimo, nelle cui acque Cristo lava il peccato di Adamo.
Ardua sacri baptismatis aula coruscat, quo delicta Adae Christus in amne lavat.[32]
A questo simbolismo pittorico dei battisteri corrisponde il simbolismo letterario dei Santi Padri. Citiamo, come esempio, queste frasi di San Gregorio da Nisida a quelli che rimandavano il battesimo: “Catecumeno, tu sei fuori dal Paradiso; condividi l’esilio di Adamo, nostro primo padre. Adesso ti si apre la porta. Ritorni a entrare nel luogo da dove eri uscito”[33]. Anche San Cirillo da Gerusalemme diceva ai catecumeni: “Presto si aprirà la porta del Paradiso per ognuno di voi”[34]. Nelle cerimonie stesse del battesimo, nelle quali i Padri ci fanno conoscere e ci spiegano anche il simbolismo essenziale della morte e resurrezione con Cristo, troviamo allusioni al dramma delle origini. Alcune di questi riferimenti sono notevoli. Prima di tutto il catecumeno doveva rinunciare a Satana, questo tiranno al quale si sottomise Adamo con tutta la sua discendenza. Poiché questa rinuncia distruggeva l'opera funesta del primo Adamo, che era tuttavia messo in rilievo per l'adesione al secondo Adamo, che seguiva immediatamente. La rinuncia a Satana la pronunciava il catecumeno rivolto verso Occidente, regione delle tenebre, l'adesione a Cristo e alla sua opera vivificante, faccia a Oriente, regione della luce e del Paradiso. San Cirillo da Gerusalemme spiegava al catecumeno: “Dopo aver rinunciato a Satana e rotto il patto con l'inferno, ti si apre il Paradiso di Dio, che piantò ad Oriente e dal quale fu espulso il nostro primo padre a casa della disubbidienza. Il simbolo è che ti sei voltato ad Occidente e non ad Oriente, che la regione della luce”.[35] Il simbolismo paradisiaco è ugualmente chiaro, secondo i Padri, nell'azione dei catecumeni di denudarsi interamente prima di immergersi nella piscina battesimale: spogliarsi da loro abiti significava spogliarsi anche delle “foglie di fico” (Gn. 3, 7) e delle “Tuniche della pelle” (Genesi 3, 21), che equivale al ristabilimento dell'innocenza primitiva,[36] la scomparsa della vergogna che provava davanti a Dio l’uomo peccatore e il recupero della fiducia filiale dello stato originale. Non terminava qui il ricordo del Paradiso. I neofiti, una volta battezzati, si coprivano di bianche tuniche. In esse solevano vedere i Padri, a parte altri simbolismi, l'integrità primaria in cui Adamo ed Eva furono creati, la figura del vestito di luce che avvolgeva l'uomo paradisiaco. San Gregorio da Nissa, per esempio, la chiama “tunica gloriosa”[37]; e in un altro passaggio la considera come la “prima tunica” con la quale il padre benevolo mandò a vestire il figliuol prodigo -e dire, Adamo-, “quella che gli fu tolta per la disubbidienza”.[38] Il battesimo, dunque, distrugge l'opera funesta del peccato originale grazie all'applicazione, all'individuo battezzato, della redenzione di Gesù Cristo. “Tu ci avevi cacciati dal Paradiso” - esclama San Gregorio da Nisida – “e ci hai condotto di nuovo ad esso; ci hai spogliato delle foglie di fico, sordida investitura e ci hai coperto con una tunica gloriosa. Allora Adamo, quando lo chiamerai, non avrà più vergogna e non si nasconderà, incolpato dalla coscienza, sotto gli alberi del Paradiso”[39]. Da tutto ciò scaturisce chiaramente che il battesimo, sacramento dell'iniziazione cristiana e porta della Chiesa, si presenta a sua volta come porta del Paradiso. La Chiesa è, di conseguenza, il Paradiso dove Cristo ci conduce.
[1] Era utile per Dio che la creatura fosse destinata alla Gloria fortuita di Dio. [2] Maria Salesia Chappuis, Pensieri sulla bontà di Dio. Testo citato da Janssen, Summa Teologica, t., 8 Friburgo di Brisgovia, 1919, p. 351352. [3] Sant'Agostino, Confessioni 1, 1 (edizione A.C. Vega, Madrid [Biblioteca di Autori Cristiani], 1946, pag. 324). [4] J. H. Newman, Sermoni chiari e parrocchiali, 4, 17. [5] Festugiere, L’deale religioso dei greci e l’Evangelo, Parigi, 1932, p. 134. [6] Citato da J. Lebreton, Storia del dogma della Trinità, t. 2, Parigi, 1928, p. 49. [7] S. Giustino, Dialogo con Trifone, 1 (ed. Otto, t. 1, 2° parte, Jena, 1877, p.5; trad Ruis Bueno). [8] Id, ibidem, 2. [9] Id, ibidem, 7. [10] J. Danielou, Sacramentum futuri. Studio sulle origini della tipologia biblica, Parigi, 1950, pag. 4. [11] Am. 9, 13-14. [12] Ez. 47, 7-8 y 12 - questa stessa tipologia dei profeti si è sviluppata negli studi non canonici dell'Apocalisse. [13] J. Danielou, op. cit, p. 6-8. [14] Id., ibidem., p. 8-10. [15] Sant'Ambrogio, in Luca 4, 7. [16] San Giovanni Crisostomo, De cruce et latrone omelia 1, 2 (P.G. 49, 401). [17] San Geronimo, omelia in Luca 16, 19-31. [18] Id., ibidem (pag. 385). [19] S. Efrem, Inni sul Paradiso 7, 1. [20] Origene, in Matteo. [21] Cfr. W Meyer, La storia del legno della croce prima di Cristo, Monaco, 1881. [22] Cfr. Danielou, Sacramentum futuri, pag. 11-12. [23] Tertulliano, Adv. Marcion. 2, 4, 4. [24] S. Cipriano, Epistole 75, 15. [25] Id., ibidem, 73, 10 (pag. 785). [26] Sant'Ambrogio, De Isaac 5, 43. [27] Id., Sul Paradiso, 3. [28] Teodoro di Mopsuestia, Omelie catechetiche 12, 11. [29] Odi di Salomone, 11. [30] Tertulliano, Il Battesimo, 3, 1. [31] Id., ibidem 5, 7 (pag. 282). Questo evidentemente costituisce una degradazione: "imago in effigie, similitudo in aeternitate consentur". [32] L. De Bruyne, La decorazione dei battisteri paleocristiani, in Miscellanea liturgica in onore di L. Cuniberti Mohlberg, Roma. [33] San Gregorio di Nissa, Contro quelli che diffamano il battesimo (P.G. 46,417 CD). [34] San Cirillo di Gerusalemme, Procatechesi, 15. [35] S. Cirillo da Gerusalemme, Catechesi mistica 1, 11. [36] Id., ibidem 2,2. [37] San Gregorio di Nissa, Nel battesimo di Cristo. Questa "tunica gloriosa" o vestito di luce che, secondo i santi padri, circondava i primi uomini, non significa altra cosa che la grazia sovrannaturale. Si veda Peterson, Religione e vesti (in Ritmi del mondo, t. 4, 1946, pag. 4). [38] San Gregorio di Nissa, L'orazione di Dio. [39] Id., Nel Battesimo di Cristo. |
|
Ultimo aggiornamento ( venerdì 06 gennaio 2017 ) |
< Prec. | Pros. > |
---|