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La società angelica PDF Stampa E-mail

La società angelica1. Il linguaggio degli Angeli. Che gli Angeli possano comunicare tra di loro, nessun dubbio al riguardo. La Bibbia vi fa diverse volte allusione (Is.6; Apoc.7,2; Giuda 9); e, d'altra parte, come ammettere che degli esseri perfetti siano sprovvisti di questo privilegio? La legge di continuità gioca dunque qui per dimostrare l'esistenza di un linguaggio angelico. Ma questi corrisponde al loro grado di essere e di spiritualità: nell'uomo, spirito incarnato, la facoltà di esprimere delle idee immateriali per mezzo di segni sensibili; nell'Angelo, puro spirito, il potere di far conoscere il suo pensiero direttamente. Tali comunicazioni sono infine il legame indispensabile della società angelica unita nella lode di Dio e nel servizio di Cristo. Se tutti ammettono il fatto della locuzione angelica, le spiegazioni che le si dona sono diverse.

I filosofi si dividono sui ruoli rispettivi della nostra intelligenza e della nostra volontà; le loro teorie psicologiche, applicate alla vita intellettuale degli Angeli, confluiscono anche in differenti sistemi.

2. Le illuminazioni. Un filosofo ed un teologo cristiano, lo Pseudo-Dionigi, ha voluto formulare una legge generale delle comunicazioni angeliche. All'inizio, egli constata, con ragione, una gerarchia delle creature, che sono delle partecipazioni, sempre più lontane, dall'unica Perfezione divina; ed eccolo portato a porre come il prolungamento necessario di quest'azione creatrice gerarchizzata, un'azione illuminatrice, con la quale, le rivelazioni divine, si trasmetterebbero, di scalino in scalino, dagli Angeli più perfetti agli Angeli meno perfetti e da lì agli uomini. Gli argomenti non mancano nell'esposizione della sua dottrina. La sua filosofia neo-platonica favorisce una tale concezione; testi della Scrittura gli recano le prove, di valore ineguale; dalla Legge mosaica, data agli uomini dagli Angeli, fino al Salmo 23 interpretati allegoricamente dai Padri, come un dialogo tra Angeli. Infine egli stabilisce una corrispondenza tra la Gerarchia celeste e la Gerarchia ecclesiastica e constata che, nel Cielo così come nella Chiesa terrena, la verità è trasmessa da intermediari ... Malgrado questa dimostrazione, il principio gerarchico, almeno sotto la sua forma assoluta, resta un'ipotesi alla quale né la Rivelazione, né la ragione danno un valore certo.

3. Le Gerarchie angeliche. La dottrina delle Gerarchie angeliche, chiamate normalmente i Cori degli Angeli, non è ugualmente degna di fede. Bisogna comunque fermarci a causa degli appoggi ch'essa trova nei Libri sacri e del posto che ha occupata nell'insegnamento corrente. Per due volte (Dan.10,13; Apoc.21,7), San Michele è presentato nella Scrittura come uno dei primi Capi; il Capo degli Angeli. L'Antico Testamento menziona gli Angeli, i Serafini ed i Cherubini; il Nuovo aggiunge i Troni, le Dominazioni, le Virtù, i Principati, le Potenze e gli Arcangeli. Ma in quale senso occorre vedervi l'indicazione di categorie distinte? La lista è completa? Per molto tempo, per reazione contro le fantasticherie gnostiche, i Padri rimasero prudenti, si limitarono a delle congetture; e Sant'Agostino confessò senza sbavature la sua ignoranza: dovreste disprezzarmi, egli disse, me che voi trattate da grande dottore (Contro i Priscillianisti,11,14;P.L.42,678. Stessa riserva nel suo Enchiridion,58; P.L.40,259).  L'accordo tuttavia si fece poco a poco unanime nel riconoscere differenti gradi tra gli Spiriti beati; Padri e liturgisti riunirono frequentemente le nove appellazioni fornite dalla Scrittura. La teologia non perdeva per questo il suo diritto legittimo di ricerca. Dionigi volle esplorare a fondo i nove termini, sotto i quali, la Bibbia, designava gli Angeli. Ripartì dunque la totalità del mondo angelico in nove Cori; dedusse le proprietà da ognuno dei loro nomi, ponendo al vertice i Serafini infiammati d'amore, e all'ultimo posto gli Angeli incaricati dei messaggi presso gli uomini; infine dispose questi Cori in tre Gerarchie rigorosamente ordinate. Il sistema divenne poco a poco molto classico; sull'autorità supposta del suo autore, gli scolastici  l'ammettono senza discussione; ma essi non nascondono che noi non conosciamo che molto imperfettamente il mondo invisibile.

Che ne rimane dopo che Dionigi è stato spogliato, dalla critica storica, della sua qualità di discepolo di San Paolo? Si può dire che, malgrado la sua situazione per molto tempo privilegiata, questa teoria non è che un'opinione teologica, in cui certe parti mancano di fondamento scritturale o patristico veramente solido; in ogni caso essa non può pretendere di escludere senza appello delle differenti conclusioni. Non vi sarebbe, d'altronde, qualche pericolo nel voler troppo spingere con certe analogie? Nelle scienze naturali, le teorie dell'evoluzione hanno costretto ad allargare talune classificazioni tradizionali; a maggior ragione, in teologia angelica, le parole d'Ordine, di Gerarchia, di Specie stessa, devono essere impiegate con morbidezza; ogni Angelo costituisce, in realtà, un mondo a parte, altrettanto ricco e variegato che l'intero universo.

Piccolo trattato di angelologia (Paul Benois D'Azy - Benedettino)

 
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